28. AMOR GIGNIT AMOREM
Silanna non era più andata a cercarlo fin nella sua stanza dopo il suo primo, inutile tentativo di dialogo.
Quando la vide sulla porta, Aidan capì subito che qualcosa di grave era accaduto o stava per accadere. Lo si intuiva comunque dal suo atteggiamento, dai suoi occhi, dal modo in cui si tormentava le mani.
"Galanár è quasi giunto a Gordian".
C'era una profonda angoscia nella sua voce, che sarebbe stata perfino in grado di turbarlo, se lui non avesse deciso di seguire la strada dell'indifferenza nei suoi confronti.
"E allora? Mi sembra più un problema tuo, che mio".
Lei chinò il capo con un movimento arrendevole che somigliava alla disperazione.
"Non c'è più tempo", mormorò. "Devi venire con me".
Il legno della barca si fermò davanti all'ingresso della sala del trono. Quattro guardie sorvegliavano la scalinata, ma all'interno non c'era nessuno.
Il silenzio tra loro due era inossidabile. Aidan poteva sentire il fruscio della veste di Silanna che accarezzava il pavimento. L'unico altro rumore presente era lo strano battito che aveva accelerato il suo cuore senza che lui ne comprendesse il motivo.
In fondo alla sala c'erano due porte che il re non aveva notato la prima volta. L'elfa si diresse a sinistra, e spalancò l'uscio intagliato e ricoperto di resina lucente. Lui la seguì oltre la soglia. Di fronte a loro si allungava un tunnel stretto e regolare. Lo rischiarava la solita, impalpabile luce che aleggiava dovunque. Lo attraversarono, poi Silanna si fece da parte e lasciò che Aidan avanzasse da solo.
Si ritrovò in una sala di roccia dalle dimensioni contenute, ma più straordinaria di qualunque altra vista a Silmëran. Le escrescenze calcaree la decoravano come i merletti di un pizzo raro. La volta riluceva di madreperla e si attorcigliava su se stessa. Il fiume sotterraneo si era raccolto in un piccolo lago, dove riflessi di luce perlacea, azzurra e verde si adagiavano e si tuffavano, per poi proiettarsi di nuovo verso l'alto.
Il respiro di Aidan si era fatto faticoso e irregolare. L'istinto gli suggeriva di voltare le spalle e di allontanarsi da quel luogo. Allo stesso tempo, però, qualcosa lo chiamava, lo attirava verso l'acqua.
Si arrese e avanzò in quella direzione. A ogni passo avvertiva, sempre più distinto, il mulinare dell'Aria. Dal vertice del soffitto, folate di vento si incanalavano verso il basso e si rincorrevano in un vortice gentile. Al suo interno riusciva a distinguere un canto sommesso. Voci femminili alternavano lunghe note acute o gravi, e si intrecciavano in una perfetta melodia che gli stava rubando l'anima. Tra quei suoni, Aidan riconobbe infine la stessa voce che lo aveva guidato attraverso i valichi di Lossmir. Era identica, ma diversa negli accenti. Non più rassicurante, ma struggente al punto da fare male.
Un dolore fisico gli attanagliò il cuore. Vilya iniziò a roteargli attorno. Lo strinse sempre di più tra le sue spire, gli accarezzò le braccia e le gambe nude. La sua voce di sirena lo chiamava in maniera irresistibile. Gli sussurrava di non distogliere lo sguardo, ma di osservare. Di aprire le porte dello spirito e di osservare. E Aidan non poté che obbedire.
Avrebbe voluto trovare un nome corretto per definire ciò che provava, ma non ci riusciva. Un groviglio di sensazioni gli confondeva la mente e lui non avrebbe saputo distillarle una a una. Tutto attorno a lui era triste e bello, dolente e meraviglioso. Era vita e morte, felicità e ferita, vittoria e resa allo stesso tempo.
Tutto qui è... come l'amore!
Nell'attimo in cui riuscì a distinguere quel concetto al di sopra del caos, una nota più alta si levò dal coro. Aidan si sentì invadere dalla stessa energia che sembrava rendere viva l'intera sala. Si fermò al limitare dell'acqua. Prese un profondo respiro e si decise a fissare ciò che aveva evitato di proposito.
Al centro del laghetto si levava un cumulo di terra circondato da torce. L'oro delle foglie di Laurëgil luccicava al chiarore delle fiamme, il raso bianco aveva un bagliore accecante. Solo oro e bianco, ma già sufficienti a straziare Aidan.
