CAPITOLO 10 - L'EDERA RAMPICANTE
Il Setaccio. La parola non sembrava brutta, eppure Isabella era nervosa. La mattina successiva al suo arrivo al Rifugio, si presentò in cucina ben lavata e vestita di tutto punto.
"Giselle! Il vostro bagno è incredibile!" urlò mentre, camminando quasi sulle punte, attraversava la libreria intagliata nella roccia che separava il soggiorno dalle camere.
"E' piuttosto impressionante la prima volta, sì..." confermò la donna, indaffarata in cucina.
"Molto più che impressionante! Tutte quelle grotte e vasche e l'acqua calda che scorre sotto ai piedi! Ma com'è poss...".
"Com'è possibile una cosa simile? - la schernì Mae, abbassando lentamente il grosso giornale che aveva tra le mani - Tutto è possibile: dipende da quanto e da cosa sei disposta a credere".
"Questa era proprio una frase da Mondo!".
Con una scrollata di spalle al sapore di imbarazzo, Mae si immerse nuovamente nella lettura di La Scintilla. Isabella non potè fare a meno di notare il titolo di un articolo, che prendeva buona parte della prima pagina:
"IL RITORNO DEI RUBA-BAMBINI?".
Campeggiava, allarmante in ogni sua enorme lettera, proprio sotto il nome del giornale e, nonostante quest'ultimo fosse colorato di un rosso cangiante, sembrava quasi in secondo piano. Riuscì a sbirciare poche parole dell'articolo ma quelle che vide, le fecero strabuzzare gli occhi: "svaniti nel nulla".
"E' qui che arrivano?".
"Chi?".
"I bambini scomparsi!".
"Oh no, mia cara - si affrettò a dire Giselle, cacciando tra le mani della giovane una tazza fumante e al profumo di erbe - purtroppo non è qua che arrivano. Non sappiamo che fine facciano, in realtà".
"E tu sei troppo piccola per leggere i giornali - puntualizzò Mae, chiudendo le pagine di tutta fretta - Dove te ne vai, vestita come un piccolo soldatino dell'Impero?". Il rapido sorso che Isabella si sbrigò a deglutire le bruciò la gola.
"Io non sono...beh...c'era il Setaccio oggi e ho pensato...di vestirmi bene, insomma".
"Non ci sarà nessun Setaccio! Non finché potremo evitarlo!".
"Oh! - commentò Isabella spaesata e poi, visto che nessuno sembrava in vena di darle ulteriori spiegazioni, poggiò la tazza sul tavolo e tirò un largo sorriso sul volto - Allora credo che andrò a farmi una bella passeggiata!".
"Perché, invece, non finisci di fare colazione e, intanto, non ci racconti qualcosa di te?" Giselle si accomodò su una sedia e le fece cenno di fare altrettanto.
"C'è poco da dire in realtà...".
"O forse c'è molto da dire ma tu non vuoi!".
Controllati, si disse Isabella. Se non fosse stata certa che roteare gli occhi sarebbe stato un gesto estremamente maleducato, l'avrebbe condito con un sonoro sbuffo, proprio sulla faccia di Mae.
"Vorrei fare quella passeggiata" mugugnò, gettando uno sguardo carico di desiderio oltre la finestra. Dava su un'enorme quercia e, da essa, solo quella si vedeva ma lei era certa che c'era tanto altro da scoprire, lì al Rifugio.
"Potremmo invece raccontarti qualcosa in più su questo posto - propose Giselle con una dolcezza cui era impossibile sottrarsi - Così che quando finalmente uscirai la fuori, sarai preparata!".
Quella che seguì, fu un'interminabile sequela di nozioni sul Rifugio che Isabella ascoltò con poca voglia e scarso interesse. A dirla tutta, sembrava una favola per bambini più che un attendibile resoconto dei fatti: oltre cinquecento anni prima, nove grandi padri fondatori si insediarono in quell'incavo tra i monti per sfuggire alle razzie dell'Imperatore e da allora, grazie al loro coraggio e alla loro tenacia, nacque il Rifugio.
"La Resistenza - la voce acuta di Giselle riscosse Isabella dal torpore in cui era piombata - è così che ci chiamavano, una volta. Ora dicono che ci siamo rammolliti ma a me piace pensare che stiamo solo aspettando il momento giusto".
