31. AMANS IRATUS MULTA MENTITUR SIBI
"Posso almeno sapere dove ci state portando?"
"Non posso dirvelo, maestà".
"Tutto questo è un oltraggio..."
"Eseguo solo gli ordini, maestà".
Ilo li stavano scortando, bendati, dall'accampamento fino all'ingresso di una delle grotte che li avrebbe condotti in profondità.
"Soltanto re Galanár e la regina Fanelia".
Erano state queste le istruzioni perentorie di Silanna.
La regina aveva esitato solo per un istante. Poi, sotto lo sguardo incuriosito del giovane incantatore, aveva aggiunto un'ultima disposizione.
"E il comandante Mellodîn. Avrei molto piacere di rivederlo".
Per riuscire a mandare in porto quella missione, Ilo aveva rispettato ogni condizione. Anche lui era stato bendato fino a quando non erano giunti in prossimità dell'accampamento, e così al ritorno. I Silmëran gli avevano concesso di togliere la fascia scura solo al momento di salire sulla barca, perché potesse aiutare e rassicurare i loro ospiti.
La traversata fu silenziosa, scandita solo dai colpi di remo che battevano l'acqua scura. Ilo approfittò di quell'occasione per studiare i tre senza essere visto.
Galanár non sembrava molto felice della propria condizione. Sbatteva le ali come un uccello in gabbia e placarlo era stata l'occupazione principale del mago. Se l'amicizia di Aidan non lo avesse ormai abituato alle situazioni più strane e inaspettate, Ilo si sarebbe stupito di sapersi seduto a un passo dal Gran Re, dal Mezzelfo, da colui che aveva ispirato mille battaglie e altrettante leggende. Forse avrebbe addirittura tremato al solo pensiero. In quel frangente, invece, si sorprese di scoprire quanto anche lui potesse essere fastidiosamente umano.
Senza un reale motivo, si domandò perché, in tutto quel tempo, non avesse mai preso la mano della regina o perché non le avesse rivolto almeno una frase rassicurante. Lei era stata svegliata nel cuore della notte, le era stato detto di seguirli e non le era stata fornita nessuna spiegazione.
Non che Fanelia avesse l'aspetto di una ragazza spaurita. Anche lei, in effetti, era molto diversa da come Ilo aveva immaginato che dovesse essere la sua regina. O qualsiasi regina in generale. Nelle sue fantasie, le regine somigliavano più a Silanna, non indossavano un equipaggiamento militare.
Mellodîn era il solo a mostrarsi tranquillo. Cauto, ma tranquillo, così come Ilo lo aveva sempre conosciuto, e quella familiarità ritrovata lo consolava.
La barca urtò la lastra di pietra e Ilo sobbalzò. Si affrettò a scendere e tolse ai nuovi arrivati la benda nera che oscurava loro la vista. Li guidò quindi lungo la scalinata che conduceva alla sala del trono.
Galanár non degnò di uno sguardo le architetture straordinarie che lo circondavano. Raggiunse l'ingresso, dove una strana creatura gli sbarrò la strada.
"Dovete consegnare le armi, maestà", spiegò Ilo. "Non si portano armi a Silmëran".
Il re sfidò con un'occhiata di fuoco la guardia che attendeva la consegna e non si mosse.
"È escluso che io mi separi dalla mia spada".
"Temo che non abbiate scelta, sire".
Galanár sfoderò tutto il suo disappunto contro l'incantatore.
"Ho detto che non lo farò ed è la mia ultima parola", scandì con tono feroce.
Ilo non ebbe il tempo di tremare che un'altra voce, più lontana e di certo più pacata, giunse al loro orecchio.
"Ariendil gliela potete lasciare".
L'ordine, pronunciato in elfico, veniva dal fondo della sala. La distanza che li separava non ne aveva scalfito il tono, né il tempo ne aveva scalfito la memoria. Galanár sollevò il capo e guardò in quella direzione.
"Ah, bene", fu il suo unico e per nulla regale commento.
Con un gesto imperioso fece allontanare la guardia, portò la mano sull'elsa della spada ed entrò con passo deciso.
Non un capello fuori posto, non un'esitazione nel portamento, non una piega sul viso mentre avanzava verso il trono. Pure i suoi occhi erano di ghiaccio e non lasciavano trapelare la minima emozione. Incurante di qualsiasi protocollo, raggiunse il punto che ritenne più opportuno e vi si fermò, il capo piegato in una posa arrogante, l'espressione corrucciata.
