CAPITOLO 4 - L'ESTASI DELLA FORESTA
Camminavano da quella che sembrava un'eternità. Avevano percorso un interminabile corridoio sotto terra, per poi uscire tramite una botola nel bel mezzo della Foresta di Spine. Per un po', avevano seguito il sentiero principale e poi si erano lanciate nel fitto dei rovi bassi e impervi, senza una direzione ben precisa. Se solo avesse avuto il coraggio di fare un'altra domanda, Isabella avrebbe voluto accertarsi che Mae sapesse davvero dove stavano andando. Era talmente concentrata sul percorso che solo all'ultimo si accorse di essere circondata da un verde fresco e vibrante.
La Foresta di Spine si era improvvisamente spogliata del giallo riarso tipico degli arbusti di Ardesia assumendo, mano a mano, una brillante tonalità smeraldo. Fece per aprire la bocca ma il fiato non venne: si sentì pulita, a dispetto delle tre dita di sporco che ricoprivano tutto il corpo.
"Mae! Le piante e le foglie e l'erba...è tutto verde!".
"E allora?".
"Che parte di Ardesia è mai questa?".
"Chi ti dice che siamo ancora ad Ardesia?". Mae si fermò un attimo, giusto il tempo di gustare la reazione sul volto di Isabella.
"Il fatto che il mondo inizia con le Porte della Vittoria e finisce nel Deserto Rosso - puntualizzò con tono acido - e il fatto che noi non abbiamo visto ne le une ne l'altro".
Isabella era proprio stufa dell'atteggiamento di Mae. Per tutta la vita, i libri erano stati gli unici compagni nella solitudine della sua stanza e non c'era nient'altro per cui avrebbe messo la mano sul Fuoco Fatuo.
"Uuh! Mondo si divertirà un sacco con te - ribatté Mae con finta eccitazione - intanto, fatti un favore: prendi ogni cosa che pensi di sapere e prova con tutta te stessa a dimenticarla".
Isabella non poteva credere alle sue orecchie. Quella Mae! Sembrava fatta apposta per farla arrabbiare. Stava per sbraitarle dietro, aveva raccolto aria nei polmoni sufficiente ad urlare tutte le sue ragioni, quando un luccichio nella mano della donna le ricordò che, a volte, a perdere la pazienza, si perde anche molto altro.
"Guarda dove metti i piedi" la voce ovattata di Mae sembrava provenire dal sottobosco, in qualche luogo indefinito tra i rovi costellati da invitanti frutti brunastri, piccoli come biglie. Con gli occhi ancora spalancati per la sorpresa, Isabella era incapace di capire come avesse fatto Mae a sparire. Nonostante il buio avesse iniziato a insinuarsi dolcemente nella foresta, Isabella aveva tenuto gli occhi puntati sulla schiena di Mae per tutto il tempo. A poco più di un passo da lei, aveva seguito ogni sua mossa.
Sparita.
Poggiò lo sguardo, confuso e impaurito, su ogni possibile nascondiglio nei dintorni. Forse è uno scherzo, aveva pensato prima di realizzare quanto fosse assurda l'idea di Mae che scherzava. Forse sa diventare invisibile, era la seconda cosa che le era venuta in mente, di certo più probabile della prima. Immersa in quell'accenno di oscurità, Isabella aguzzò lo sguardo: rovi e piante. E fiori, ma di certo non Mae.
Non era la prima volta che si ritrovava da sola e al buio in una foresta. Tra il giorno della fuga e quello in cui era arrivata a Fulgida, aveva trascorso un tempo imprecisato nascondendosi dentro i tronchi cavi delle piante. Rizzò le spalle in un moto d'orgoglio, ricordando i terrificanti giorni della fuga.
Era stata sola, ma non del tutto: aveva quella voce sempre con lei.
Scappa.
Fermati. Indossa quegli abiti. Corri. Riposati. Nasconditi là. Prendi quel sentiero.
Aiuta Mae.
Aveva scandito la fuga a suon di ordini, ma l'aveva portata in salvo e mai una volta aveva dubitato di quello che diceva. Era l'unica cosa che aveva, l'unico appiglio che la separava dalla follia.