"Il momento giusto per cosa?". Erano passate molte ore dall'inizio del racconto di Giselle e la voce di Isabella suonò roca e graffiata: aveva mangiato verdure croccanti e dolciastre, sgranocchiato piccoli semi verdognoli, aveva osservato le vecchie fotografie che Giselle le propinava a sostegno delle proprie parole; si era seduta e si era alzata; aveva camminato in lungo ed in largo, nella piccola stanzetta intagliata nella roccia e, infine, si era accomodata sulla poltrona soffice e si era lasciata cullare dalla voce della donna.
"Per combattere!".
"Si farà buio presto - osservò Isabella, indugiando con lo sguardo sulla grande quercia che si vedeva dalla finestra - ora posso andare?".
"Potresti invece aiutarmi a preparare la cena? Sai, tutto questo parlare mi ha stancata...".
Nei giorni a venire, Isabella fu così presa dalle faccende domestiche che si ritrovò spesso a chiedersi quanto impegno richiedesse l'avere una casa. Sembrava trascorsa un'eternità da quando Petra aveva abbandonato con teatralità la casa nella roccia e, come se non bastasse l'angoscia dell'attesa, anche tutto il resto non stava andando secondo i piani. Distingueva le notizie in merito al Setaccio in base alle espressioni di Mae: poche rughe ed il solito sguardo di scherno significavano una giornata di buona; se, invece, il volto era corrucciato, i loro sforzi per evitarla non stavano andando a buon fine e Isabella avrebbe dovuto fare di tutto, tranne che trovarsi alla portata delle osservazioni taglienti della donna. In un'altalena di emozioni che stava cominciando a farle venire la nausea, non sapeva se provare sollievo per aver guadagnato un altro giorno o se arrabbiarsi per averne perso uno: non era ancora riuscita ad esplorare il Rifugio. Senza capire come avesse fatto a cacciarsi in una situazione che ben conosceva, si era ritrovata a doversi accontentare delle sporadiche occhiate dalla finestra.
Di nuovo.
La sera in cui le cose degenerarono, poco prima che lo facessero, Giselle riempì improvvisamente il campo visivo della giovane. Era irritante notare come, in quella casa, nessuno la guardasse mai negli occhi.
"Mi devi scusare per questo periodo di reclusione, Isabella...". Stava per ringhiare che ci era abituata ma si morse la lingua.
"...è per il tuo bene!" concluse Mae. Conosceva bene anche quella spiegazione: era ciò che le rifilava Nanni la balia ogni volta che la trovava disperata, a piangere tutte le lacrime della sua solitudine.
"Sto cercando ogni regola, ogni cavillo che ci consenta di evitarti il Setaccio...o perlomeno di ritardarlo".
"E' una cosa così brutta, questo Setaccio?".
"Non ti succederà niente di brutto. Qui al Rifugio non viene mai fatto del male a nessuno. Mai!" Giselle parlò con fervore e Isabella si chiese se stesse parlando con lei o se lo stesse ricordando a se stessa.
"Tuttavia, il Setaccio è una questione a se stante" espirò con amarezza, lasciandosi cadere sull'altra poltrona. Se ci fosse stato un premio per l'abilità di evitare lo sguardo di Isabella, di sicuro Giselle l'avrebbe vinto.
"E' una questione inutile!".
"Mae non ha ancora perdonato il Popolo del Rifugio per il Setaccio. E' una procedura di vecchia data, una delle prime organizzate qui al Rifugio, a dire il vero, e per questo oserei dire che è...rudimentale".
"Riprovevole!".
"Mae! Ti prego! - la riprese Giselle, che tornò su Isabella con un profondo respiro - Usavamo il Setaccio per capire due cose: se sei qualcuno che sta tentando di infiltrarsi al Rifugio su ordine dell'Impero...".
"Non sono una spia!" si accalorò la giovane, pensando di aver già risolto quella faccenda.
"No, non lo sei. Ma tu menti!".
"...inoltre - Giselle alzò leggermente la voce - è utile per appurare le doti di una persona...".
"Non ho nessuna dote!".
"Negarlo non lo renderà meno vero" precisò Mae, ma un deciso gesto della mano di Giselle la zittì.
"Un tempo, il Rifugio non esisteva perché non ce ne era bisogno e le persone nel Regno erano libere di vivere secondo la loro più intima natura...".