Il ragazzo si serrò i palmi contro il viso. Non sentiva più il battito del cuore, non sentiva più il respiro. Un dolore acuto lo stava trapassando. Provò a ribellarsi, a respingerlo. Avvertì di nuovo il prepotente istinto di scappare, di cancellare tutto, di dimenticare, ma le dita di Silanna si strinsero attorno al suo polso e gli impedirono di muoversi.
"Aidan".
Il suo nome era solo un sussurro spezzato dalle lacrime. L'elfa gli allontanò le mani dal viso e lui glielo lasciò fare. Aveva bisogno, come mai prima di allora, di cercare nei suoi occhi dorati un soccorso. Aveva bisogno che qualcuno lo salvasse dall'esercito di passioni che si era aperto un varco dentro di lui e si stava riversando nella sua anima. Si ancorò allo sguardo di Silanna, che tremava della sua stessa sofferenza, come se fosse la sua unica via d'uscita, ma lei scosse il capo.
"Non guardare me", sussurrò. "Guarda lui".
Aidan sospirò come se lei gli avesse appena chiesto di donarle la vita. Il suo intelletto e il suo spirito si ribellavano all'idea di dover affrontare quel momento.
"E se non hai la forza, lascia che sia il tuo cuore a raccontarti ciò che sta vedendo".
Lui capitolò.
Sì.
L'avrebbe fatto. Avrebbe sospeso ogni giudizio e avrebbe lasciato quel compito al cuore. Avrebbe ascoltato quel racconto incredibile senza più opporsi. Sollevò il capo e fissò il centro della scena.
Acqua, Terra, Aria e Fuoco.
Tutti i quattro Daimon vegliavano suo fratello nel sonno eterno.
Edhel era bellissimo e perfetto, identico all'ultimo giorno in cui lo aveva stretto a sé, sulla piana di Hakala. Gli abiti bianchi e dorati, le foglie di Lauregil che gli facevano da giaciglio e brillavano come una corona. I lunghi capelli rossi che si intrecciavano al caldo bagliore delle torce.
Vilya lo teneva stretto nel suo abbraccio. Ad Aidan parve quasi di riuscire a scorgere la linea tesa del suo corpo sottile, anche se sapeva che uno come lui non poteva vedere l'essenza fisica di un Daimon.
Suo fratello dormiva.
Deve essere così!
D'istinto pensò di svegliarlo, per abbracciarlo una volta ancora, ma si ripeté che non era possibile, perché lo aveva ucciso lui stesso.
Eppure sembra così vivo in questa morte che ha la perfetta parvenza del sonno.
Una lacrima sfuggì al suo controllo e gli rigò una guancia.
In quella lacrima il tempo si fermò e quell'attimo si cristallizzò nella sua memoria in ogni suo triste dettaglio. Silanna che piangeva in silenzio al suo fianco, i quattro Daimon che vegliavano Edhel in quella cornice tremenda e splendida, e lui che non aveva più fiato per vivere.
Aidan dovette fare uno sforzo sovrumano per cavarsi dalla gola un suono che fosse comprensibile.
"Silanna... ma come...?"
Lei si tirò via una lacrima dagli occhi con un dito e si sforzò di sorridergli.
"Mi hai chiesto di andarlo a prendere e io l'ho fatto".
Quella risposta mandò in pezzi l'ultimo baluardo del suo cuore.
Ogni parola, ogni pensiero, ogni nascosta emozione si prese il permesso di uscire allo scoperto e gli invase la mente, come una truppa di mercenari che si riversa in una città conquistata e ormai senza difese. Silanna aveva fatto ciò che lui stesso non aveva avuto il coraggio di fare. Aveva osato sfidare Galanár. Per Edhel.
Si girò verso di lei. Le labbra gli tremavano, così come la voce, mentre le sfiorava il viso con lo sguardo, con una dolcezza del tutto sconosciuta.
"Lo amavi davvero".
Silanna non ebbe il tempo di rispondere, né di capire cosa accadde dopo quel sussurro dolente. Seppe soltanto che lo stava abbracciando, che aveva intrecciato le mani sopra i suoi capelli dorati, e che lo stava consolando. Aidan si era stretto a lei, aveva nascosto il viso nella sua spalla e aveva iniziato a piangere. A piangere tutte insieme le lacrime che non aveva versato dalla notte di Hakala.
Nello spazio attorno a loro era sceso il silenzio. Gli spiriti dell'Aria avevano taciuto di fronte a quell'abbraccio. Anche i singhiozzi di Aidan si erano spenti, ma lui aveva ancora la guancia affondata nella stoffa chiara del suo vestito. Lei continuava ad accarezzargli la testa anche se le dita le tremavano. Tutto l'amore che era rimasto loro, tutto quello che credevano ancora possibile, era fuso in quella stretta e non volevano staccarsene.
