27. ARCUS TENSUS SAEPIUS RUMPITUR

Silanna si limitò a sollevare le ciglia verso Aidan, una maschera di calma imperturbabile sul viso.

"Perché lo chiedi?"

"Perché è la sola ragione che mi ha spinto fin qui".

L'elfa raggomitolò le gambe contro il corpo, come se avesse avvertito il bisogno improvviso di proteggersi, e rivolse lo sguardo altrove.

"Ah, gli uomini e la vendetta! Sempre pronti a distruggere qualsiasi cosa".

La tentazione della crudeltà attraversò rapida la mente di Aidan.

"Non stiamo parlando di Galanár", puntualizzò. "Stiamo parlando di me".

Lei gli sorrise con uguale malignità.

"Il che non cambia la situazione. Pensate tutti, regolando i conti come se foste Dei, di essere giusti. Ma non lo siete".

Aidan ignorò il suo commento.

"Cosa sai di Vargas?", la incalzò.

"Io so tutto di Vargas", replicò lei con algido distacco.

Gli aveva lanciato quella risposta come si getta un osso a un randagio. Il giovane riuscì a reprimere a stento la voglia di forzarla a quelle rivelazioni.

"Devi dirmi ogni cosa", insistette. "Ho lasciato Adwen per compiere questa missione. Ho mentito a Galanár, tradito la fiducia di Mellodîn ed ero pronto ad abbandonare Ilo... Ilo, che mi ha salvato la vita! Quindi adesso devo per forza arrivare fino alla fine".

Ad ogni parola, l'accento di Aidan si era fatto più disperato e l'aveva spinto sempre più vicino a lei. Silanna si levò in piedi per affrontarlo. Gli prese il mento tra due dita e adagiò il resto della mano sulla sua gola. In quello strano gesto sembrava volerlo carezzare e allontanare da sé allo stesso tempo.

"Aidan, ti prego", lo supplicò. "Stai parlando come Edhel, adesso. Edhel quando eravamo a Laurëgil, quando..."

Lui le afferrò il polso e allontanò la mano dal viso.

"Edhel quando aveva già scelto il suo destino?", la interruppe.

Silanna scrutò l'azzurro dei suoi occhi. Negli anni si erano ignorati, sfidati e scontrati, ma lei aveva sempre dovuto ammettere che il cuore di Aidan non era mai stato meno che gentile. La stretta sul suo polso, in quel momento, non lo era affatto. Sembrava posseduto da un cattivo genio.

"Mi stai facendo paura", sussurrò.

"E cosa?", ironizzò il ragazzo. "Edhel non lo vorrebbe?"

Lei si liberò dalla presa con un gesto stizzito, lo spinse di lato e passò oltre. Quel ragazzo non aveva idea di cosa stesse chiedendo. Era reso cieco dall'ossessione. Doveva farlo ragionare in un modo o nell'altro. Senza voltarsi, iniziò a parlare.

"Così come Silmëran è il regno della Luce, Lúmëran è il regno dell'Ombra".

Aidan si quietò di colpo e rimase in ascolto.

"Ad alimentarla è la magia oscura. È lì che Vargas si è rifugiato per iniziare la sua conquista. Ha soggiogato le città e i territori che si stendono sopra di noi. Si fa chiamare l'Autocrate e i suoi soldati non sono guidati da uomini d'arme, ma da Daimonmaster. Elfi Scuri, stirpe dei rinnegati, discendenti di coloro che fecero riemergere Ernendir dalle acque".

La sua voce, che era cresciuta di intensità frase dopo frase, si interruppe di colpo. Silanna si girò a guardarlo.

"Conosci la storia?"

"Quanto basta per capire".

"Non a sufficienza, pare. Ti darò qualcosa da leggere per occupare il tuo tempo. Forse saresti meno bellicoso se conoscessi il pericolo che tanto brami affrontare".

Aidan le rivolse un sorriso di sfida.

"O forse lo diventerò ancora di più. Mio fratello non si è fermato davanti al nemico, anche se lo conosceva bene".

Lei rimase spiazzata dalla sua ostinazione.

"Sei davvero cocciuto come gli Uomini! Edhel non conosceva ogni cosa e, in ogni caso, molte delle sue azioni non dovrebbero essere imitate alla lettera. Soprattutto da te".

Sul viso di Aidan si disegnò una smorfia sarcastica, che era solo la brutta parodia del suo solito sorriso e che in lui appariva del tutto fuori posto.

"Spero solo di non dovermi gettare di nuovo in qualche precipizio sotterraneo per raggiungere questa città".

"Per tua fortuna, no. Come Silmëran è celata nell'ombra, così Lúmëran è esposta in piena luce. Trovarla è facile. La colonna di magia che Vargas vi solleva con i suoi esperimenti la rende visibile a grande distanza".

