35. ODERIS TAMQUAM AMATURUS

Fanelia guardava la lieve increspatura dell'onda che si infrangeva contro il bordo di pietra.

Si era lasciata scivolare nelle profondità della tristezza, che erano più oscure e limacciose della stessa acqua del fiume. Le mani strette sulla balaustra fredda che la separava dal canale, la schiena eretta, il capo appena reclinato verso il basso, i capelli sciolti, gli occhi spenti. Sembrava la statua di una giovane fanciulla, bellissima e dolente. 

Quando avvertì un movimento alle sue spalle, non si voltò. Era Mellodîn che, una volta ancora, la raggiungeva per rammentarle quanto fosse tardi. Ormai reagiva a quella cortesia con totale indifferenza. Prima o poi si sarebbe stancato di prendersi cura di lei e si sarebbe deciso a lasciarla sola con i suoi pensieri.

Il rumore di passi si interruppe e Fanelia sussultò.

Due braccia le circondarono la vita, due mani si intrecciarono davanti a lei, delle ciocche argentee sfiorarono le sue. Il calore di Galanár si diffuse lungo tutta la sua schiena. Percepì la vicinanza del suo viso, la profondità del suo sguardo che la scrutava. Non cercò di sottrarsi a quella stretta, ma non vi si abbandonò. Non voleva dargli la soddisfazione di mostrarsi arrabbiata, ma non voleva nemmeno sciogliersi tra le sue braccia. Si mordicchiò le labbra per sfuggire al piacere che, suo malgrado, le procurava quel contatto e si sforzò di restare inespressiva.

"Sei una creatura splendida, Fanelia", sussurrò il re al suo orecchio.

Lei si lasciò sfuggire un sospiro di disappunto. Le aveva già detto quella frase così tante volte! Era un preludio che non manteneva nessuna delle sue piacevoli promesse, e lei ne era fin troppo consapevole.

Galanár sbirciò la sua espressione attraverso la rete scura dei capelli. Non sembrava indispettito dalla fredda reazione della regina. Continuò a tenerla tra le braccia e a parlare piano.

"Tu potresti essere tutto quello che un uomo come me desidera. Sai comprendere la mia inquietudine e assecondarla, sai come alimentare i miei sogni e, insieme, come dare il giusto equilibrio alla mia ambizione. Sai guidarmi e, allo stesso tempo, sai farti guidare da me".

Prese un lungo respiro, durante il quale lei rimase immobile, sospesa in attesa della conclusione di quel discorso.

"Potresti essere, a tutti gli effetti, la donna che sarei capace di amare per tutta la vita".

Tacque e appoggiò la guancia al suo viso. Si accorse così che Fanelia piangeva. In silenzio, trattenendo ogni singulto. Percepì il percorso che una lacrima solitaria stava scavando sulla sua pelle e non poté fare a meno di pensare che tutta la forza che quella ragazza dimostrava di possedere sarebbe stata in grado di farlo innamorare perdutamente. La strinse ancora più a sé. In quel momento, udì la sua voce sottile che cercava di sfidare il pianto.

"Potrei... ma non lo sono".

Galanár chinò le ciglia un istante e sembrò valutare la portata delle proprie parole, prima di rispondere.

"Non lo sei perché non puoi esserlo".

Dunque era quella l'unica possibile verità. Lo stava ammettendo, infine. Certo, doveva riconoscere che lui glielo aveva già fatto presente mesi addietro, quando avevano parlato sulla nave in quella notte di tempesta. Sentirglielo ripetere di nuovo, però, aveva il sapore amaro di qualcosa di definitivo e Fanelia si lasciò sfuggire un singulto di dolore.

"Non puoi esserlo", ripeté lui. "Non ancora, almeno". 

Fanelia distolse lo sguardo con insofferenza.

"Che significa tutto questo?", sbuffò stizzita.

"C'è qualcosa del mio passato che deve essere rimesso a posto".

A quell'accenno, lei si agitò, ma Galanár non la lasciò andare. Fanelia cercò di svicolare dalla sua stretta con maggiore determinazione, ma riuscì soltanto a girarsi tra le sue braccia e a ritrovarselo di fronte. 

"Se è uno scherzo, un nuovo gioco per ferirmi o, peggio, se il tuo è solo un bieco tentativo di trovare conforto dopo aver ricevuto il rifiuto di un'altra, sappi che non ti permetterò di farlo. E non te lo perdonerò mai!"

Lui sostenne l'onda d'urto dei suoi occhi furiosi e serrò ancor di più la presa attorno alle sue mani.