Fu Silanna a mettere fine a quell'incanto e ad allontanarlo da sé con gentilezza. Le iridi azzurre di Aidan rilucevano come l'acqua del lago e il suo volto era ancora arrossato dal pianto, ma lui sembrò non curarsene. Si strofinò gli occhi con il dorso della mano, come avrebbe fatto un bambino. Per un istante, fu quella l'immagine che lei vide.
Un bambino.
Un bambino cresciuto in fretta, gettato troppo presto in un mondo che non comprendeva davvero.
Come Edhel.
Intrecciò le dita a quelle di lui.
"C'è ancora qualcosa. Se te la senti".
La sua indecisione era palpabile. Vacillava tanto quanto lui. Chissà quanto le era costato dover affrontare il suo livore, vincere la sua indifferenza, rivivere assieme a lui quella ferita del cuore.
Lei, però, lo aveva fatto. Gli aveva appena spiegato come poteva essere l'amore e, allo stesso tempo, aveva sconfitto il suo più grande demone, che era l'atroce rimorso di aver abbandonato Edhel ad Hakala.
Il minimo che potesse fare, a quel punto, era ricambiare quel dono.
"Sì, sono pronto".
Tornarono nella sala del trono e Silanna aprì la seconda porta.
L'ambiente in cui si trovarono era del tutto diverso dal precedente. Aveva un carattere più intimo e privato. Ai lati di un corridoio centrale si aprivano piccole camere dove si affaccendavano delle fanciulle Silmëran. Alcune di loro si inchinarono quando Silanna fece il suo ingresso.
"Il re di Helegdir potrà entrare in queste stanze ogni volta che vorrà", ordinò lei in elfico, perché anche lui potesse comprenderlo.
La regina lo condusse in quella che sembrava una saletta di ricevimento privato, arredata da due sedie, una panca ricoperta di cuscini e uno scrittoio. Su quella superficie di legno, Aidan vide brillare le sue lame.
Silanna le prese con estrema cautela. Sembrava essere al corrente del fatto che lui non amava che altri le toccassero.
"Per te", disse soltanto.
"Grazie".
Senza attendere oltre, Aidan agganciò i pugnali alla cinta. Silanna sospirò.
"Purché non li indossi quando sei in giro per la città. Non voglio che spaventi la mia gente".
Lui annuì senza guardarla, mentre passava le dita per tutta la lunghezza delle due armi. Silanna sorrise. Era probabile che non avesse ascoltato nemmeno una sillaba della sua richiesta, ma lei ormai aveva scelto di fidarsi. Era tardi per tornare indietro. Tardi per tutto.
"Aspetta qui", disse.
Sparì dietro una tenda. Aidan si domandò incuriosito quale altra sorpresa avrebbe dovuto aspettarsi. Aveva pensato che lei lo avesse portato lì solo per restituirgli i pugnali, ma forse c'era dell'altro.
La sua attenzione fu catturata da un lieve brusio che proveniva dalla stanza accanto. Due voci basse si mescolarono per qualche istante. Una era quella di Silanna, l'altra non l'avrebbe saputa definire.
Quando la stoffa si mosse, il re si girò a guardare. Una violenta vertigine gli fece girare la testa e lo costrinse a cercare un sostegno nello scrittoio che era al suo fianco. L'elfa teneva per mano un bimbo. Fatta eccezione per i capelli, neri come ali di corvo, l'arciere avrebbe giurato sul suo stesso sangue di avere di fronte il suo gemello bambino.
"Lui è Edhel. Solo Edhel".
Si fermò a pochi passi da Aidan, ma il ragazzo non fu in grado di articolare nemmeno un suono. Continuava a esaminare le iridi color dell'acqua e i lineamenti delicati che erano stati di suo fratello.
Silanna finse di non dare peso alla sua reazione. Si piegò sul ginocchio e guardò il bimbo, che passava lo sguardo dal viso di lei a quello di lui, timoroso e confuso.
"Edhel, questi è il re di Helegdir", gli spiegò con dolcezza. "È un uomo molto coraggioso e molto importante. Rivolgiti a lui come si conviene".
Il piccolo annuì e fece un passo verso Aidan. Esitò, quindi tentò di coordinare nel modo migliore le braccia e le gambe in un inchino.
"È un piacere avervi a Silmëran, maestà", scandì con fare compito.
Aidan, suo malgrado, sorrise. Sorrise perché non sarebbe riuscito a fare nient'altro. La grazia e la voce sottile del piccolo Edhel lo avevano conquistato Si inchinò anche lui.
"È un piacere per me fare la vostra conoscenza, Edhel".