"Vuoi dirmi che non si nasconde nemmeno?"

"E che bisogno ha di farlo? Lui e i suoi Fëantúri possono incenerire un uomo a distanza, se lo desiderano. O levargli l'aria dal petto, o immobilizzarlo a terra e lasciarlo morire di stenti... devo continuare?"

Aidan non rispose. Chinò il capo e lasciò che i capelli scivolassero a nascondergli il viso.

"Tu non hai mai provato a fermarlo?"

"Io?", sbottò lei, sorpresa da quella domanda. "Ti sei guardato attorno? Il mio popolo non porta armi, pratica la magia della Luce e la meditazione. Andare contro Vargas significa condannarli a morte".

Si accorse di aver alzato troppo il tono della voce. Prese fiato e cercò di moderarsi.

"No", riprese calma ma decisa. "I Silmëran non conoscono la guerra e non sarò io a portargliela in dono".

"Capisci che Vargas ti sta solo ignorando, vero? Quando avrà finito con i suoi esperimenti e con le sue conquiste, sarà solo questione di tempo. Prima o poi il suo occhio si punterà su di te. Silmëran è una gemma troppo preziosa perché lui non voglia aggiungerla al suo diadema".

Il volto di Silanna si velò di una profonda tristezza. Sospirò e scosse il capo.

"Quando il momento verrà, gli Dei mi daranno consiglio", sussurrò.

Aidan rivolse la propria attenzione allo spettacolo che aveva di fronte. Seguì i movimenti armoniosi degli incantatori e la danza dei giovani maestri, e la sua espressione si accese di una strana luce.

"Gli Dei forse", mormorò infine. "O forse Galanár".

All'udire quel nome, lei sollevò le ciglia di scatto. Il suo sguardo severo incrociò quello di lui, ma non riuscì a farlo tacere.

"Non posso affrontare Vargas senza l'esercito di mio fratello. E mio fratello non può aiutarmi senza le informazioni che solo tu possiedi".

Silanna, per tutta risposta, incrociò le braccia al petto e lo fulminò con un'occhiata che non lasciava più spazio a repliche.

"È fuori discussione!"

"Non è solo la mia vendetta, lo capisci?", insistette Aidan con foga. "È la vendetta di Edhel. È la tua vendetta. E per gli Dei, ci serve Galanár!"

La regina fece qualche passo verso di lui e si fermò a squadrarlo. Solo una sottile striscia di luce li divideva mentre si fronteggiavano in quella contesa.

"Me lo devi, Silanna!"

"Io? Io non ti devo proprio nulla!"

"Lo devi a Edhel!"

"Non provare a usare Edhel contro di me. Ti ho salvato la vita e l'ho salvata a Ilo. Secondo la legge, dovrei tenervi qui per sempre, eppure vi sto garantendo il permesso di lasciare questa città. Non ho nessun debito nei tuoi confronti. E Galanár non metterà mai piede a Silmëran..."

Non terminò la frase. Il braccio di Aidan le serrò la vita e annullò ogni distanza tra loro. La guancia sfiorò quella di lei, i capelli biondi brillarono tra le sue ciocche nere.

Chi avesse guardato verso di loro in quell'istante, avrebbe visto il giovane re di Helegdir abbracciare con slancio la regina di Silmëran. Ciò che un occhio estraneo non avrebbe potuto notare, però, era che in quella stretta non c'era alcun affetto. Aidan era glaciale e minaccioso mentre avvicinava le labbra all'orecchio di lei.

"Io devo scovare Vargas, e questo è un punto. Se per farlo dovrò portare qui Galanár, troverò il modo, con il tuo permesso o senza".

Silanna non vide la lama. Ne intuì il bagliore, ne percepì la fredda presenza a un centimetro dal suo viso.

Aidan sorrise. Se l'avesse conosciuto bene come sosteneva, avrebbe dovuto sapere che le sue armi non stavano solo in bella vista e che perfino i suoi stivali ne nascondevano una. Non lo sfiorò il pensiero che lei non avesse nemmeno controllato, che avesse solo deciso di fidarsi di lui.

"Mi dispiace, Silanna", sussurrò, "Stavolta non esiterò a usare la forza per ottenere ciò che voglio".

Lei rimase immobile, imprigionata tra la stretta delle sue braccia e la minaccia del suo coltello. Avrebbe potuto chiamare aiuto, ma non lo fece. Era una faccenda privata, quella. Era una questione tra il suo dolore e il dolore di lui. Sapeva che liberarlo dal ghiaccio avrebbe significato anche sguinzagliare di nuovo le sue umane passioni, e non tutte erano chiare e luminose.

"Tutto bene, mia signora?"

La voce, cortese ma rigida, di Ilo li fece sobbalzare entrambi. Aidan si ritrasse, lasciò Silanna e nascose la lama lungo il fianco. Lei si riavviò una ciocca di capelli per nascondere il turbamento, prima di rivolgere al mago un sorriso tirato.

