42. QUID NIHIL POTEST SPERARE, DESPERET NIHIL
Aidan avanzava con estrema cautela. La sua vista da elfo, acuita dalla tensione che gli agitava ogni fibra del corpo, lo guidava bene attraverso le sale semibuie della torre. La spada tesa di fronte al suo viso brillava della luce di Silmëran evocata da Silanna. Il rumore della battaglia che infuriava all'esterno dell'edificio si attutiva a ogni passo.
Salirono la prima rampa di scale senza incrociare nessuno ma, appena raggiunsero il primo livello, un gruppo di uomini in arme si lanciò contro di loro. Li comandava un Elfo Scuro. Silanna scagliò contro di lui un incantesimo di Luce e i due iniziarono a lottare, mentre gli uomini di Aidan e Galanár rintuzzavano le spade dei soldati.
Superarono quello e un altro paio di agguati simili. Forse Galanár aveva visto giusto nel giudicare Vargas. In qualche modo, sembrava aver abbassato la guardia. Entrare nella torre e procedere al suo interno si stava rivelando più semplice del previsto. Silanna e i suoi Maestri avevano agevole gioco nel ridurre all'impotenza i Daimonmaster che fronteggiavano, e i soldati erano facili avversari per le loro abilità guerresche.
Mentre procedevano nella loro ricerca, un'idea cominciò a prendere forma nella mente di Aidan e crebbe fino a trasmettergli una strana stretta al cuore. Qualcosa lo stava chiamando, qualcosa lo stava aspettando. Una nuova fitta di dolore lo attraversò da parte a parte, simile a una spada che lo lacerava dall'interno. Fu costretto a fermarsi e a poggiare una mano contro il muro per non perdere l'equilibrio. Un rivolo di sudore freddo gli attraversò il viso.
Silanna gli fu subito accanto. Il calore della sua mano si irradiò dalla spalla al petto e gli permise di tornare a respirare, ma il volto dell'incantatrice non era affatto sereno. Continuava a fissare Aidan con un'ansia tale da non sfuggire nemmeno a Galanár, che si fece largo tra i suoi uomini, fermi in attesa che Aidan desse loro l'ordine di proseguire.
"Che succede?"
L'arciere sollevò il volto pallido e si tirò su, senza lasciare il suo appoggio contro la parete.
"Va tutto bene", si affrettò a rispondere. "Proseguiamo".
Galanár interrogò Silanna con lo sguardo, ma lei si limitò a scuotere il capo, lasciando intendere che non era quello il momento per le spiegazioni.
"Proseguiamo", gli ripeté con voce sommessa.
Giunsero infine in una sala rotonda, nella parte alta della torre. Su un tavolo, in bella vista, c'erano pile di libri e fogli sparsi. Il vento che entrava violento dalla finestra aveva spazzato alcune carte sul pavimento. Un calamaio piegato sullo scrittoio aveva fatto colare il suo denso liquido nero fino a terra, dove giaceva il calamo, abbandonato come tutto il resto da uno scrivano che aveva dovuto lasciare in tutta fretta il suo posto.
Galanár ispezionò ogni oggetto con attenzione, poi si sporse dalla bifora. Sotto di lui infuriava lo scontro. I suoi uomini stavano ancora respingendo l'esercito avversario e li tenevano fuori dalla portata del nemico. Si impose di non soffermarsi troppo in quell'osservazione e si allontanò con un gesto brusco dal davanzale, quindi si girò verso i compagni che stavano studiando la sala.
"Erano qui fino a poco fa", osservò. "Non possono essere andati lontano".
Aidan annuì da un angolo della stanza in cui si era infilato. Dietro una libreria, stava osservando una stretta porta aperta su uno spazio buio.
"C'è un passaggio", confermò con voce fosca.
Galanár lo raggiunse e prese a osservare il varco. Dei gradini salivano verso l'alto.
"Andiamo", disse.
Aidan si voltò a guardarlo con un'espressione indecifrabile. Sollevò la spada e l'appoggiò contro lo spallaccio d'argento del generale.