"A Opanje, mentre eravamo separati", iniziò a spiegare con tono sicuro, "non ho fatto che pensare a te. Mi sono disperato al punto da pregare degli dei a cui non ho mai creduto, ed ero pronto a tutto pur di salvarti. Ero arrabbiato, ma con me stesso, perché non ero stato capace di difenderti. Solo che non riuscivo ad ammetterlo, soprattutto a te".

Lei scosse il capo. Non voleva ascoltare una parola di più. Quella confessione sembrava suggerire una speranza alla quale non voleva aggrapparsi.

"Non mi importa", replicò dura.

Lo fissava con sospetto, forse perfino con disprezzo, ma Galanár non batté ciglio di fronte a quella reazione. Sembrava intenzionato a mantenere il controllo e a condurre quella discussione fino in fondo.

"L'unico modo che ho trovato per affrontare la preoccupazione", proseguì ostinato, "era chiederti come stavi, ma tu hai pensato che..."

Si interruppe, le passò con delicatezza un polpastrello sul viso e cancellò la lacrima che si stava asciugando sulla sua pelle.

"Insomma, se mi fossi interessato solo a quello che Almar ti aveva fatto, mi sarebbe bastato chiedertelo una volta soltanto, non credi?"

Fanelia smise di piangere. Non rispose, ma prese a fissarlo seria e attenta.

"Certo, non ti perdonerò mai di avermi privato del piacere di uccidere Almar di persona, ma alla fine penso di poter essere felice anche così. Forse perfino di più".

Lei studiò il sorriso che gli era spuntato sul viso senza riuscire a comprenderlo.

"Felice?", chiese confusa.

Galanár annuì. 

"Sì, felice. Perché al mio fianco ho una donna che è uguale a me..."

Esitò, sopraffatto al pensiero che proprio quelle parole, che tanto lo avevano turbato, gli fossero venute così spontanee alle labbra.

"Che sento al mio stesso livello", concluse.

Tacque, mentre sentiva il cuore accelerare la sua corsa. Prese fiato e le carezzò i capelli con un gesto lento, quindi lasciò scivolare le dita sul suo viso e lungo la curva del collo.

"Fanelia, vorresti sposarmi?"

Lei sgranò gli occhi, incredula, e si lasciò sfuggire una leggera risata, a dispetto di tutto l'impegno profuso per restare dura.

"Non credo sia possibile. Noi siamo già sposati".

Anche Galanár rise.

"Ti ho sposata con il rito degli Uomini, limitandomi a firmare un contratto con tuo padre. Ma questa città di luce è... è un luogo magico, fuori dal tempo, fuori da ogni regola. Sposiamoci qui, solo tu e io".

Fanelia, a quelle parole, capì che la sua armatura non sarebbe stata più in grado di difenderla. Lui l'aveva fatta a pezzi.

Forse Galanár era davvero convinto di ciò che le stava chiedendo, o forse avrebbe dimenticato le sue promesse dopo qualche tempo, come aveva sempre fatto, ma aveva forse importanza?

No, davvero non le importava. In quel momento non le importava nulla.

Gli intrecciò le braccia attorno al collo e fece aderire le labbra alle sue. Lo baciò con un trasporto che non aveva mai mostrato prima e, in quel contatto, gli sfiorò il cuore. Batteva allo stesso ritmo del suo. Si abbandonò al tocco delle sue mani che le accarezzavano la schiena e pregò in silenzio che lui non smettesse.

Quando si sciolse da quella stretta, tornò a cercare il suo sguardo. Sentiva ancora il bisogno di trovare una conferma, un appiglio concreto che le assicurasse che tutto fosse vero. Si accorse, con enorme stupore, che una lacrima brillava sulle ciglia di Galanár.

Sollevò il dito per raccoglierla. D'istinto, lui le afferrò la mano e la allontanò da sé. I suoi occhi azzurri, accesi dalla passione fino a un attimo prima, si erano fatti seri.

Fanelia trattenne il fiato. 

Era bastato un nonnulla, un gesto fuori posto, perché lui tornasse a essere il solito Galanár. Quello che esercitava il controllo, che esigeva il rispetto senza mai elargirlo. Forse si era ingannata sulle sue reali intenzioni. Aveva sbagliato nel dargli credito una volta ancora. Fremette di risentimento e delusione mentre il re le prendeva il mento tra le dita e la fissava con severità.

"Adesso ascoltami con attenzione", scandì lui con voce dura. "Tu sei l'unica persona al mondo che mi abbia visto piangere. Scolpiscitelo bene nella memoria perché questo evento, che non si ripeterà mai più, è accaduto solo in due occasioni".

