18. SERVA ME, SERVABO TE

"Se continuiamo a strisciare a valle faremo la fine dei topi", borbottò Aidan, sempre più nervoso.

La vegetazione offriva loro una discreta protezione, nel caso in cui le guardie li stessero ancora cercando, ma al contempo li obbligava a proseguire alla cieca. L'arciere, nonostante la sua abilità, non riusciva a scorgere nulla che potesse indicargli la direzione. Il sole, dritto sulle loro teste al massimo del suo arco in cielo, non gli era di nessun aiuto.

Fece un cenno con la mano a Ilo. Il suo sguardo puntava in alto, sulla cresta alberata che si sollevava alla loro sinistra.

"Dobbiamo salire. Quando saremo in cima, capiremo da che parte andare".

L'altro si limitò ad assentire e i due ragazzi presero ad arrampicarsi sul costone boscoso. Appena furono abbastanza in alto, Aidan si appiattì sul terreno. Coperto dai rami sporgenti di una pianta, l'arciere si spinse fino sull'orlo per studiare il movimento a valle. Pregava di riuscire a scorgere tracce del passaggio di Mellodîn e dei suoi uomini. Gli sarebbe bastato vedere la polvere sollevata dalla marcia di una colonna di uomini e cavalli, ma l'unico bagliore che riuscì a scorgere in lontananza fu quello delle picche dorate delle guardie di Gordian.

Si ritrasse d'istinto, anche se a quella distanza era impossibile che lo scorgessero, e trascinò Ilo con sé. Si spinse indietro fino a quando incontrò la parete scoscesa che saliva a formare la sommità dell'altura. Rimase per qualche istante con la schiena attaccata alla pietra, l'espressione vigile, il corpo teso, a scandagliare segnali invisibili. Lasciò scorrere la mano sulla superficie ruvida e avanzò carponi fin dove il fianco della montagna piegava verso l'interno. Si fermò di fronte a una stretta fenditura che tagliava la roccia.

"Una grotta", disse. "Ripariamoci qui fino a quando la via non sarà libera".

Il giovane mago si infilò nell'apertura. Il repentino cambiamento di temperatura lo fece rabbrividire. Aidan, appena dietro di lui, lanciò un'ultima occhiata all'esterno, al cielo che li sovrastava, prima di immergersi nella penombra.

"Quando il sole sarà calato torneranno in città, ma a quel punto anche per noi sarà impossibile vedere dove si sta dirigendo l'esercito. È più saggio restare qui per la notte. Domattina cercheremo di capire da che parte sono andati i nostri".

Ilo non disse nulla. Era rimasto silenzioso da quando avevano scambiato quelle poche frasi sul greto del fiume. Sembrava immerso nei propri pensieri e Aidan non aveva alcuna intenzione di tirarglieli fuori. Si limitò a osservarlo mentre sfoderava la spada e faceva scaturire il fuoco lungo la lama per illuminare l'antro.

Si inoltrarono di qualche metro, abbastanza da non restare troppo vicini all'ingresso e, allo stesso tempo, sufficienti per non perdersi nei cunicoli.

La volta di quel rifugio era alta una manciata di metri. Sopra le loro teste spuntoni di roccia costellavano il soffitto di bianche stelle calcaree, sotto i loro piedi la roccia riluceva umida.

Ilo sistemò la spada tra due lance di pietra che si sollevavano da terra e creò un cono luminoso attorno a loro. Distese a terra il mantello e vi si lasciò cadere con un sospiro. Aidan si accorse solo in quel momento di quanto il suo compagno fosse stanco. Senza una parola, lo imitò e si distese a sua volta in cerca di riposo. Il suo sguardo iniziò a rincorrere i bagliori rossastri su quel soffitto magnifico e spaventoso allo stesso tempo. Stava quasi per abbandonarsi al quieto ondeggiare della luce, quando la voce di Ilo lo sorprese.

"Ho girato molte città in questi anni".

Sembrava stesse continuando con naturalezza un discorso interrotto in precedenza, e Aidan non lo fermò.

