38. OMNIA MUTANTUR, NIHIL INTERIT

La luce dell'alba irruppe alle loro spalle, superò con un balzo il nutrito contingente di uomini e scivolò lungo il profilo aguzzo delle montagne. Lossmir, il Gioiello di Ghiaccio era di nuovo di fronte a loro, pronto ad abbracciarli con le sue ali di cristallo.

Mellodîn si sorprese a studiare la linea della montagna con immutato stupore. Stava percorrendo la stessa strada che Aidan aveva mostrato loro quando erano partiti alla volta delle Terre Remote, eppure quello spettacolo gli stava mozzando il fiato come se vi stesse assistendo per la prima volta.

Per un istante desiderò avere Galanár al suo fianco. Avrebbe davvero voluto che assistesse con i propri occhi a quella indescrivibile manifestazione di potenza. Chissà quale effetto avrebbe mai potuto avere sul suo cuore. Se avrebbe domato la sua ambizione e se sarebbe riuscita a renderlo finalmente cosciente dei suoi limiti.

Sollevò il capo e scrutò il cielo intonso di lapislazzuli che incombeva sul loro passaggio.

Deve esistere un senso anche nei continui ritorni.

Avevano parlato a lungo, la notte prima della partenza da Silmëran e, quando ripensava a quella discussione, si risvegliava in lui uno scomodo dissidio, un miscuglio di emozioni contrastanti che non era ancora in grado di decifrare.

Galanár non gli era mai apparso tanto lucido come in quel momento. Una lucidità che, però, non aveva nulla a che fare con la sua abituale freddezza, con il suo modo pragmatico di analizzare e disporre i pezzi sulla scacchiera. Era una consapevolezza di sé e degli eventi che, a ben vedere, avrebbe dovuto renderlo disperato. Il suo regno stava andando in pezzi e quella che avrebbe dovuto essere una gloriosa spedizione era in procinto di tramutarsi in un'impresa al limite del suicidio. E lui, invece, era sereno.

Era bizzarro affrontare quell'idea, che tutti i consigli che aveva dato al re e tutte le speranze che aveva riposto in lui avessero preso forma concreta quando ormai era troppo tardi. Quando il loro profumo si era sbiadito e la loro efficacia si era fatta effimera.

Chissà se Galanár avrebbe avuto la capacità e il coraggio di correggere gli effetti devastanti dei suoi errori e della sua leggerezza. Era più probabile che, alla fine, avrebbe ceduto all'abitudine e avrebbe cercato di forzare una volta ancora gli eventi per condurli dove desiderava la sua volontà. Ma era stata proprio la sua volontà a spingerli oltre i limiti. Era stato il suo desiderio di controllare tutto a far crollare il sistema.

Era indubbio che la distruzione di Opanje avesse aperto una breccia nel mondo interiore di Galanár. I giorni trascorsi a Silmëran e l'intensa magia di quel luogo avevano solo portato alla luce quel forziere sommerso. Un forziere colmo di rimorsi e di rimpianti, ma che conservava ancora al fondo la volontà di rimediare a quel danno. Restava solo da capire se il cambiamento sarebbe giunto in tempo per arginare la rovinosa caduta cui Galanár sembrava destinato, o se sarebbe rimasto solo un tardivo medicamento per la coscienza malata del re.

La sola certezza che avevano, e che non era di conforto a nessuno dei due, era la loro separazione. Per la prima volta non sarebbero scesi in campo insieme. Per la prima volta non avrebbero combattuto fianco a fianco.

Era una sensazione strana e fastidiosa, eppure il comandante ne comprese anche la complessa necessità.

Doveva accadere, presto o tardi.

La forza, la bellezza, la ricchezza, il successo in battaglia, il continuo entusiasmo per la scoperta e la conquista. Quegli inebrianti elementi li avevano portati a vivere in una sorta di aurea e invincibile giovinezza, ma la giovinezza era finita senza che quasi se ne fossero accorti. Era giunto il tempo, per lui e Galanár, di gettarsi alle spalle una parte della loro esistenza e di guardare con occhi diversi alla realtà.