"Anche se fosse - la interruppe Isabella che tutto voleva fuorché un'altra lezione di storia - anche se avessi quelle...doti...non potreste accettarmi per ciò che sono e andare avanti?".
"Era proprio ciò che volevo spiega...".
"E tu? Ti accetti per ciò che sei? - abbaiò Mae - Voglio dire: chiedi a noi di accettarti e va bene, hai ragione. Ma tu, che menti e neghi a spron battuto, che in questi giorni non ti sei aperta neanche una volta con chi sta cercando di aiutarti...Tu ti accetti?".
Mae non aveva neanche finito di parlare che lo stomaco di Isabella si contrasse violentemente. Distolse lo sguardo, incapace di sostenere quello delle donne: il Rifugio decisamente non poteva essere la sua casa.
"E' un mio diritto avere dei segreti" mugugnò, fissando la libreria alta come tutta la parete, intagliata nella roccia come il resto della stanza.
"Ti consiglio di dare poca voce a questa idea, qui al Rifugio".
"Oh con questo Rifugio! Ne parlate come se fosse una persona, come se fosse più importante di una persona...". Un calore strano, proveniente dal petto di Isabella, cominciò a risalire il corpo e le avvampò il volto.
Stai calma.
"Infatti è così!".
"Quello che Mae sta cercando di dire è che la sicurezza di tutti è tenuta in gran conto, qui al Rifu...".
"Sono chiusa qua dentro per questo? Per la sicurezza di tutti gli altri?". Isabella scattò in piedi. Non sapeva da dove venisse quella rabbia improvvisa ma aveva l'impressione che le sue membra stessero per perdere fuoco.
Calmati.
"E' facile, per te, sbucare fuori dando ordini da chissà dove, vero?" sbottò e si rese conto di ciò che aveva fatto solo quando un silenzio carico di tensione piombò come un macigno nella stanza.
"E quello cos'era? Con chi stavi parlando?".
La rabbia ribolliva dentro Isabella. La sentiva distintamente, come fosse qualcosa di solido, flessuoso e sfuggente al punto da non poter essere contenuto. Avrebbe voluto poter dire di essere abituata anche all'idea che la sicurezza degli altri veniva prima della sua libertà, ma non era così. Si sentì stupida, per aver anche solo sperato di lasciare la sua vita passata nell'Impero, chiudendola fuori dalla botola di Albero Madre. Invece eccola lì, che tornava a colpirla proprio quando si era concessa il lusso di credere: non sapevano nemmeno chi fosse e già l'avevano rinchiusa per proteggere gli abitanti del Rifugio. Cosa sarebbe successo se l'avessero scoperta?
Il vaso che Giselle aveva posizionato sul davanzale alla sua destra cominciò a tremare.
"Isabella?".
Tre paia di occhi, tutti spalancati, osservarono l'oggetto muoversi in modo sempre più concitato. Il cuore di Isabella batteva furioso, un lungo e potente fischio le invase le orecchie e sentì un sapore ferroso in bocca.
Proprio come l'ultima volta.
Qualcuno ripetè il suo nome, qualcun altro le intimò di stare ferma, ma era troppo tardi per tornare indietro. Prima che chiunque fosse in grado di chiedersi come mai la situazione fosse precipitata così in fretta, Isabella attraversò la stanza come una furia. La porta si aprì al suo cospetto senza che lei la toccasse e sbatté dietro le sue spalle, con un rombo tanto forte che riecheggiò fin nelle viscere della montagna.
Inspirò l'aria brunastra del Rifugio e lasciò che le penetrasse dentro ai polmoni, riempiendo il petto di un vivido senso di freschezza. Per quanto fosse piacevole, neanche quello riuscì a placare la sua ira. Con una parte della mente, registrò il suono ritmico e furioso di una maniglia che veniva forzata: la porta della casa nella roccia doveva essersi incastrata.
Meglio così, si disse tirando verso sinistra, decisa come se sapesse dove stava andando.
Aggirò l'enorme quercia e si inerpicò su un sentiero che, dal vialone principale, sembrava conducesse all'interno della foresta.
Doveva solo calmarsi, e doveva assicurarsi di farlo lontana da tutti gli altri. Non sapeva come avrebbe fatto, ma era sicura che se fosse riuscita a ritrovare Albero Madre e quell'incredibile rete che gli cresceva tutt'attorno, se fosse riuscita ad immergersi nel verde puro e incontaminato, allora sì che avrebbe trovato un pò di sollievo.