Silanna sedeva sul trono, di fronte a lui. Un lungo abito bianco bordato di decorazioni dorate le avvolgeva il corpo e le scopriva appena i piedi. I capelli scuri erano intrecciati attorno a un prezioso diadema. Il suo viso splendeva di una luce impalpabile, che faceva apparire le sue iridi dorate ancor più brillanti. Le lunghe mani ambrate poggiavano con grazia sui pomelli che decoravano il seggio. Il lieve sorriso con cui lo aveva accolto la rendeva meravigliosa e terribile allo stesso tempo.
Aidan era in piedi alla sua sinistra. Era sbarbato e i capelli biondi gli ricadevano ordinati attorno al viso. Anche il suo abbigliamento era bianco e dorato, della stessa foggia bizzarra che Galanár aveva osservato in coloro che popolavano quello strano luogo. Una corta tunica era fissata su entrambe le spalle e fermata in vita da una preziosa cintura. Un mantello succinto, fermato con una fibbia, gli lasciava scoperto il fianco e il braccio destro. Ai piedi portava dei calzari di cuoio allacciati fino al ginocchio. Da quella posizione anche lui sembrava brillare.
L'uno e l'altra insieme ricordarono a Galanár le illustrazioni degli antichi Dei che aveva visto nella biblioteca di Laurëgil. Il generale, di certo, non era tipo da farsi impressionare dalle apparenze, ma non poté neanche ignorare il messaggio ben preciso che Aidan gli stava inviando. Che lui era dalla parte di Silanna.
Galanár si lasciò sfuggire una leggere smorfia, a quel pensiero. Decise di ignorare in maniera palese la presenza di lei e prese la parola per primo.
"Sono lieto di vederti in perfetta salute, fratello".
Aidan gli rivolse un cenno del capo, ma senza mostrare eccessiva cortesia.
"Ne sono lieto anch'io, ma è la regina di Silmëran che dovresti ringraziare, se hai ancora un fratello da salutare".
"Uno in cambio di un altro, a quanto pare. Dunque, a conti fatti, non le devo alcun ringraziamento".
Silanna, a quella provocazione, si limitò a lanciargli un'occhiata indulgente. Sembrava solo dispiaciuta per lui. La reazione di Aidan, al contrario, fu inflessibile.
"Le devi il rispetto che si deve a una regina".
Galanár portò anche l'altra mano alla cintura, scosse il capo divertito e rise.
"Regina? Regina di certo non lo è nata e sarei curioso di sapere come lo è diventata".
Guardò Silanna dritto negli occhi.
"Una donna che si concede a un principe senza corona riesce senza dubbio a concedersi a un re", commentò vago.
Aidan si irrigidì, ma lei gli fece cenno con la mano di lasciar perdere, che avrebbe fatto da sola. Si alzò dal suo seggio e scese i pochi gradini che li separavano. La calma studiata e la lentezza dei suoi movimenti esasperavano Galanár e nessuno poteva saperlo meglio di lei. Gli si fermò di fronte e lo inchiodò con il suo sguardo.
"Pensi che nessuno ti chiederà mai come sei diventato re degli Elfi solo perché sei un uomo, Galanár? A dispetto del tuo sesso, che sembra garantirti così tanti diritti, sarebbe interessante sentire la storia della tua corona".
Il re sorrise al pensiero di averla finalmente a portata della sua ira.
"Lo è davvero", replicò, tagliente come una lama. "Aidanhîn non te l'ha raccontata in tutto questo tempo trascorso insieme? Eppure sembrate molto intimi".
"Ah, ti prego", scherzò lei, con aria di finta celia. "Adesso non cambiare bersaglio".
"Non sto cambiando bersaglio. È sempre di te che stiamo parlando. Solo di te. E di quanto tu sia brava... peccato, credevo che Aidan fosse migliore di quel traditore del suo gemello".
Silanna socchiuse le ciglia e le sollevò di nuovo con un gesto calcolato.
"Sei ospite nella mia casa", puntualizzò. "Ti proibisco di mancare di rispetto a Edheldûr".
Il suo tono duro strappò al re una risata divertita.