"No. Vado da solo".
Galanár sbatté le ciglia per lo stupore. Il fratello non sembrava nemmeno in sé.
"Aidan, che dici?", protestò.
L'arciere spinse la lama con maggiore forza contro la sua spalla, scosse il capo e gli rivolse un sorriso oscuro.
"No", ripeté con voce di ghiaccio. "O io, o lui, o tutti e due".
"Ma che significa?"
Galanár non ebbe nemmeno il tempo di completare la domanda. Aidan lo spinse indietro con la guardia della spada, si infilò nell'ingresso e tirò l'uscio dietro di sé. Il fratello si lanciò dietro di lui e cercò di trattenerlo, ma impattò contro la dura superficie della porta.
Non aveva né serratura né batacchio. Galanár poté solo battere i pugni e chiamare il fratello a gran voce, ma dall'altra parte non giunse alcun suono. Si staccò da lì e fece qualche passo indietro. Stava ancora rimuginando su come avrebbe potuto buttare giù quell'ostacolo, quando si sentì trattenere da un braccio. Era Silanna, che lo guardava calma.
"Lascialo andare".
Lo tirò verso il centro della stanza con decisione. Galanár la guardò sbigottito, senza riuscire a decidere se strapparsi dalla sua stretta e ostinarsi a seguire il fratello, o se lasciarsi guidare da lei. In quel momento un manipolo dei suoi cavalieri fece irruzione nella sala.
"Generale, stanno scappando giù per le scale. Si stanno asserragliando nei sottosuoli".
Lui soppesò per un istante quella nuova informazione.
"C'è bisogno di te, là sotto", rimarcò Silanna.
Il re distolse lo sguardo con una smorfia. Liberò il braccio dalla sua mano e andò verso i suoi uomini.
"Scendiamo", ordinò. "Occhi ben aperti e armi in pugno. Sono topi, non diamo loro alcun vantaggio".
Il boato si scagliò verso il cielo terso. L'urto di armi e metallo rimbalzò sulle bianche mura di Valkano e si schiantò contro le pareti di roccia millenaria. I due eserciti erano venuti subito allo scontro e le fanterie erano già impegnate nel sanguinoso corpo a corpo al centro del campo di battaglia.
Un sole freddo si era levato in cielo a illuminare l'intrico di lame e di piastre. Mellodîn e Bellator percorrevano a cavallo le ali del loro schieramento e indirizzavano i contingenti a rafforzare i punti scoperti. Adwen e Aegis seguivano la scena dall'alto delle mura.
La regina era fremente e tesa come la corda di un'arpa. Le labbra le tremavano e sembravano sul punto di voler pronunciare qualcosa. Il Maestro le si fece più da presso.
"Non possiamo far nulla per il momento, maestà", mormorò piano.
"Attenderemo che ci vengano addosso, allora? Quando accadrà, sarà troppo tardi".
"Lo scontro è troppo serrato. Se usiamo la magia potremmo colpire i nostri soldati".
Adwen si scostò dalla balaustra e si allontanò da quella vista. Si coprì il volto con una mano e si lasciò sfuggire un suono quasi disperato, simile al pianto.
"Oh, Aegis... io ho già visto guerrieri scontrarsi sotto queste mura, anni fa", confessò. "Se non possiamo usare la magia, siamo spacciati".
Lui la raggiunse, le prese una mano tra le sue e gliela sfiorò con delicatezza.
"Il giorno in cui Galanár ha scelto di non difendere Valkano, la mia unica reazione fu quella di piangere la fine di questo luogo. Il principe Edheldûr, al contrario, ha creduto fino alla fine che il monastero non sarebbe caduto".
La sua voce, calma e pacata, sembrò mitigare il tremore di lei. Le sue parole la obbligarono a sollevare le ciglia per guardarlo.
"Io ho rinunciato alla speranza e ho avuto torto. È stata la fede incrollabile del Supremo Daimonmaster a tenere viva l'anima di questo luogo, ed è per questo che voi e io siamo qui a difenderlo, adesso", proseguì, accennando un sorriso. "La speranza, mia signora... la speranza è la vera forza che possediamo, la spada con cui salveremo il nostro mondo".