Mentre si drizzava sulla schiena, la luce colpì l'impugnatura di una delle lame. Il piccolo osservò quel luccichio con una viva curiosità, che aveva già preso il posto del timore.
"Oh, è bellissimo!", esclamò prima che Silanna, sorpresa da tanta intraprendenza, potesse metterlo a tacere.
Il viso di Aidan si illuminò. Guardò il pugnale con affetto e ne sfiorò la lama con le dita.
"È un pugnale elfico. E sì, è bellissimo, perché è il regalo di un re".
"Posso averne uno?"
"Un giorno lo avrai".
Silanna si levò in piedi. Era ancora tesa e preoccupata.
"Adesso basta, Edhel. Torna nelle tue stanze. Il re e io abbiamo affari importanti da discutere".
Il piccolo annuì. Si volse verso il re e, in modo del tutto inatteso, gli tese la mano, come si usava tra gentiluomini dello stesso rango. Aidan gli tenne le dita tra le sue. Quel semplice contatto fu sufficiente a fermargli il cuore.
Attese che Silanna uscisse, poi appoggiò le mani sul bordo dello scrittoio. Lasciò che i capelli biondi gli nascondessero il viso. Non aveva idea di quale potesse essere la sua espressione in quel momento. Si sentiva così sopraffatto e confuso che di certo doveva far paura.
"Volevi sapere come ero giunta a Silmëran viva".
La voce di lei, leggera come un soffio, lo sorprese alle spalle. Aidan non si girò. Non era ancora pronto. Annuì per farle cenno di continuare.
"Ero allo stremo delle forze, pensavo fosse giunta la fine per me. Mi sono rifugiata in una delle grotte e i Silmëran mi hanno trovata. Non avevano mai visto un Elfo Scuro e non conoscevano la magia dell'Aria. Hanno pensato che fossi una creatura magica, una dea, e hanno avuto timore, ma il mio stato li spinti ad avere pietà, a non lasciarmi morire. La nascita di Edhel, così diverso nell'aspetto, così speciale, ha fatto il resto".
Il ragazzo, finalmente, trovò il coraggio di girarsi a guardarla.
"È un Daimonmaster?"
"Non lo so".
Aidan si lasciò andare a una risata nervosa e incredula.
"Non prendermi in giro! È tuo figlio, il figlio del Supremo Daimonmaster e tu vieni a dirmi che non lo sai?"
Silanna si fece seria. Si avvicinò a lui di qualche passo.
"Non lo so perché ho scelto di non saperlo".
Lui non replicò. Si limitò a sostenere il suo sguardo, conscio che il discorso non era concluso.
"Vorrei che lo prendessi con te a Valkano, quando avrà l'età adatta. Voglio che abbia il miglior maestro d'armi e l'istruzione che solo gli Alti Elfi sono in grado di dare. A quel punto, deciderà da solo quale dovrà essere la sua strada".
Tacque un istante, chinò le ciglia e la sua voce si addolcì.
"Non voglio che cresca con un destino cucito addosso, da me, da te o da chiunque altro. Voglio che Edhel abbia quello che suo padre non ha avuto. Voglio che abbia la possibilità di scegliere".
Lui serrò le palpebre, prese fiato e annuì.
"Va bene".
A quel punto Silanna tornò a respirare. Perché, nel pronunciare quella risposta, lui l'aveva guardata negli occhi. E in quegli occhi lei aveva riconosciuto Aidanhîn così come glielo aveva sempre raccontato Edheldûr: il ragazzo pronto ad abbracciare il futuro senza riserve, il ragazzo che sapeva benedire la vita anche quando tutto il suo mondo era sul punto di crollargli addosso.
Fu forse quell'emozione, quel lampo di luce, che la spinse a superare il limite di ciò che aveva stabilito. Il limite di ciò che forse era lecito e ragionevole domandare.
"C'è ancora un favore che vorrei chiederti, Aidanhîn".
"Quale?"
"Raccontami di Hakala".
Aidan sbatté le ciglia, fece un passo indietro e d'istinto si irrigidì. Lei non poté fare a meno di notare quella reazione, ma vide anche che lui non aveva l'aria di volerla interrompere.
"E non quello che io ho visto, quello che tutti hanno visto", proseguì. "Raccontami di te, di Edhel e di quello che solo tu conosci".
NOTA DELL'AUTORE
Amor gignit amorem è una bellissima e popolare locuzione latina che si traduce con "L'amore genera amore". Allude alla capacità contagiosa di questo sentimento di trasmettersi a coloro cui mostriamo amore, che saranno spinti, a loro volta, a mostrarlo ad altri.
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