"Sì, grazie. Il re e io stavamo conversando di vecchie storie del passato".

Ilo passò uno sguardo obliquo sull'amico.

"Comprendo", rispose con aria grave. "So che le storie del re di Helegdir possono risvegliare emozioni eccessive, talvolta. Per questo dovrebbe stare più attento e riporre al sicuro le sue armi".

Rivolse un sorriso allusivo ad Aidan e gli tese la mano aperta con aria di finta celia.

"Siete il solito distratto, maestà".

L'arciere lo ricambiò con un'espressione contrariata, ma non poté fare a meno di consegnargli il pugnale. A quel punto Ilo tornò a rivolgersi a Silanna.

"Perdonatemi se ho interrotto la vostra conversazione. Uno dei vostri Maestri mi stava mostrando lo Specchio di Luce".

"È il nodo di magia che ci permette di osservare cosa accade all'esterno", spiegò lei all'indirizzo dell'arciere, che si limitò ad assentire e fece cenno a Ilo di proseguire.

"Il Re delle Terre Riunite cavalca verso sud alla testa del suo esercito. Sembra diretto a Gordian".

Un sorriso di trionfo si aprì sul volto di Aidan.

"Pare che gli Dei ti abbiano già dato il loro consiglio", commentò con aria da vincitore.

"Non ho ancora concesso nessun permesso", ribadì lei cupa.

"Fallo, se non vuoi che io provveda da solo".

"Devo andare", scandì l'elfa a voce alta. "Vi aspetto per la cena".

Lo sguardo con cui Aidan e Silanna si congedarono produsse più scintille del fuoco scoppiettante di un camino. Ilo rimase immobile, a osservare l'arciere fino a quando fu certo che fossero rimasti soli, poi abbandonò di colpo i suoi modi compiti.

"Sei forse impazzito? Che diamine pensavi di fare? Possibile che tu non riesca mai a tenere quei maledetti pugnali dentro il loro fodero?"

Quella raffica di domande colse Aidan di sorpresa. Ilo era davvero arrabbiato, anche se dietro quella sfilza di frasi intuiva una profonda preoccupazione.

"Stai tranquillo. So da me come trattare con Silanna".

"È evidente, invece, che non lo sai. Coloro che hanno il potere di ucciderti e non lo fanno non sono per questo meno letali. Hanno solo deciso di tenerti in vita. Per il momento. E lei è un Daimonmaster molto esperto. L'aver scelto la via della pace invece di quella della guerra non la rende innocua. Quindi, a meno che tu non abbia qualche altro asso nella manica e ti sia deciso a farci vedere di cosa sei davvero capace, evita di sventolarle coltelli a un soffio dal viso!"

"A volte la guerra è necessaria per ottenere la pace, Ilo, e la posta in gioco è troppo alta per me, stavolta. Devo convincerla ad aiutarmi".

Il mago si placò e gli lanciò un'occhiata perplessa.

"E pensi di convincere una donna puntandole una lama alla gola? Credo che qui manchino le basi, maestà! Almeno le regole fondamentali per persuadere il gentil sesso".

"Era mio fratello quello bravo con le parole", puntualizzò Aidan con aria torva.

Ilo scosse il capo, rassegnato, poi si portò le mani alla cintola e guardò il re con un sorriso furbo.

"Va bene. Spiegami per filo e per segno cosa sta succedendo. In assenza del principe Edheldûr, dovrò provare io a darti una mano. Ma lo farò solo a un patto: che tu vada in giro disarmato e con la lingua legata, vostra Animosità!"

"Mio signore, sono appena giunti i messaggeri dalla costa. Il Re delle Terre Riunite si sta muovendo a sud con il suo esercito, in direzione di Gordian".

"Bene, che si diverta pure! Lasciatelo giocare con i suoi soldatini e gozzovigliare in libertà, come suo costume. Gordian non è affar nostro e il suo governatore sa bene cosa gli potrebbe accadere se facesse un passo falso o se dicesse una parola di troppo".

"Quali sono i prossimi ordini, allora?"

"Risvegliate Laurëgil e Harmaros. È tempo che i nostri vassalli si destino. Il Re Mezzelfo è vanesio e presuntuoso. Quando ne avrà notizia, sarà troppo tardi. E, se anche dovesse essere avvertito in tempo, se ne fregherà e deciderà di avanzare comunque verso i suoi nuovi obiettivi. A quel punto, però, quanti dei suoi uomini lo seguiranno, mentre le loro case e le loro famiglie sono in pericolo?"

NOTA DELL'AUTORE

Arcus tensus saepius rumpitur è un antico proverbio latino che significa "L'arco troppo teso spesso si rompe". Corrisponde grossomodo al nostro modo di dire "Non tirare troppo la corda".

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