Fanelia sbatté le palpebre e lo fissò stupita.

"Due occasioni?"

"Esatto. Quando ti ho amata per la prima volta e quando ti ho detto che ti avrei amata per sempre".

Lei lo scrutò senza riuscire a respirare. Il suo cuore era stato più veloce del cervello e, a quelle parole, aveva perso un battito.

"Non l'hai mai detto", sussurrò con un filo di voce, mentre l'emozione le toglieva il fiato.

"Lo sto facendo adesso".

Non si erano scambiati nemmeno una parola.

Si era trattenuto solo per un istante, nell'attimo in cui le sue dita si erano strette attorno alla cinta dorata che serrava il vestito di Fanelia.

"Posso spogliarti?"

Non aveva mai chiesto quel genere di permesso prima di allora, e non sapeva dire perché lo avesse fatto. Forse perché voleva davvero che fosse diverso. Non solo dalla loro prima volta insieme, ma da qualsiasi altra di cui avesse memoria.

Lei aveva sorriso e aveva fatto cenno di sì con il capo.

Dopo c'era stato solo silenzio e baci. E la pelle di lei, e il suo corpo che si arrendeva alle carezze, e quello straordinario bagliore che aveva illuminato i loro corpi intrecciati per tutta la notte. 

Galanár socchiuse le palpebre e sorrise. Il solo ricordo di quelle ore trascorse con Fanelia era stato sufficiente per risvegliarlo e, insieme, per ridestare il suo desiderio.

Una leggera aura pulviscolare imbiancava ancora il soffitto. Si chiese come ci si potesse mai abituare ai ritmi di Silmëran. Le impalpabili variazioni nell'intensità della luce erano l'unico modo per scandire le parti del giorno. Come avrebbe capito se era già ora di iniziare a pensare ai suoi doveri?

Pensò di alzarsi, ma la testa di Fanelia, abbandonata sul suo petto, lo ancorava a quel giaciglio. Intravedeva appena il suo profilo attraverso la massa lucente di capelli. Una ciocca castana gli solleticò il collo e Galanár la scostò con un sorriso. Il pensiero lo tentò, di indugiare in quell'abbraccio, di prolungare quel gesto e di assecondare la gloria del mattino.

Lasciò scivolare la mano sulla pelle di lei e fece oscillare le dita lungo la curva del suo fianco con un movimento sensuale che aveva lo stesso ritmo dei suoi pensieri.

Aveva avuto troppa fretta? Avrebbe dovuto progettare meglio quel passo?

No. Non riusciva a trovare un errore nel suo comportamento. Nel momento in cui il suo rapporto con Silanna gli era apparso chiaro nella sua seppur arida verità, e nel momento in cui era riuscito a decifrare il vero motivo della sua altalenante attrazione nei confronti di Fanelia, aveva ritenuto che non occorresse perdere altro tempo in chiacchiere.

In fondo, ogni volta che ho fatto una scelta, ho subito agito di conseguenza. Perché negli affari privati dovrei operare in maniera differente?

Certo, talvolta le sue decisioni si erano rivelate sbagliate, ma aveva sempre preferito il dolore della sconfitta all'angoscia dell'irresolutezza. Almeno quello poteva compensarlo con un'altra vittoria.

In più...

Sì, c'era dell'altro. Per la prima volta in tutta la sua vita, le emozioni che aveva provato non gli erano sembrate una minaccia alla sua indipendenza e quel pensiero, che avrebbe dovuto terrorizzarlo, non gli stava facendo alcuna paura.

Si sollevò su un gomito, sfiorò il viso di Fanelia con le labbra e si fermò sulla sua fronte. Lei, ancora a occhi chiusi, si tese per cercargli la bocca. Galanár lanciò un rapido sguardo al soffitto e sospirò. La luce si era fatta più intensa. Non aveva molta scelta. Se era già mattina, e di certo lo era, a dispetto delle scuse che aveva propinato a se stesso, doveva rassegnarsi e resistere alla tentazione.

Si concesse solo un bacio, gustato in tutta fretta, come se avesse timore di non riuscire più a scappare dalle spire di quella sirena.

"Devo andare", mormorò con un sorriso. "Mio fratello ha bisogno di me".

NOTA DELL'AUTORE

Abuso ancora di Cicerone per questo capitolo:

Ama tamquam osurus. Oderis tamquam amaturus.

Ama come se più tardi dovessi odiare. Odia come se più tardi dovessi amare.

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