Asimmetrie di neve
Non c'è distanza rilevante tra le stagioni, ognuna segue obbediente l'altra senza possibilità di errore. Figlie dell'anno, conoscono il proprio ruolo e rispettano i loro tempi.
Quella nebbia nascondeva le stelle, la luna ed il sole del nord e il colore del cielo.
I profumi riflessi degli alberi spazzolati da fiocchi poggiati e dissolti dal vento, prima verdi e poi bianchi lasciavano incompleto l'inverno.
E poi i raggi di un pallido sole scaldavano, sciogliendo gli strati bianchi dei gradini della piccola piazza nel centro, di ogni tetto, delle auto dei residenti in sosta e di chi, di passaggio, percorreva le strade quasi deserte e il raro verde che faceva capolino tra il bianco distribuito senza simmetria sull'asfalto e i suoi bordi.
Quel cielo sul fiume sapeva di sogni, ricordava il mare, non c'erano navi all'orizzonte, le rive continuavano parallele fino a diventare un punto, sembrava finisse lì e allo sguardo una porzione di un angolo giro, una fetta di torta.
Ma il suo corso continuava.
Ed io passeggiavo in silenzio, complice e discreto compagno di un bisogno di pace.
Avevo trovato un piccolo appartamento in una palazzina di una traversa del viale principale del paese che abitammo, è lì che trovai la preziosa amica che ci amò come una figlia e una nipote.
Con lei condividemmo pomeriggi di sorrisi, passeggiate e ricordi, come parti di una stessa vita.
Abitavamo sullo stesso pianerottolo, la sua terrazza era piena di fiori.
Spesso sostavamo ai bordi di una fontana della piazza, ci capivamo, ci consolavamo,
soprattutto ci ascoltavamo.
Ascoltarsi è come un mestiere, è un canale che ti permette di creare empatia con l'interlocutore.
Noi ci ascoltavamo.
Ripensavo a mia madre, al perché non eravamo riuscite ad ascoltarci anche noi.
Adesso che non c'è più la guardo in una foto dove sorride, quel sorriso che ha perso, vorrei che le foto conservassero anche la voce, invece la cerco tra i ricordi, appoggiata ad un silenzio accostato da un sorriso.
La sogno e la penso sempre, credo che mi stia vicino.
La paura del buio la sera avvolgeva gli abbracci e quel lettino singolo sembrava un letto a due piazze perché con noi c'era la libertà.
Dove finiscono i sogni che ci portano via, che riusciamo a trovare quando gli occhi riposano.
E perché non ricordiamo i sogni?
Probabilmente i due mondi si incontrano soltanto la notte, dove i desideri diventano registi del tempo, artigiani di sogni, costruttori di mondi paralleli e la mente è completa solo lì.
A volte vorremmo restarci, a volte fuggirne.
Al risveglio sentiamo che ci manca qualcosa come se una parte di noi non si fosse svegliata.
A volte è un caos, non c'è una logica nei sogni.
Mi inseguono, vorrei gridare ma la voce non esce, sembra intrappolata, prigioniera, la gola non la lascia passare.
Perché i nostri sogni sono spesso paure che ci restano dentro nel tempo che viviamo, frenetico, confuso e cerchiamo un ordine che non troviamo.
Ma dove vanno a finire i sogni?
I sogni spesso non li ricordiamo perché restano lì, in attesa di essere continuati e si perdono.
La mente ospita ricordi come pellegrini in cerca di fede.
Ma il regista dell'ingrata solitudine rimescola, confonde gli strati dell'esperienza, non li trovi più
a volte.
Sconosciamo la fortuna dei ricordi fin quando non li perdiamo e mi chiedo: -come sarà il mio domani se perderò i ricordi?
Non voglio pensarci.
La mente ospita ricordi come pellegrini in cerca di fede.
Ma il regista dell'ingrata solitudine rimescola, confonde gli strati dell'esperienza, non li trovi più
a volte.
Sconosciamo la fortuna dei ricordi fin quando non li perdiamo e mi chiedo: -come sarà il mio domani se perderò i ricordi?-
Non voglio pensarci.
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