Sulle rive dell'Adige
Quei racconti tornavano alla luce della coscienza quando qualcosa cercava di affondare i passi in una realtà che era degna di essere vissuta, perché c'era uno scopo, dovevo trovarlo.
Il presente tra un passato già chiuso tra le rive, come righe di mare dai colori sfumati di verde e di azzurro e il futuro, tra i sogni e quel cielo dove non c'era spazio per le rondini, presagi di primavera.
Una primavera che tardava a venire quell'anno 1993.
Ma era entrata, preparata dall'inverno a presentarsi all'estate successiva.
Lo stivale galleggiava mentre il treno lo fendeva con le sue rotaie, passava sulle ferite della terra sui binari delle stazioni continuava a sostare. Vidi addii, abbracci, mani ostinate a reggere saluti non più visibili a chi restava giù. Era tardi ormai.
Case sparse qua e là interrompevano i colori della notte, tra luna e luci assopite di paesi dormienti, pacati, sospesi.
L'alba nasceva delicata, il verde costeggiava il nostro arrivo.
La fermata era già vicina mentre io ero lontana, mi mancava mia madre, rivedevo i solchi del tempo incidere sulla sua pelle i suoi segni come cerchi all'interno di un tronco.
Questo mi preoccupava.
Ricordo che da bambina temevo i giorni in cui avrei visto invecchiare i miei genitori, avrei voluto che il tempo li mantenesse giovani, temevo di vederli sofferenti, stanchi, tristi.
E adesso ero andata via, avevo perso mio padre e avevo lasciato mia madre su quell'isola ai piedi dello stivale, il Triangolo di terra che avevo vissuto, in cui il mare ci accoglie e ci vede partire.
Adesso ero già distante e non avrei potuto tornare indietro.
Non sapevo cosa avrei trovato oltre il treno oltre la terra che avevamo percorso, era tutto oltre, quell'oltre che segnò una distanza dal profumo di agrumi, dai tramonti, dalle albe che avevo cercato nelle notti insonni.
C'era lo stesso cielo ma non lo riconoscevo.
Per la prima volta abitai strade sconosciute, notai l'impegno degli abitanti del piccolo paese che raggiunsi con un taxi, strade pulite, pochi negozi.
Non sapevo ancora che c'eri tu, in quell'ultimo piano coi profumi di filtri di caffè appena versato in tazzine dai bordi doppi, con i piccoli disegni di vapore nell'aria ad attestarne il calore.
E poi il tuo profumo che adottai e ancora adesso sento la tua assenza.
Cara e preziosa Lina, amica di percorso, rifugio per confidenze che raccoglieva e conservava nello scrigno segreto dell'amicizia, in quei caffè in terrazza, nelle conversazioni fino a tarda notte.
Ci divideva un pianerottolo, ci unì un'amicizia preziosa e durevole.
Mi regalavi un sorriso e una carezza se mi mancava mamma.
I segreti che ci scambiammo restano nei silenzi dell'assenza.
Era l'alba, delicata e puntuale a profumare i gradini e ogni piano al risveglio quotidiano, bisognoso di quell'aroma per svegliarsi del tutto.
Era bello aprire le finestre, lasciare entrare i riflessi dell'alba e lasciare uscire il profumo del caffè confuso di fiori in germoglio.
Questi ricordi li conservo ancora.
C'era Gloria che era il mio fiore di campo.
Era bello il cinguettio sui rami degli alberi circostanti che dormivano circondati anch'essi dal grigio nebbioso della notte precedente che piano sbiadiva.
Abitavo la parte alta dello stivale e non faceva una piega il mio tempo per lei, per mia figlia e ogni cosa acquistava valore se la facevo per lei.
Continuai a scrivere, era il posto ideale per farlo.
Ripensai alla bottiglia e al messaggio che conteneva, la curiosità mi suggeriva di aprire il messaggio, il buon senso e la lealtà erano ottime consigliere della mia coscienza.
Resistevo.
L'Adige sostituì a pieno titolo il mare.
Fu un supplente perfetto; sulle sue rive conducevo Gloria, respiravamo l'aria pulita e fresca della piccola parte di Veneto che il fiume solcava magistralmente consentendo le passeggiate sulle rive opposte.
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