43. PLUS ULTRA

Aidan salì i gradini con cautela. La spada, stretta nel pugno così tanto che le nocche gli erano sbiancate, sembrava perdere brillantezza a ogni passo. Solo un lieve residuo di luce indugiava lungo la lama quando il re giunse alla fine della scala.

Non c'era possibilità di salire oltre. Il soffitto sulla sua testa si inclinava per assecondare la struttura di una cupola. Una porta aperta di fronte a lui mostrava l'unico spazio accessibile. 

Aidan la varcò.

Sentì l'uscio chiudersi alle sue spalle, ma non si voltò indietro a guardare. Piuttosto passò un rapido sguardo attorno a sé. Dalle vele del soffitto, i suoi occhi si puntarono infine sulla sagoma scura che era emersa dalla penombra della stanza e che si stava spostando verso di lui.

"Finalmente! Vi stavo aspettando".

Il ragazzo studiò il volto dell'incantatore e il sorriso sardonico che gli increspava il viso. Una rabbia sorda gli fece bruciare le viscere e salì fino alla testa. Senza nemmeno ragionare, sollevò la spada e si scagliò con violenza contro di lui.

Non arrivò nemmeno a sfiorarlo. Una raffica di vento lo sollevò e lo sbatté contro la parete alle sue spalle con brutalità. Aidan finì sul pavimento. L'arma gli scappò di mano e ricadde con un sordo suono metallico a pochi passi da lui. Il colpo lo lasciò stordito e la vista gli si appannò.

Non vedeva più Vargas, ma percepiva il turbinare cattivo dell'Arcano attorno a lui. Vilya si agitava impazzita lungo le pareti e tra le volte. L'aria, nella stanza, si faceva sempre più gelida, come se si trovasse in cima a una montagna. Aidan si puntellò contro il pavimento e si accorse che era diventato freddo e scivoloso, ricoperto da una sottile brina.

L'arciere fece uno sforzo, tirò a sé la spada e lottò per rimettersi in piedi. Sbatté le ciglia per rischiararsi la vista. Lungo le pareti, piccoli cristalli si formavano uno dopo l'altro e risalivano verso il soffitto. La stanza, poco a poco, si stava trasformando in una gabbia di ghiaccio.

La lucidità di Aidan vacillò. Restare concentrato, per qualche oscuro motivo, gli stava sembrando uno sforzo immane. La sua mente iniziò a vagare senza riuscire a trovare un porto sicuro nella tempesta dei pensieri. Il sorriso tagliente di Vargas e l'espressione maligna con cui lo fissava gli stavano scatenando dentro una ridda di caotici ricordi: la voce di Edhel, quella di Silanna e, infine, quella di sua madre, che la sua volontà aveva seppellito nei recessi più profondi della memoria.

Non devi permettere che il ghiaccio ti tocchi!

Si guardò attorno con rassegnazione, mentre il fiato gli si condensava in una nuvola leggera.

Troppo tardi.

Si concentrò sulla mano che stringeva la spada e si accorse che tremava. Era giunto in quel luogo quasi rispondendo a un richiamo, senza davvero pensare a cosa avrebbe fatto. In quel momento, di fronte a Vargas, si accorse di non avere a disposizione nessuna arma che non fosse la sua bruciante sete di vendetta. Non era abbastanza.

"È tutto qui quello che sapete fare?", domandò l'incantatore con una punta di delusione nella voce. "Non siete divertente".

Aidan impiegò ogni sua energia per raddrizzare la schiena e rendere salda la stretta attorno all'arma. Si staccò dalla parete e fece qualche cauto passo verso l'elfo. Un ghigno ironico e amaro gli curvò le labbra, mentre le sue iridi chiare si accendevano di un oscuro bagliore.

"Mai quanto Edhel, immagino".

Vargas non si mosse. Attese che il giovane avanzasse ancora, fino a essere a portata della sua spada, poi gli sorrise.

"In effetti devo riconoscere che il principe Edheldûr è stato uno dei giocattoli più spassosi che abbia mai avuto tra le mani".

Aidan digrignò i denti e il suo viso si contrasse in una smorfia minacciosa. Sollevò la spada e la calò con violenza repentina.

La lama rimase bloccata a mezz'aria, a una spanna dal viso dell'avversario.

Il ragazzo sgranò gli occhi per la sorpresa. Con il solo palmo aperto, muovendo appena le dita, Vargas modellava l'Aria con sottile e implacabile abilità. Una superficie immateriale e infrangibile aveva fermato il suo terribile fendente, poi aveva cominciato a spostarsi verso di lui. Aidan provò a respingerla, ma un peso crescente lo schiacciava al suolo.

"E di certo", continuò il Maestro, "di certo ha dimostrato di avere un macabro senso dell'umorismo".