Dov'era, in quel momento, la voce?
Segui i fiori, Isabella.
Calda e profonda, come al solito. Rassicurante come la casa in cui si rientra dopo una giornata difficile. O perlomeno, così credeva Isabella, che una casa in cui sentirsi sicura non l'aveva mai avuta.
Segui i fiori, aveva detto. Quali? Ce ne erano di tutti i tipi: piccoli e bianchi a terra. Rosa e arancioni, dai petali tondeggianti e spessi, che spuntavano dai cespugli. Grandi e rossi più in alto, che pendevano dall'intricata massa di fitti rami sopra la sua testa.
Isabella mosse qualche passo, sporgendosi qua e la alla ricerca di qualcosa che attirasse la sua attenzione. Se solo quella specie di coltre di rami e rampicanti che tagliava obliquamente la foresta a qualche metro d'altezza fosse stata meno fitta, sarebbe potuta trapelare un po' di luce.
La luce, quella si che sarebbe stata d'aiuto. Col petto che le pizzicava di paura, Isabella si addentrò ancora di più nella foresta, tendendo in avanti le mani, per evitare di andare a sbattere o di finire dentro qualche cespuglio di rovi. Aveva la terribile sensazione che se fosse rimasta intrappolata in qualche pezzo di legno ammuffito o fosse sprofondata in qualche buco nella terra, non ci sarebbe stato scampo.
Segui i fiori, Isabella.
Se lo ripeteva nella mente, come una nenia. C'era da sempre, quella voce nella sua testa, e non aveva mai capito come fosse possibile. Sapeva solo che le altre persone non lo avrebbero definito normale e lo sapeva perché aveva visto il terrore negli occhi di Nanni la balia, la prima volta che aveva provato a chiederle qualcosa.
"Nanni, senti mai delle cose?".
"Che genere di cose? Notizie?". Lei era poco più che una bambina, Nanni, invece, era la solita Nanni. Paffuta e dal volto perlaceo, lo sguardo costantemente preoccupato e le mani mai vuote o ferme. Immutabile da che avesse memoria.
"No, non notizie... - Isabella cercava le parole adatte - come delle voci nella testa...una voce, a dirla tutta, che dice delle...cose". Il vassoio che Nanni stava portando via dalla sua camera era caduto a terra con un sonoro schianto.
"Non esistono le voci nella testa" Nanni si era voltata di scatto e aveva abbaiato contro Isabella. Con uno sguardo iniettato di sangue e panico, le aveva fatto promettere più e più volte che mai avrebbe tirato fuori quell'argomento e mai ne avrebbe parlato con qualcuno.
"Mai. Con nessuno Isabella, hai capito? Non ne devi parlare mai con nessuno. Sono stata chiara?".
Doveva essere proprio una questione importante, quella del fare finta di niente.
Isabella non aveva infranto il giuramento fatto a Nanni, non avrebbe osato. Ma qualcosa dentro di lei, qualcosa di molto profondo e potente, esplodeva di gioia ogni volta che la voce faceva la sua comparsa. Su questo proprio non poteva fare finta di niente. Non con se stessa, almeno, perché quando non si ha niente, anche le cose più folli sembrano un appiglio ragionevole.
Immersa da capo a piedi nella Foresta di Spine, Isabella desiderò disperatamente di risentire la voce. Districandosi a fatica da un groviglio di rovi che avevano bucherellato la veste e la pelle in più punti, si voltò e vide una piccola radura. La luce della luna filtrava attraverso l'intrico di rami che si estendeva obliquamente sopra al piccolo spazio rado. Formava un disegno a scacchi sul suolo e Isabella, tirando un sospiro di sollievo, vi si gettò con foga, bramosa di un po' di chiarore.
Quando raggiunse il centro della radura, con la coda dell'occhio, percepì un lieve movimento alla sua sinistra. Indagò il limitare dello spiazzo con il cuore che martellava nel petto: sembrava tutto così fermo e immobile, non tirava neppure un alito di vento. Ma lei aveva visto qualcosa muoversi, ne era certa.