Se entrambi fossero sopravvissuti, avrebbero dovuto trovare nuovi modi per disegnare la loro amicizia, che non sarebbero più passati necessariamente sul filo di una spada o attraverso la polvere del terreno di battaglia.

"Alis! Alis!"

Adwen si precipitò nella stanza, incurante del brusco rumore dell'anta di legno sbattuta sullo stipite, della paura che avrebbe provocato la sua irruenza, della veste che rischiava di impigliarsi. Entrò e si bloccò di fronte allo sguardo attonito di Alis. Aveva il viso arrossato e il respiro accelerato dalla corsa. Alcune ciocche bionde le erano sfuggite dalla crocchia e le erano ricadute attorno al viso, gli occhi le brillavano come i petali di Jacaranda in fiore. Tra le dita stringeva un piccolo pezzo di carta.

"Alis!", ripeté al colmo di una gioia che non riusciva più a trattenere. "Lui sta arrivando... il comandante sta tornando qui!"

L'emozione che stava animando Adwen era tutta nel fatto di poterle portare proprio quella notizia. Certo, c'era stato un istante, un brevissimo istante mentre infrangeva il sigillo e dispiegava il dispaccio, in cui aveva sperato di leggere un diverso nome tra quelle righe, ma era stata una flebile speranza alla quale non si era voluta aggrappare. In cuor suo, sapeva che quel nome non sarebbe mai stato scritto né su quello né su nessun altro foglio, quindi riteneva giusto che almeno qualcun altro fosse felice al suo posto.

Alis, sulle prime, stentò a dare un senso compiuto alle sue parole. Si coprì la bocca con la mano, nel vano tentativo di arginare l'emozione, e interrogò il viso sorridente della regina. Adwen annuì in risposta al suo silenzioso scetticismo e solo allora Alis si concesse il permesso di cedere ai propri sentimenti. Si alzò in piedi e abbracciò l'elfa di slancio.

Adwen si lasciò travolgere da quell'affetto. Senza rendersene conto, anzi, quasi vi si aggrappò. Se non poteva provare la gioia, poteva ancora provare la speranza. Poteva ancora credere che tutto si sarebbe risolto per il meglio appena Mellodîn fosse giunto lì.

Si sciolse dalla stretta e fissò l'amica piena di entusiasmo.

"Dobbiamo andare subito a dare la notizia a Lord Aegis".

Le prese la mano e la trascinò fuori dalla stanza con la fretta di una bambina.

"Vi porto buone nuove, Aegis".

A quella frase, l'incantatore abbandonò sul tavolo le carte che stava leggendo e sollevò il capo verso la regina. Era raggiante, impossibile non notarlo, tanto più che la sua luce sembrava contrastare con l'aspetto ombroso e dimesso del Maestro.

"Il comandante Mellodîn e il capitano Bellator hanno appena superato il valico di Helcaldar e sono diretti qui".

Lui la guardò scettico. Chi poteva aver avvertito il re, e in modo tanto tempestivo?

Adwen sembrò cogliere quelle domande in un solo sguardo e gli indirizzò un sorriso che lo invitava a mettere da parte, per una volta, angosce e perplessità, e che chiedeva piuttosto di rallegrarsi della loro inaspettata fortuna.

"Gli Dei devono aver ascoltato le nostre preghiere", suggerì amabile. "Galanár ci invia una parte del suo esercito per difendere Valkano".

Aegis, a quel punto, si sforzò di ricambiare il sorriso, ma subito ridivenne serio. Adwen, a quel mutamento, gli si fece da presso e sfiorò con le dita le carte che lui stava consultando al suo arrivo.

"Qual è la situazione?", chiese.

"Gli Elfi di Laurëgil hanno giurato fedeltà a re Lomion, e così quelli di Harmaros, ma le altre città dei due regni stanno rispondendo in modo discorde. Solo Foroddir sembra estranea alla rivolta. Ne ho rafforzato i confini e allertato i soldati che presidiano la capitale, ma non c'è traccia di ribellioni nelle terre del Nord".

L'elfo prese una pausa e il suo tono si fece più diretto, mentre guardava la regina con un'espressione che mescolava sollecitudine e urgenza.

"Non appena il comandante avrà raggiunto Valkano, sarebbe opportuno che voi vi rifugiaste a Formenos".