"Non c'è mancanza di rispetto nel dire la verità. Edheldûr era un traditore, e anche un codardo. Non c'eri forse anche tu quando è fuggito di notte, di nascosto, per rifugiarsi nella reggia di Laurëgil?"
La corazza di Silanna si incrinò. Dalla fenditura guizzò fuori la sua reazione istintiva, che fu rabbiosa e disperata insieme.
"Lui non era né l'una, né l'altra cosa! Non aveva nessuna intenzione di scappare. Il comandante Mellodîn non gli ha dato scelta".
Un brusco silenzio piombò nella sala. Il tempo si condensò e si contrasse. Nello spazio di un attimo, Mellodîn serrò le palpebre e si portò una mano alle labbra con un gesto dolente. Silanna colse il suo spasimo e trattenne il fiato per la triste sorpresa di aver compreso troppo tardi il suo errore.
"Il comandante Mellodîn?", scandì Galanár.
Le lanciò un'occhiata sdegnosa prima di girarsi alla sua sinistra.
"Sembra che qualcuno abbia dimenticato di raccontarmi questa parte della storia", commentò con fosca ironia.
Il comandante non batté ciglio. Silanna lo guardò con tristezza, a chiedergli perdono.
Aidan osservò l'intera scena e si sentì fremere di rabbia. A stento si era trattenuto in disparte, e solo per rispetto nei confronti di Silanna, ma non avrebbe ascoltato una parola di più. Lasciò il suo posto accanto al trono e scese nell'arena, a dividere una volta per tutte i contendenti.
"Adesso basta!", esclamò con piglio risoluto. "Ho chiesto io questa riunione e non per discutere del passato, ma del presente. Sappiamo dove si nasconde Vargas e ho bisogno del tuo aiuto per catturarlo".
Galanár soppesò l'intervento del fratello con lieve ironia. Non riusciva proprio a prenderlo sul serio, in quel momento. Forse per via del suo abbigliamento, o forse perché gli sembrava solo un cucciolo di Silanna, quindi aveva solo voglia di ignorarlo.
"Allora hai sprecato il tuo tempo", rispose secco. "E anche il mio. Perché dovrei prendermi la pena di dare la caccia a quello stregone? Quella è la tua guerra. Non mi è mai importato nulla del maestro Vargas quando lo avevo tra i piedi, immagina adesso!"
"Davvero, Galanár? non ti importa nulla del maestro Vargas? Dell'Autocrate, invece, ti importa qualcosa?".
All'udire quel nome, l'espressione del re si fece attenta. Abbandonò l'atteggiamento scostante e aggressivo, ma non rispose. Non avrebbe concesso al fratello nessun facile trionfo. Gli fece solo cenno di proseguire, ché a quel punto gli avrebbe dato retta.
"Silanna sa come arrivare nel luogo in cui si trova, e conosce le armi e i pericoli che dovremo affrontare. Era essenziale che tu venissi qui a parlare con lei. E con me, per preparare il nostro piano di guerra".
Galanár ascoltò il discorso a occhi bassi. Seguiva le venature della pietra che scorrevano sotto i suoi stivali assieme alle parole. Quando Aidan tacque, sollevò lo sguardo e lo passò da Silanna al fratello.
"Un'alleanza, dunque? È questo che chiedi?"
"Una specie. Nessuna recriminazione sul passato, nessun impegno per il futuro. Mettiamo fine a questo scempio e dopo ognuno andrà per la sua strada".
Galanár incrociò le braccia e si accarezzò la guancia.
"Devo pensarci", mormorò.
Qualche insondabile idea gli attraversò la mente. Qualcosa che doveva divertirlo molto, perché mutò la propria espressione tirata in un sorriso furbo.
"È possibile che, dopo aver dormito ed essermi rifocillato, riuscirò a pensare alla vostra richiesta".
Si girò e, così com'era entrato, si diresse verso la porta con sicumera.
"Stai lasciando la sala senza un congedo", lo apostrofò Silanna. "E ti sei appena invitato da solo a soggiornare nel mio regno".
Lui si fermò e si girò per concederle la sua attenzione.
"Che cosa ne hai fatto del rigido cerimoniale di Arthalion?", proseguì lei. "Miccia per accendere il camino negli inverni di Foroddir?"
Galanár allargò le braccia in un gesto scanzonato.
"Ero io a congedarti un tempo, ricordi? E a richiamarti quando ne avevo voglia. Ha un che di romantico far rivivere le vecchie abitudini, non trovi?"