Strinse i pugni, con tutti i sensi all'erta. Coraggio, Isabella. Si accostò di qualche metro e vagliò ogni angolo con lo sguardo. Tra le foglie piccole e sottili si levò un fruscio delicato e, al contempo, la luce biancastra della luna illuminò un angolo che, fino a quel momento, era immerso nel buio. Come rispondendo a qualche ordine, da un grappolo di rampicanti arroccati su un tronco secco, si aprirono dolcemente una decina di fiori gialli.
Era un moto quasi impercettibile, eppure costante. Si spalancavano con delicatezza, lasciando che la luce penetrasse il loro interno fatto di petali più piccoli e lunghi pistilli bianchi. Isabella non riusciva a distogliere lo sguardo: non le era mai capitato di assistere ad una cosa insieme tanto intima e appariscente. Rapita dallo spettacolo si avvicinò, notando che, più in alto sullo stesso rampicante, altri stavano sbocciando.
Piegò la testa all'insù e, seguendo il percorso delineato dai fiori, si ritrovò a osservare da sotto quella strana coltre che aveva coperto quasi tutto il suo tragitto nel cuore della foresta. Aveva pensato che fosse una massa indistinta e intricata di rami e foglie. Aveva guardato con fastidio quella specie di vegetazione a cascata che si era più volte tolta dalla faccia e che, per quanto ne sapeva, poteva esser fatta di sottili erbe grigie o di corpose ragnatele.
Di colpo, Isabella capì come aveva fatto Mae a sparire. Non sapeva diventare invisibile: si era semplicemente arrampicata su quello che aveva tutta l'impressione di essere il piano superiore della foresta.
Dall'altitudine in cui si trovava, Mae era sollevata.
Aveva seguito ogni mossa di Isabella con grande apprensione, ora scuotendo il capo con veemenza ora ghignando soddisfatta. Alla fine, si era anche sorpresa per la velocità con cui la ragazza aveva trovato la radura. Si era sbagliata più volte durante quella giornata e tutti sapevano quanto Mae odiasse doversi ricredere.
"Ti piace - la schernì Mondo brandendole un dito davanti al volto - L'hai coccolata fino all'ultimo secondo...".
"L'hai vista? Non è proprio il tipo che può essere lasciato solo nella Foresta!".
"L'ultimo che hai portato - gongolò Mondo trattenendo a stento un sorriso - ha percorso la Scendivia con una gamba rotta...".
"E allora?" Mae diede le spalle all'uomo, nascondendo il volto.
"Allora lungi da me dire che hai sbagliato. Dico solo che la ragazza ti piace".
Avrebbe voluto rispondere che le piaceva il fatto che non fosse una spia, ma preferì tornare ad osservare Isabella. Si era sbagliata anche quando aveva pensato che potesse essere al servizio dell'Imperatore. Quello era stato proprio un grosso errore che, oltretutto, l'aveva portata ad essere fin troppo dura con lei. Isabella non diceva tutta la verità ma, di certo, non era una spia.
"No, proprio non lo è". Per quanto Mae fosse abituata alle stranezze di Mondo, non riusciva a farsi piacere il fatto che l'uomo avesse sempre una risposta pronta per tutto, che fosse detto o anche solo pensato.
"No che non lo è! Se le spie dell'Imperatore fossero tutte così, noialtri avremmo la strada spianata" borbottò Mae mentre, parecchi metri sotto di lei, Isabella saltellava nel tentativo di acchiappare un ramo.
La lunga veste piena di sonagli di Mondo strusciò contro il corpo di Mae quando questi l'affiancò.
"Dovrai proteggerla" annunciò con un tono insolitamente grave.
"E' già al sicuro, sempre che riesca a trovare la stra...noo! Non così!" esclamò Mae sbattendo i pugni sul parapetto di legno mentre Isabella faceva rotolare un grosso masso sotto il ramo su cui sperava di issarsi.
"Devi ascoltarmi bene - Mondo fece una pausa per assicurarsi l'attenzione di Mae - qualcuno chiederà il Setaccio".