Adwen non disse nulla, ma assentì con il capo. Sciolse la mano dalla stretta di lui, si girò e tornò al suo posto. Al posto che doveva occupare come regina di Helegdir, vicina a coloro che stavano combattendo per lei e per la sua casa.
Mellodîn sollevò il viso verso gli spalti del castello. Si accorse che Adwen si era allontanata, e con lei anche Aegis. Quel vuoto gli instillò nell'animo un cupo timore. Stava accadendo forse qualcosa all'interno che lui non era in grado di vedere dalla sua posizione?
Sfruttò uno dei corridoi liberi tra le file di uomini che si serravano per assorbire i nuovi assalti e cercò di spostarsi verso il centro. Una volta lì, guardò di nuovo in alto. I due elfi erano tornati al loro posto. Tirò un sospiro di sollievo e si girò per concentrarsi di nuovo sullo scontro. In quel gesto, un riflesso di luce lo abbagliò.
Un raggio di sole doveva aver colpito uno dei gioielli di Adwen e gli aveva ferito gli occhi. Un ricordo gli attraversò la mente e gli riportò alla memoria l'immagine di un altro assedio, di un altro castello, di un simile lampo di luce nel mezzogiorno.
Abbracciò con uno sguardo la battaglia che infuriava a pochi metri da lui e un dubbio lo assalì. Agitò le redini senza perdere un attimo, attraversò le retrovie e tagliò il suo intero schieramento. Doveva parlare con il suo capitano e non aveva più molto tempo.
"Bellator!"
Mellodîn gli piombò al fianco come un falco. Era senza fiato. La sua espressione tirata mise subito in allarme il capitano di Medthalion.
"Comandante, che succede?"
"Abbiamo sbagliato tutto. Dobbiamo riportare gli uomini oltre la prima cinta e sulle mura della fortezza".
Il giovane guerriero lo guardò come se fosse impazzito. Erano nel pieno dello scontro e stavano a malapena arginando l'attacco nemico, come avrebbero potuto impartire un simile ordine?
Mellodîn, però, non gli diede tempo di dare voce alle sue perplessità. Con urgenza, prese a rovesciargli addosso il suo discorso.
"A Formenos, durante l'assedio, Edhel mi ha raccontato qualcosa a proposito di Valkano... qualcosa che avevo dimenticato, ma che adesso non riesco a togliermi dalla testa. Ha detto che il monastero è caduto perché non c'era nessuno a proteggere gli incantatori".
Il capitano sollevò un sopracciglio, perplesso. Quella frase non era in grado di suggerirgli nulla di utile.
"Dunque?", domandò scettico.
"Siamo nel centro della magia elfica! Dieci di quegli incantatori sarebbero sufficienti a spazzare via ogni forma di vita per miglia, ma non possono fare nulla finché sono sotto la minaccia di una spada..."
"Ah, quindi è per questo che li vorresti privare della difesa delle nostre armi?"
"O finché noi restiamo nella loro traiettoria!", completò il comandante con decisione. "Possiamo combattere davanti al castello e sacrificare migliaia di uomini sull'altare di una incerta vittoria, oppure... oppure possiamo toglierci di mezzo, proteggere Aegis, Adwen e gli altri Daimonmaster, e lasciare che siano loro a sconfiggere il nemico".
Bellator, prima sorpreso, si era fatto attento, ma dal suo viso non era ancora scomparsa la perplessità con la quale aveva accompagnato l'intero discorso del comandante.
"Siamo a Valkano", insistette Mellodîn. "Dobbiamo combattere secondo le loro regole, non secondo le nostre!"
Il capitano si passò una mano sulla barba e l'accarezzò con le dita guantate.
"Vincere una battaglia facendo solo affidamento sulla magia", mormorò. "Il generale non lo permetterebbe nemmeno tra mille anni".
Mellodîn sorrise e gli lanciò uno sguardo di sfida.