L'elfo lo sovrastava e lo teneva sotto scacco con il semplice gesto. La sua mano scarna ondeggiava sopra la testa bionda di Aidan. Il suo sguardo era carico di palese disprezzo.

"Che idea! Riunire i Quattro Sacri Daimon dentro un involucro così indegno, in una creatura di stirpe inferiore, in un corpo tanto fragile!", continuò disgustato. "Ma Edheldûr non ha mai avuto buonsenso".

Aidan era bloccato. Tentava di opporsi alla forza invisibile che lo schiacciava verso il basso e, insieme, di ascoltare ogni parola. La mano gli scivolò sul terreno ghiacciato mentre cercava di resistere. Non gli restava molto tempo. Appena Vargas ebbe sospirato una volta ancora il nome di suo fratello, si diede uno slancio con le gambe e si sottrasse alla spinta magica. Rotolò verso il fondo della stanza e si allontanò quanto più possibile dalla morsa del suo avversario.

Si girò su se stesso, un ginocchio puntellato al suolo, l'altra gamba piegata, in perfetta posizione di tiro. Estrasse la lama elfica dalla cintura e la lanciò con precisione contro Vargas. Voleva approfittare della sorpresa generata dalla sua reazione, ma l'incantatore intuì lo spostamento dell'Aria. Con un solo movimento della mano, deviò la traiettoria del pugnale, che riuscì solo a graffiargli il braccio prima di piantarsi sul pavimento alle sue spalle.

L'elfo fissò irritato il taglio sulla veste e la riga di sangue che iniziava a macchiare la manica. Con un rapido incantesimo richiamò a sé il coltello, che si staccò dal suolo e schizzò verso la sua mano, quindi guardò Aidan. Si aspettava l'arrivo dell'altro colpo, ma si accorse che il ragazzo era immobile, intento a studiarlo con la sola spada nella mano destra. Non aveva altra lama al fianco. Con un gesto di scherno, lanciò indietro il pugnale e lo fece atterrare vicino al piede del suo proprietario.

"Mi sembrate piuttosto a corto di armi, quest'oggi", commentò divertito. "Che ne avete fatto di Isil? L'avete scordata dentro il petto di vostro fratello?"

Quell'osservazione generò una subitanea rabbia in Aidan. Fece per reagire ma, senza alcuna logica apparente, qualcosa lo frenò. Nel calderone caotico di sentimenti violenti che lo stavano sopraffacendo, Aidan avvertì un sollievo inaspettato.

Vargas non ha idea di dove sia Isil!

Silanna aveva detto il vero, Silmëran era schermata e protetta. Nemmeno la mente di un Daimonmaster potente come Vargas poteva indagare i misteri celati all'interno delle sue volte di roccia e quell'evidenza condusse Aidan a una sola conclusione: il piccolo Edhel era al sicuro.

Quel pensiero si impose sulla confusione che lo agitava e mise a tacere ogni altro istinto nefasto. Era una speranza che sussurrava al cuore e gli suggeriva che poteva affrontare quello scontro con serenità, senza perdere la testa. Edhel sarebbe rimasto in vita. Doveva solo portare a termine il proprio compito: uccidere Vargas, in un modo o nell'altro.

Con calma innaturale e altrettanta lentezza si rimise in piedi, sistemò la presa sulla spada con entrambe le mani e iniziò a duellare con l'incantatore con metodica precisione. Si concentrò sui suoi gesti e sui suoi incantamenti come se fossero affondi di spada, frecce e quadrelle. Si impegnò a schivarli e ad avanzare verso l'avversario, in attesa della mossa utile per piazzare una stoccata.

Edheldûr fremeva fino alla punta delle orecchie.

Il suo spirito si agitava inquieto, incapace di trovare un punto fermo al quale ancorarsi. Il corpo, o ciò che ne percepiva, era arso da un calore bruciante.

Da un angolo della stanza seguiva lo scontro senza perdere un movimento, una smorfia, uno sguardo. La frustrazione e la disperazione lo stavano divorando.

Aveva tentato in ogni modo di intervenire, aveva cercato di toccare Aidan, ma alla fine si era dovuto arrendere all'evidenza: erano nella stessa stanza e nello stesso momento nel tempo, ma abitavano due dimensioni diverse di quell'istante. Due dimensioni che non si toccavano, separate da un velo invalicabile che lo obbligava a essere solo un mero spettatore.

"Inutile, inutile!", rimuginò furioso.

Perché la volontà degli Dei lo aveva scagliato proprio lì? Perché, tra tutti gli infiniti attimi possibili, si era materializzato proprio di fronte a quel duello, se poi gli era proibito prendervi parte?