Mae ci mise un attimo per registrare le parole dell'uomo. Setaccio. La ricordava come una cosa lontana, sfocata nei contorni. Perché Mondo ritirava fuori quella parola proprio allora? D'istinto, le scappò una risata. Stava per dire a Mondo di non scherzare, quando si ricordò che nessuno scherzava sul Setaccio. Mae spalancò gli occhi.
"Ma come? Chi? Per...perché?".
"E' essenziale concentrarsi sulle cose importanti. Chiederanno il Setaccio per la ragazza e deve essere preparata".
Le mani di Mae tremarono di una rabbia antica sul parapetto di legno.
"Ma non ne facciamo più da anni, abbiamo abolito quella...cosa orribile!". Già, abolita da quando aveva causato la morte di Alessandro. Mae si rese conto che, dal momento in cui era comparsa Isabella, il nome di Alessandro non faceva altro che venir fuori, come calamitato da chissà quale forza.
"Tecnicamente non è stata abolita, ma solo, e lasciami aggiungere giustamente, abbandonata".
Le domande frullavano nella mente di Mae tra la rabbia e lo sconcerto. Il Setaccio era quanto di più vicino alle pratiche dell'Impero che il Rifugio avesse mai sperimentato. Una macchia indelebile e rossa di sangue sulla coscienza del Popolo Sovrano.
"Lei nasconde qualcosa!" sussurrò Mae. Se, fino ad allora, quell'aspetto di Isabella era stato una lieve preoccupazione, in quel momento era diventato una condanna.
"E' per questo motivo che ti sto avvertendo: occorre che tu e Giselle la aiutiate" Mondo scoccò a Mae uno sguardo di intesa e la donna annuì con rassegnazione, un attimo prima che un nuovo e più importante aspetto le balenasse alla mente.
Chi diavolo sei, Isabella, per creare così tanto scompiglio ancora prima di essere arrivata al Rifugio?
Ignorando il fardello che l'aspettava, Isabella aveva ormai perso il conto delle volte in cui era caduta, nel tentativo di issarsi su quella specie di ragnatela di rami. Aveva a lungo osservato tutti gli alberi della radura, ne aveva scelto uno particolarmente nodoso e, issandosi a fatica sulle sporgenze, si era allungata tanto da aggrapparsi ad un grosso ramo che formava il lato di un quadrato un po' storto.
Le braccia e le spalle urlarono di dolore. Quello, insieme ad una potente piccata proveniente dalla schiena, le ricordarono che l'aver visto da lontano altri che si arrampicavano, non significava che sapesse farlo anche lei. Tirò un respiro profondo e si diede una forte spinta e riuscì ad agganciare con i piedi l'altro lato del quadrato.
Aggrappata penzoloni con le mani e con i piedi a qualche metro d'altezza, non sapeva più cosa fare.
Su, Isabella, un ultimo sforzo.
La voce era stata l'unico motivo per cui non si era data per vinta.
Con un'ultima potente spinta di reni, si issò finalmente sopra la rete e rotolò piano fino a raggiungere un punto in cui riposare. I rampicanti erano particolarmente fitti, costellati qua e là dai fiori gialli. Ansimando rumorosamente, con la faccia appoggiata su una grossa foglia fresca, Isabella non riusciva neanche ad aprire gli occhi.
"Un risultato migliore del tuo" proclamò una voce maschile, riempiendo, col suo tono potente e gioioso, l'aria circostante. Un suono gutturale in risposta raggiunse le orecchie di Isabella. "Niente lamenti: paga la scommessa, Mae".
Isabella alzò il capo di scatto ed indagò la foresta con sguardo truce. Un'ondata di umiliazione la pervase violentemente, ricordandole i goffi tentativi di salire sulla rete: non solo aveva offerto uno spettacolo comico senza neanche saperlo, ma era anche stata oggetto di una scommessa, come un gallo da combattimento.
Piena di vergogna, si tirò in piedi con un movimento repentino.
Mentre la rete vibrava sotto i piedi, si ritrovò immersa nel verde più vivido e scintillante che avesse mai visto. La luce bianca, ora, non filtrava semplicemente, ma inondava ogni cosa. Presa com'era da questa nuova, inebriante visione, ci mise un po' per accorgersi che, su quel nuovo pavimento a scacchi formato dalla rete, i fiori gialli disegnavano un vero e proprio percorso.