Marciò per un tempo indefinito e ogni volta che potè scegliere, abbandonò i sentieri battuti in favore di sterpaglie ed erba alta. Anche se le doleva ammetterlo, Mae e Giselle non avevano sbagliato e l'episodio con il vaso ne era prova: ogni volta che perdeva il controllo succedeva qualcosa di orribile.
Era stato per una cosa simile che Nanni la balia l'aveva cacciata di casa e ora che il verde intenso delle foglie e il silenzio degli alberi le rischiaravano la mente, non poteva non notare il disegno che c'era dietro. Nanni la conosceva, meglio di chiunque altro: se le ripeteva quasi ogni giorno che avrebbe dovuto imparare a controllarsi, forse era perché sapeva qualcosa sulla sua natura. Qualcosa che lei aveva ignorato per tutta la vita.
Isabella aveva una dote. E quella dote era, evidentemente, malvagia.
Lo sconforto la fermò. Era immobile, immersa fino alle ginocchia in un groviglio di sterpi, rami ed erba e stava nuovamente per perdere il controllo. Si guardò attorno in modo convulso, alla ricerca di un tremolio nelle foglie, di un segnale che avrebbe dato avvio al peggio.
Cerca il valore di ognuno e lì troverai la tua casa.
La voce propose le ultime parole con cui Nanni l'aveva salutata, ma Isabella non ascoltò. Aveva il respiro accelerato e un macigno nel petto. Non avrebbe mai avuto ciò che desiderava: il fuoco che le ardeva dentro ogni volta che si arrabbiava avrebbe arso la casa dei suoi sogni e tutto ciò che essa avrebbe contenuto. Se era condannata alla solitudine, allora tanto valeva restarsene lì, in mezzo alla foresta.
Il vuoto calò nella sua mente come una scure e si preparò. Aspettò il boato, il fischio nelle orecchie; immaginò la foresta che si accartocciava su se stessa, fino a scomparire in un enorme baratro nero.
Non successe niente di tutto ciò e non seppe dire quanto tempo restò lì, pietrificata dalla stessa idea di se stessa, col buio della notte che era penetrato fin dentro le viscere. Si rese conto di non essere più sola quando una voce carica d'ira la raggiunse.
"...sai benissimo che anche se volessi, e mi preme sottolineare che non voglio, non potrei intervenire...".
"Lo giuro sulla Croce dell'Alpe: preparati alle conseguenze!".
Un uomo ed una donna stavano litigando non molto lontano da lei. Isabella non voleva origliare, ma era certa che se si fosse mossa dal punto in cui era, sarebbe stata scoperta.
"E' una minaccia quella che sento, Petra?".
"E' una minaccia non più di quanto lo siano le tue sciocche prese di posizione".
Che la donna fosse Petra, Isabella avrebbe dovuto aspettarselo. Ma chi era l'uomo con cui discuteva?
"Se solo potessi, se il giuramento che ho fatto non me lo impedisse, mi getterei io stesso nella ricerca dell'Uno che è Due. Ma se la ragazza non vuole, ha il diritto...".
"Non è la ragazza a non volere. La ragazza non sa niente! E anche se fosse, mi sembra che quando toccò a lui nessuno gli chiese se voleva o no...".
"Io credo che tuo figlio volesse...".
"NO! Solo io so cosa mio figlio volesse dalla vita, non tu. E' chiaro? - un rantolo addolorato raggiunse le orecchie di Isabella - In ogni caso, avevamo un accordo e pretendo che tu lo rispetti".
"Ma l'accordo non tiene conto degli sviluppi!".
"Gli sviluppi? Te li dico io, gli sviluppi! Basterà insinuare in una sola, tra queste piccole teste vuote, che Mae e Giselle hanno portato un pericolo al Rifugio; che hanno rifiutato il Setaccio; che hanno eliminato ogni possibilità di controllare le sue capacità. Solo in una. E Giselle e Mae saranno segnate per sempre. Mi chiedo quanto ci vorrà prima che qualcuno chieda che siano espulse...".
"Sei orribile..."
"Sono pratica!".