Adwen sembrò soppesare le sue ultime parole, poi scosse il capo con aria decisa.

"Io resterò a Valkano".

Aegis sussultò per la sorpresa.

"A Valkano, signora? Vi ho appena detto che solo Formenos è sicura. Se Harmaros è in rivolta, Valkano sarà il prossimo luogo che attaccheranno. Restare qui significa rischiare di trovarvi in mezzo agli scontri".

"Ma Helegdir è il mio regno e Valkano ci è rimasta fedele, a discapito della propria sicurezza. Non ho nessuna intenzione di abbandonarla al suo destino".

L'incantatore continuò a scrutare lo sguardo chiaro di Adwen con evidente preoccupazione, mentre si tormentava le mani tra le pieghe della sua tunica. Lei aveva parlato con calma e decisione, ma lui non poteva fare a meno di chiedersi fino a che punto fosse consapevole dei pericoli che avrebbe corso inseguendo la sua idea.

"Altezza", proruppe con lo stesso tono pacato, "c'è del vero nelle vostre parole, ma non siete voi a dovervi esporre, a dover esporre la vostra vita di fronte a questo pericolo. Galanár ci sta dando il suo supporto. Lasciate che sia lui, assieme a vostro marito, a risolvere questi tumulti".

"Mio marito non mi ha fatta regina di Helegdir perché io lasciassi il suo regno di pace in mano alla violenza alla prima occasione. Sono sicura che mi appoggerebbe in questa decisione".

"E io temo, invece, che non vi appoggerebbe affatto!", la rimproverò Aegis. "Aidanhîn è un soldato e sa cosa significa combattere, mentre voi, signora... con tutto il rispetto, siete un'incantatrice, come lo sono io. Anche dopo mille battaglie, la nostra vocazione resterà un'altra. Noi non siamo fatti per la guerra".

Adwen non si adirò per il modo brusco con il quale si era indirizzato a lei. C'era una sincera apprensione nell'attitudine del Maestro. Era agitato dal pensiero di tenerla al riparo da quella tempesta. La sollecitudine che Aegis continuava a dimostrare a lei e ad Aidan in ogni occasione non faceva che aumentare il suo affetto di rimando, ma era altrettanto sicura della sua decisione che aveva preso.

"Non esiste al mondo creatura che dubiti delle proprie capacità più di me, posso assicurarvelo", replicò con franchezza. "Non ho la pretesa di essere in grado di risolvere la situazione, ma questo è un mio compito, che mi piaccia o no. Valkano è la mia casa, come un tempo è stata la vostra, e devo restare qui a difenderla, anche se sono la persona più indegna per farlo".

Tacque un istante e si accorse che gli occhi dell'elfo non l'avevano mai lasciata. La seguiva con uno sguardo quasi implorante, ma senza osare interrompere né contraddire il suo discorso. La regina gli prese una mano e la strinse con fervore, come se quel contatto le fosse necessario per trasmettergli ogni sua emozione.

"Sono stata creata Daimonmaster per mano del Supremo Daimonmaster, e questo è stato per me un dono degli Dei. Non sono nata forte, lo so fin troppo bene, ma posso esserlo se rispetterò la fiducia che altri hanno riposto in me".

A quelle parole, il viso del Maestro parve distendersi. Sollevò la mano che serrava la sua e si chinò a baciarla con devozione, quindi tornò a guardare la regina con un'espressione piena di rispetto.

"La ragazza che ad Hakala ha salvato la vita del re", mormorò con un sorriso. "La rosa, che tutti dicevano che si sarebbe spezzata, è rimasta in vita".

Adwen gli restituì il medesimo sorriso.

"Mandate un messaggio di risposta al comandante Mellodîn", disse. "Ditegli che lo attenderemo con ansia a Valkano, dove respingeremo insieme le false richieste dei ribelli".

NOTA DELL'AUTORE

Omnia mutantur, nihil interit (da Le Metamorfosi, XV Libro, verso 165) significa Tutto muta, nulla perisce.

Secondo la visione del mondo di Ovidio, infatti, le cose non sono fisse e non si concludono, ma cambiano e si trasformano, sottoposte a una continua metamorfosi.

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