Stando ben attenta a centrare gli snodi in modo da non precipitare nell'aggrovigliato vuoto, con le braccia larghe per mantenere l'equilibrio, provò a muovere qualche passo nella direzione delineata dai fiori.
Camminare in quel modo non era difficile come aveva pensato: i rami erano flessibili e resistenti e, ad ogni passo, la rete ondeggiava morbida, favorendo il movimento successivo. Con gli alberi fitti che le facevano gioco ora per appoggiarsi, ora per darsi la spinta, si inoltrò nella foresta, in un percorso che lentamente andava salendo.
"Prova a saltare da uno snodo all'altro" fu il consiglio entusiasta dell'uomo sconosciuto. Era sicura che si trovasse in alto, ma in quel punto gli alberi erano troppo grossi e frondosi per intravedere qualcosa.
Non lo fare.
Isabella esitò. Due voci, una reale e una nella sua testa, che le davano ordini erano troppo anche per lei. Non aveva mai disubbidito alla seconda, ma la prima aveva, dalla sua, l'aver scommesso a suo favore contro di Mae. Inoltre, era tremendamente curiosa e, come se non bastasse la curiosità, gli ultimi successi in quella porzione di foresta l'avevano resa piuttosto sicura di se.
Dondolò sulla rete, su e giù, per testarla.
Non lo fare!
Si diede lo slancio, puntando verso un grosso incrocio di rami che aveva adocchiato.
Non...
Isabella, che fino ad una settimana prima non aveva neanche il permesso di uscire dalla sua stanza, saltò sopra una rete nel cuore della Foresta di Spine. La rete ricambiò il suo impeto con una spinta altrettanto vigorosa e finì più in alto di quanto avrebbe voluto, lanciando un urlo di paura. Atterrò quasi dove aveva previsto, quasi come aveva previsto. Un piede le scivolò nel vuoto e dovette aggrapparsi con forza ad un tronco per non cadere.
Non appena si fu accertata di essere in piedi, anche se su gambe tremanti, e di stare bene, si rese conto che non era mai stata meglio. Con la sabbiosa e soffocante Ardesia che era quasi diventata un lontano ricordo, Isabella sorrise. Chi avrebbe mai creduto nell'esistenza di un posto come quello? Se non si fosse sentita indiscutibilmente pronta, sveglia e viva, avrebbe pensato di trovarsi in un sogno.
Era come volare: superava a tutta velocità i rami degli alberi, che sembravano acconsentire lieti il suo passaggio, e godeva di ogni attimo tra le foglie più alte. Mentre saltava da uno snodo all'altro, attorno a se vedeva solo striature di un verde tanto intenso che bruciava gli occhi.
Ora basta.
La rete la scagliò di nuovo in aria e Isabella acconsentì, con la gioia in corpo che eruppe in un urlo liberatorio.
Basta, ho detto. Fermati.
Tutto ciò che doveva fare era individuare un altro snodo e puntare in quella direzione, la rete avrebbe fatto il resto.
"Rallenta" le urlò Mae.
Falla finita! Fermati!
Quando si guardò attorno, nel bel mezzo di un lungo salto, notò che i fiori erano ancora sotto di lei e che la rete si era inclinata di molto. Con la mente un po' annebbiata dall'eccitazione, planò su di uno snodo particolarmente grosso e fletté le gambe, aggiungendo la propria spinta a quella della rete. Si lanciò in aria con le braccia strette al corpo, per guadagnare in velocità e, una volta arrivata all'apice della sua parabola, proprio davanti ad uno degli alberi più grossi che avesse mai visto, buttò in avanti tutto il suo peso, disegnò una circonferenza con le braccia ed azzardò una capriola.
In un attimo, perse l'orientamento.
Il panico la invase: non capiva più da che parte avesse la testa, né in quale direzione puntassero i piedi. Nelle orecchie, aveva solo il fischio acuto del vuoto.