Cominciò a urlare il nome di Aidan, ma il suo grido rimbalzò contro le spire del tempo che si scioglieva davanti ai suoi occhi.

Il suo gemello non poteva sentirlo. La sola azione di cui sembrava capace, a quel punto dello scontro, era sfuggire agli attacchi di Vargas. Si spostava da una parte all'altra della sala, ma non gli riusciva di mettere a segno nessuno dei suoi colpi. E, mentre l'incantatore teneva la propria posizione senza alcuna fatica, Aidan era sempre più stanco e il respiro gli si era fatto pesante. Le pareti e la volta della sala erano coperte di uno strato di ghiaccio che rendeva scivolosa ogni superficie. Il freddo si era fatto intenso e, nonostante l'arciere fosse in continuo movimento, cominciava a penetrargli dentro.

"Dannazione, Aidan! Ascoltami!", urlò Edhel una volta ancora. "Devi sentirmi in qualche modo... tu mi senti sempre!"

Pronunciò quell'ultima frase, poi la voce gli venne meno. Sentì la propria volontà spezzarsi di fronte all'ennesimo fallimento e si lasciò cadere a terra sulle ginocchia. Due grosse lacrime si staccarono dalle sue ciglia e gli rigarono le guance.

"Mi senti sempre...", ripeté con voce soffocata dal pianto.

In quel momento, Aidan si tirò indietro per schivare la lancia d'Aria che Vargas gli aveva scagliato contro e perse l'equilibrio. Il piede gli scivolò sul ghiaccio e l'arciere ricadde sulla schiena. L'incantatore, stanco di quella noiosa schermaglia, lo bloccò a terra con un incantesimo e si avvicinò a lui con passo flemmatico.

"Non avete che da arrendervi, Aidanhîn. Dovete solo mettervi al mio servizio e questa inutile guerra cesserà".

Aidan guardò Vargas senza un filo di remissività e cercò di svicolare una volta ancora, ma senza successo.

"Servite me", proseguì il Maestro con il medesimo tono mellifluo. "Non avete a cuore la vita di vostro fratello e quella dei vostri compagni? Non siete voi quello che diceva di volere la pace e il benessere per tutti? Vi basta una sola parola..."

Il ragazzo si sollevò con uno strattone violento e sputò per terra prima di doversi di nuovo arrendere al giogo magico che lo immobilizzava. Vargas non avrebbe osato ucciderlo. Gli serviva vivo, lo aveva capito da un pezzo, altrimenti lo avrebbe già finito. Gli serviva vivo, quindi poteva torturarlo e giocare con lui al gatto e al topo finché ne avesse avuto la forza. Doveva esacerbarlo al punto da farsi uccidere. Doveva forzarlo a distruggere il suo prezioso trofeo con la propria ostinazione, e quel limite sembrava ormai vicino.

"Preferisco fare la fine di Edhel, piuttosto che servire voi!", gli gettò in faccia.

Vargas cacciò fuori un rauco ruggito di esasperazione.

"La fine di Edhel, eh? Come desiderate".

L'Aria si addensò e prese l'aspetto di una nuvola di frecce sopra la testa di Aidan. I dardi tremolarono sotto la volta gelata, poi si precipitarono sul corpo dell'arciere.

Aidan serrò le palpebre e gridò con tutte le sue forze. Edhel gridò nello stesso istante, ma le due onde sonore si dispersero in spazi diversi e separati, senza incontrarsi, senza amplificarsi.

"Benedizioni dell'Aria!", urlò l'arciere. "Benedizioni della Luce".

Le frecce si arrestarono a mezz'aria e si dissolsero in un bagliore. Un lieve scudo dorato protesse Aidan dalla violenza di Vargas. L'incantatore, sopraffatto e furente, lo mandò in frantumi con un incantesimo e si preparò ad attaccare di nuovo. Ne aveva abbastanza della resistenza di quel ragazzino, lo avrebbe spezzato una volta per tutte.

Edhel osservò con un ghigno soddisfatto l'espressione iraconda del suo antico maestro. Cancellò in fretta le lacrime con il dorso della mano, quindi riportò uno sguardo trionfante sul gemello.

"Finalmente, fratellino! Ti aspettavo da un'eternità".

NOTA DELL'AUTORE

Plus ultra significa Andare oltre, superare i propri limiti. La locuzione si oppone alla più famosa Nec plus ultra (modernizzato in Non plus ultra), ovvero Non più avanti. Quest'ultima frase, secondo il mito, fu incisa sulle Colonne d'Ercole dallo stesso eroe, poiché le due montagne che delimitavano lo stretto di Gibilterra erano considerate i limiti estremi del mondo, oltre i quali nessun mortale poteva spingersi.

Plus ultra, quindi, indica la volontà di superare ogni limite, anche il più estremo.

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