Mentre le voci si allontanavano, segnando quella che aveva l'aria di essere un'ulteriore vittoria del vecchio tronco, Isabella si sporse dal suo nascondiglio, cercò di fare meno rumore possibile e di raggiungere un posto da cui avere una buona visuale. Con disappunto, non riuscì a vedere chi fosse il compagno di Petra: erano spariti nella notte ancor prima che avesse tempo di liberare i piedi dal groviglio di sterpi in cui era finita.
Torna a casa, Isabella. Andrà tutto bene.
Quando, a notte inoltrata, Isabella comunicò a Mae e Giselle che aveva intenzione di sottoporsi al Setaccio, sperò che il suo tono fosse abbastanza risoluto da contrastare la corposa serie di sguardi preoccupati che ottenne in cambio.
"Lasciatelo dire! Tu sei matta! - sbottò Freddy, madido di sudore nonostante l'aria frizzante, e continuò rivolto al folto gruppo riunito davanti alla casa nella roccia - Che c'è? Ci vuole che qualcuno glielo dica...". Aveva appena finito di sistemare la porta ed era appoggiato ad essa con entrambe le braccia, respirando rumorosamente.
"Fa lo stesso: voglio farlo comunque!" si sbrigò a dire, prima di essere travolta da una lunga sfilza di rimproveri su quanto fosse stata avventata a fuggire, girovagando chissà dove e da sola nel Rifugio.
"Mai più, Isabella. E' chiaro?" Giselle levò un dito ammonitore e lei si sforzò di mentire ma quel "mi dispiace" che aveva sulla punta della lingua restò lì dov'era. Non era affatto pentita: se non avesse origliato la conversazione di Petra, non avrebbe mai scoperto che grazie al Setaccio avrebbe potuto imparare a controllarsi. Tuttavia, non era esattamente quello il motivo per cui aveva percorso il tragitto di ritorno dalla foresta correndo come se fosse inseguita da un orso.
"Mh-mh!" un uomo corpulento, di cui non si poteva far altro che notare il lungo pizzetto che arrivava fino alla vita, si schiarì la voce.
"Romeo, Napa, permettetevi di presentarvi Isabella la fuggitiva" .
"Hai già fatto tuo il seme della ribellione di questo luogo!". Nella lunga ed ampia tunica nera che, in alcune parti, aderiva al corpo lasciando vedere le sue rotondità, Napa abbozzò un sorriso. Era completamente calvo sulla parte alta del cranio, poi i capelli tornavano a crescere formando una mezza aureola sulla quale erano rasati strani disegni.
"Vorrei conversare da solo con Isabella, se me lo consentite". Dell'uomo che parlò, Isabella non potè notare altro che il lungo pizzetto che arrivava fino alla vita, stretto a distanze regolari da anelli d'oro. Doveva essere qualcuno di veramente importante perché nessuno obiettò, neanche Giselle e nemmeno Mae, dalla quale la giovane si sarebbe almeno aspettata un grugnito di dissenso. Le due donne sparirono nella casa nella roccia, Napa salutò tutti con un profondo inchino e Freddy, grattandosi nervosamente la nuca, fu l'ultimo ad andarsene.
"So che, nonostante la tua volontà, non hai ancora visitato il Rifugio. Mi permetti di accompagnarti?". Romeo le fece strada, avviandosi lungo il vialetto che declinava verso le altre abitazioni, e lei lo seguì con passi incerti. Nei giorni trascorsi aveva desiderato più di ogni altra cosa poter esplorare quel luogo, ma mai avrebbe immaginato di farlo al buio ed in compagnia di un perfetto sconosciuto. Tuttavia, non riuscì ad opporsi e percorse con il cuore in gola il tratto che li separava dalla luce. Osservò con curiosità la lunga sfilza di sfere baluginanti che illuminavano la strada, perfettamente allineate sui lati. A malapena notò che erano sospese a mezz'aria, impegnata com'era a stupirsi di se stessa: aveva girovagato senza preoccupazioni nell'oscurità della foresta e, in quel momento, aveva il cuore in gola.
"Sarò sincero - disse Romeo ad un tratto, abbozzando un mezzo sorriso che scoprì denti bianchi e perfetti, in contrasto col colore scuro della pelle - la responsabilità della tua reclusione è mia".
"Perché mai?" ringhiò Isabella, ritirando fuori un pizzico della rabbia che pensava di aver placato.