Si voltò con una risata e riprese a camminare verso l'uscita.
Silanna lo seguì con lo sguardo e si lasciò sfuggire un sospiro rassegnato. Aidan lo percepì e si chinò verso di lei con fare premuroso.
"Non preoccuparti. Mi occupo io di lui".
Si congedò dai presenti, poi andò dietro al fratello, che nel frattempo aveva già varcato l'ingresso.
Aidan, però, non era stato l'unico a curarsi delle reazioni di Silanna. Anche Fanelia aveva appuntato ogni dettaglio. Da quando se l'era ritrovata davanti, non aveva avuto occhi che per lei. E, appena il cognato si fu allontanato, accennò un sorriso al suo indirizzo.
"Avete appena stretto un accordo con un barile carico di polvere esplosiva", commentò con accento divertito. "Ma sospetto che voi lo sappiate già".
Silanna, a quelle parole, la osservò con attenzione.
"A quanto pare anche voi", rispose di rimando.
Fanelia fece un leggero cenno con il capo. Sembrava aver apprezzato la sua risposta. Silanna fece un passo verso di lei. Era più alta e più flessuosa di Fanelia, ma c'era, nello sguardo di quella ragazza, qualcosa di speciale. Era inflessibile e dolce allo stesso tempo, capace di fare capitolare un esercito.
"Credo che nessuno ci abbia presentate", proseguì l'elfa con voce sottile.
"Così pare".
"Gli uomini sono sovente così distratti".
"E inaffidabili".
Silanna sorrise di quella sottolineatura.
"La regina Fanelia, suppongo".
Lei annuì. L'elfa rinunciò a qualsiasi gesto formale in voga nelle corti e le tese la mano.
"Io sono Silanna".
Disse solo il suo nome, senza alcun titolo a decorarlo. A Fanelia fece piacere. Non aveva ancora stabilito se la regina di Silmëran le piacesse o no, e se le fosse amica oppure nemica. Valutò allora l'idea di considerarla solo per ciò che era, senza falsi attributi: una donna, proprio come lei.
Le strinse la mano di rimando e le sorrise. Silanna, a quel punto, cercò Ilo.
"Mastro Ilo, siate così cortese da accompagnare la regina nelle sue stanze. Lei e il Re sono stati sistemati accanto agli alloggi del Re di Helegdir. Accertatevi che non le manchi nulla".
L'incantatore le rispose con un inchino, quindi offrì la mano a Fanelia, che vi appoggiò le dita e si lasciò guidare fuori dalla sala.
Rimasero soli.
Silanna sapeva che lui la stava fissando ancor prima di volgere il capo nella sua direzione. Quello sguardo lo aveva avuto addosso così tante volte, ed era sempre lo stesso, carico di domande inespresse.
Sollevò le ciglia e incrociò i suoi occhi. Il cuore, suo malgrado, le balzò in petto senza che lei potesse controllarlo.
L'ultima volta che si erano guardati, la sabbia di Hakala si sollevava sotto gli zoccoli dei loro cavalli, Edhel era morto, Aidan urlava di dolore e Galanár teneva una balestra puntata verso di lei.
L'ultima volta che ci siamo guardati.
Negli occhi di Mellodîn, Silanna lesse la stessa immagine.
"Vi chiedo perdono", mormorò. "Pur non volendo, temo di avervi arrecato danno, comandante. Il mio cuore ha parlato senza pensare".
Lui accennò un sorriso.
"Il vostro cuore è sempre stato un po' imprudente, mia signora", commentò senza rimprovero, con una punta di tenerezza.
Silanna non poté che ricambiare con la medesima espressione. Avrebbe voluto trattenersi a parlare con lui, raccontargli ciò che era successo dopo quella notte, spiegargli ciò che nessuno poteva sapere, ma sarebbe stato troppo, troppo per loro. Decise che avrebbe raccolto tutto in una sola frase, sicura che lui avrebbe compreso.
"E voi lo avete raccolto e portato in salvo, Mellodîn. Per questo ho insistito per rivedervi. Perché non sono mai riuscita a dirvi grazie abbastanza".
NOTA DELL'AUTORE
Amans iratus multa mentitur sibi.
Un amante adirato mente molto a se stesso.
(Publilio Siro, Sententiae)
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