"Io non vedo nessun generale, qui. Solo un comandante".
Mellodîn e Bellator divisero i reparti con rigido ordine. Cominciarono con le retrovie, poi con le ali dello schieramento. Drappello dopo drappello, li fecero indietreggiare, rientrare nella fortezza e quindi dispiegare di nuovo lungo le mura. L'eroica avanguardia di Medthalion era rimasta a tenere il centro del campo. Impegnava nel corpo a corpo i fanti avversari per dare ai compagni il tempo di completare quella strategica ritirata.
Mentre cercava di raggiungere la parte più alta della fortezza, Mellodîn si attardò a fissare il suo capitano. Bellator era rimasto sul camminamento della prima cinta di mura.
Guardava i suoi soldati rimasti a contrastare gli assalti. Gli dava le spalle, ma per il comandante non era affatto difficile figurarsi la sua espressione. L'aveva vista così tante volte!
Gli occhi del capitano di Medthalion si erano di certo stretti in una fessura scura e il suo volto doveva essere diventato una maschera inespressiva. Solo le labbra si muovevano rapide a impartire ordini secchi agli arcieri, di scagliare qualche freccia in un determinato punto. L'unica cosa che poteva dare pace al suo spirito, in quel frangente, era cercare in ogni modo di strappare qualche vita alla spada del nemico. Così stava usando i tiratori migliori ogni volta che intravedeva la possibilità di un lancio che disingaggiasse uno dei suoi uomini dalla lotta o che potesse dare a un altro il tempo di raggiungere le porte della fortezza e la salvezza.
Il comandante sospirò. Aveva sempre trovato in Bellator un ottimo subalterno, perché un po' gli somigliava, nonostante il temperamento sanguigno che si discostava parecchio dalla flemmatica calma che contraddistingueva Mellodîn. Pregò gli Dei tra sé perché concedessero a quel ragazzo di arrivare alla fine di quell'ennesima prova di coraggio senza andare in pezzi, quindi affrettò il passo per raggiungere gli spalti, dove si trovavano Aegis e Adwen.
L'incantatore, che aveva seguito con attenzione ogni manovra ordinata dal comandante, gli rivolse uno cenno. Mellodîn ricambiò con un mezzo sorriso, poi distese un braccio a indicare la spianata e lo schieramento avversario.
"Il nemico è tutto vostro, signori".
Aegis increspò le labbra e assentì con un breve gesto del capo. Si voltò a fissare con fierezza lo scenario di guerra che si stendeva di fronte a loro, quindi si rivolse ai suoi fratelli, agli Alti Elfi che si erano già disposti sulle mura.
"Fëantúri!", esclamò con voce così forte da scuotere l'aria gelida che li attorniava, "Maestri, incantatori..."
Le sue parole si persero nell'eco che le sovrastò. La voce magica di Valkano, forgiata da centinaia di voci fuse in unico incantesimo, si levò. La volta della biblioteca si illuminò al punto da essere visibile pure sotto la luce del mezzogiorno. Le quattro colonne portanti dell'edificio consacrato da Aidan si accesero di rubino, smeraldo, acquamarina e diamante, come venature in rilievo sul corpo di un guerriero che contrae i muscoli prima dell'assalto.
Aegis lanciò una rapida occhiata alla regina, che rispose con un risoluto battito di ciglia prima di tornare a guardare davanti a sé. Con voce sicura e scurita da una forza innaturale per lei, l'elfa aggiunse il proprio incantesimo al coro generale. La terra di fronte alla fortezza tremò. Come un'onda che, dalle mura, si allargava verso l'esterno, la volontà di Adwen e del suo Daimon si abbatterono sul nemico. L'attimo dopo il cielo di Valkano si colorò di stelle di fuoco, di scaglie di ghiaccio e di turbini grigi che sfidarono il blu del cielo.
L'ira degli Alti Maestri si era levata.
NOTA DELL'AUTORE
La frase di Seneca, Quid nihil potest sperare, desperet nihil (Medea, Atto II) significa Chi non ha più speranza, ecco chi non deve disperare.
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