Romeo giunse le mani dietro la schiena e rallentò l'andatura. Erano arrivati alla fine del lungo viale e dinanzi a loro si apriva, immensa e quieta, la piazza centrale. Era simile a quella di Fulgida, notò Isabella, col pavimento ciottolato ed i piccoli lampioncini sospesi che delineavano il suo contorno, ma al centro si stagliava un enorme ippocastano, grosso almeno quanto Albero Madre, le cui fronde coprivano il cielo.
"Perché questa è la mia casa. Dietro ogni roccia, sopra ogni albero e persino sotto terra, abitano i miei fratelli...". Come illuminati dalle parole di Romeo, una miriade di piccoli particolari colpirono la ragazza: una lanterna spenta ondeggiava lievemente attaccata ad un ramo alla sua destra e un quadrato d'erba, dalle linee troppo perfette per essere naturali, attirò la sua attenzione. Spostò i piedi giusto in tempo per non calpestarlo, certa che al di sotto di esso vi fosse più che il semplice terreno.
"Per farti capire a fondo il senso delle mie parole, ritengo di doverti raccontare la mia storia. Perché, dopotutto è con i racconti che percepiamo meglio la realtà, o perlomeno così dicevano i vecchi Cantastorie".
Lo sguardo di Isabella indugiò su una grossa cascata di edera che copriva un tratto roccioso e si chiese cosa vi fosse dietro.
"Ti dirò perché sono fuggito da Assidra, la mia città natale - la voce di Romeo sembrava arrivare da un luogo lontano nel tempo e nello spazio - Vedi...un tempo nel mio paese, la grande Ardesia, ero molto felice. Ero istruito, avevo un lavoro che mi consentiva di aiutare le persone e mi sentivo importante. Sentivo di essere nel posto giusto: sai come ci si sente quando si è a casa?
"Ardesia era la mia casa e io ero felice, poi questa casa ha iniziato a cambiare...".
La voce dell'uomo mutò, molto più velocemente di quanto ci si sarebbe aspettato; Isabella sollevò lo sguardo ed incrociò gli occhi neri.
Tutto attorno c'era solo odio. Penetrava nella pelle, infettando qualsiasi cosa. Romeo camminava rapidamente tra le vie di Assidra, a testa bassa, consapevole che in nessun modo avrebbe potuto aiutare i corpi lasciati agonizzanti sul suolo. In nessun modo avrebbe potuto fermare gli assalti alle case, ai negozi. Erano la nuova normalità.
Lui, che era un medico, in nessun modo avrebbe potuto curare le persone falcidiate dalla malattia, abbattute come fossero spighe di grano.
Nella piazza centrale di Assidra, proprio sulle porte sprangate del Palazzo sulle Ceneri, Romeo lesse quello di cui ormai tutti, da giorni, mormoravano.
"...presentarsi al Quartier Generale dell'Unica Armata per il censimento". Il panico si era diffuso rapido tra le persone, ma lui sapeva che non v'era ragione di temere: era di quelli come lui, che l'Impero sarebbe andato a caccia.
"...l'Impero ha iniziato ad agire come se chiunque fosse in grado di pensare, di parlare, di consigliare e di questionare, fosse un pericolo. Il passo è stato molto più rapido di quanto ci vorrà a me per dirlo ad alta voce: l'Impero ha iniziato a eliminare i pensatori.
"Chiunque avesse un pensiero veniva preso dalla sua casa e giustiziato davanti a tutti. Pubblicamente, senza alcuna remora, perché l'unica cosa che doveva essere chiara a tutti era che conveniva pensare meglio o, piuttosto, non pensare affatto".
Isabella aveva il fiato corto e gli occhi spalancati. In buona parte era per l'orribile racconto di Romeo, ma non poteva nascondere a se stessa che era successo anche qualcos'altro. Aveva visto ciò che Romeo raccontava e sapeva di averlo visto direttamente dai suoi ricordi.
"E' per questo che sei fuggito? Per non essere ucciso?".
"Nel Rifugio, incontrerai decine di persone con una storia simile alla mia. Ti prego di non banalizzare le loro scelte con questa domanda - il tono gentile di Romeo non fece bruciare meno il suo rimprovero - sono fuggito perché c'è solo una cosa in cui sono dannatamente bravo, Isabella. Questa cosa è proteggere le persone e, di certo, da morto non aiuti nessuno".
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