Un sussulto del cuore e Isabella si ridestò, annaspando in cerca d'aria. Con le braccia ancora tremanti di paura, si issò goffamente sui gomiti e un ulteriore sforzo di reni le permise di guadagnare la posizione seduta. Era confusa e aveva la testa pesante.
"In piedi, stupida ragazzina!" l'ordine perentorio di Mae arrivò chiaro nello stesso momento in cui un ululato macabro si levò dal cuore della foresta. Era furibonda.
"Un attimo solo..." bisbigliò Isabella. Il coro s'era fatto più incalzate e corposo, come se si fossero aggiunte altre voci.
"Ho detto: in piedi! Ora!". Di certo, se fosse stata a portata di mano, Mae l'avrebbe presa a schiaffi. La melodia non accennava a smettere e Isabella non riusciva a capire da dove provenisse. Era stordita, amareggiata e mortificata. Da qualche parte nella sua mente, anche la voce stava urlando tutto il suo disappunto ma lei non la sentiva. La testa, piena di quel rumore potente e assordante, aveva preso a pulsare secondo il suo ritmo.
"Se non ti alzi subito..." non seppe mai cosa avrebbe fatto Mae se non si fosse alzata.
Il suono unico aveva riempito l'aria, la rete aveva preso a vibrare sotto di lei e sembrava che anche l'intera foresta avesse iniziato a battere a quel ritmo.
Lentamente, la melodia si abbassò. Al suo posto l'umiliazione e la vergogna di Isabella crebbero: aveva voluto correre ancor prima d'imparare a camminare e, per quanto la riguardava, sarebbe rimasta stesa sulla rete finché non fosse stata capace di dimenticarsi l'accaduto.
Respirò profondamente, lasciando ondeggiare ogni suo alito sulle cadenze della melodia che scemava, facendosi sempre più lenta e bassa.
Quando anche l'ultima nota si spense, la foresta esplose.
In un secondo, ogni animale liberò nell'aria il proprio verso. Fu una fortuna che Isabella fosse ancora seduta perché uno stormo di uccelli dalle piume nere tagliò lo spazio sopra di lei a velocità folle. Immobile davanti a quello spettacolo, non poté affacciarsi a guardare cosa stava succedendo sotto la rete: sentì solo il rombo di centinaia di zampe che battevano il suolo.
Finì tutto prima che Isabella potesse chiedersi cosa stesse succedendo.
Sentì il corpo irradiare uno strano calore, come se fosse grato di trovarsi immerso in quella natura selvaggia, come se sentisse di appartenerle.
"L'albero di fronte a te - intimò la voce di Mae, che era un misto di rabbia e sconcerto - Cammina, non saltare!".
Isabella si sentiva rinvigorita, piena di energie.
Si alzò lentamente e constatò che le sue gambe non erano instabili come aveva pensato. Eseguì gli ordini di Mae alla lettera: non sentiva il dolore che si sarebbe aspettata, ma la caduta ancora le bruciava dentro.
Quando dovette abbassare la testa per inserirsi sotto le fronde dell'albero che le aveva indicato Mae, si rese conto che i fiori gialli ancora disegnavano il percorso che avrebbe dovuto seguire. Con la rete che aveva iniziato a inclinarsi vertiginosamente, Isabella fu costretta ad aiutarsi con le mani per proseguire. Si arrampicò, tra i rami pieni di foglie a cinque punte, e percorse diversi metri in quel modo senza mai riuscire a scorgere il tronco.
Non appena lo raggiunse, strabuzzò gli occhi grigi al punto tale da farli lacrimare.
Il fatto che il tronco avesse il diametro delle dimensioni di una piccola casa passò quasi in secondo piano.
Ciò che più colpì Isabella fu che la rete non finiva nell'albero, cingendo tutto il suo tronco, ma era parte di esso o forse nasceva da esso, al pari dei rami e delle foglie.
Per quanto ne sapeva, quelle non erano cose del mondo in cui aveva vissuto per sedici anni.
"Ti devi arrampicare". La voce di Mae era trasportata dalle foglie.
Si aggrappò con le mani, in un punto che le parve abbastanza in alto e, accertandosi di poter fare lo stesso con i piedi, iniziò a risalire il tronco dell'albero più grande che avesse mai visto.
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