"E ho ascoltato i discorsi di chi parlava pensando di non essere udito".

Prese una pausa e sbirciò il viso del re, che rimaneva impassibile.

"Sappi che in tanti lo rimpiangono, nelle terre che erano degli Elfi. Calaran lo chiamano, per non pronunciare il suo nome. E in segreto invocano le sue benedizioni".

Il cuore di Aidan perse un battito e un nodo di commozione gli serrò la gola.

"Calaran", ripeté in un soffio, obbligandosi a fissare la volta di pietra. "Re di luce. Non so se gli si addice. Edhel ha sempre preferito mostrarsi ombroso, persino sgradevole, piuttosto che mostrare la luminosità che si portava dentro".

Si sollevò di colpo a fissare il suo compagno con uno sguardo teso.

"E Galanár cosa sarebbe, allora? L'Huinaran?"

Ilo aggrottò la fronte, come se dovesse prima cercare parole delicate per un concetto spinoso.

"Non tutti amano il Re d'Argento, in Laurëlindon".

"Non mi sorprende. Mio fratello Galanár eccede sempre in tutto: mirabile nel coraggio, sciagurato nell'ambizione. Impossibile da respingere ma difficile da amare, insomma".

"Una descrizione efficace", commentò il mago a mezza voce, prima di azzardare la domanda successiva. "Edhel, invece? Com'era, lui?"

Aidan si lasciò cadere di nuovo sulla schiena, socchiuse le palpebre e desiderò che tutte le lance di roccia che pendevano dalla volta della grotta precipitassero a trafiggergli il petto. Il solo pensiero di dover elaborare una risposta lo faceva star male ma, per qualche inspiegabile motivo, non voleva più mentire a Ilo.

"Come si può descrivere qualcuno capace di sovvertire ogni regola? Con una sola parola Edhel ha riscritto la storia. Con una parola ha ricomposto il mondo e disintegrato me".

I lineamenti sul volto del mago si contrassero. La sofferenza che si era sprigionata dall'ultima frase di Aidan lo aveva colpito come una staffilata. Lo aveva lasciato sorpreso e sgomento allo stesso tempo, incapace di trovare una replica adeguata a quel dolore.

"E Aidanhîn, re di Helegdir?", osò chiedere dopo qualche minuto di silenzio. "Chi è davvero?"

"Uno che ha dei segreti, ma che ha deciso che nessuno dei suoi amici farà una brutta fine a causa sua".

"Che significa?"

Aidan si levò in piedi, si scrollò di dosso qualche goccia gelida piovuta dall'alto e gli rivolse un'occhiata severa, come di chi non ammette replica.

"A volte gli incidenti sono provvidenziali, servono a rammentarci la giusta strada. Domattina, appena capiremo da che parte si sta dirigendo Mellodîn, tu lo raggiungerai. Io, invece, proseguirò da solo".

Anche Ilo si sollevò dal suo riparo e lo sfidò con espressione accigliata.

"Non pensi di aver già creato abbastanza problemi, Vostra Ambiguità?"

"È una faccenda personale. Ti ho già detto che non intendo coinvolgere i miei amici in questa storia".

"Si chiamano amici proprio perché li si coinvolge nelle faccende personali", osservò Ilo con aria sprezzante. "Tutti gli altri puoi chiamarli sudditi".

"Non chiedo ai miei sudditi di rischiare la vita al posto mio, tantomeno agli amici! Bisogna essere già morti per sfidare la morte a cuor leggero".

L'incantatore sgranò gli occhi e sfoderò una smorfia di ironica afflizione.

"Oh, sì, certo! Perché non ci ho pensato prima? Il re triste, l'eroe solitario... Potevi dirmelo subito, che eri venuto fin qui solo per morire. Mi sarei risparmiato la fatica di tirarti fuori da quel buco di prigione e avrei evitato il viaggetto nelle fogne della città".

"Nessuno ti ha chiesto di farlo".

"Io ho scelto di farlo!", esclamò l'altro, di nuovo deciso. "Perché ti credevo diverso, e diverso credevo il tuo valore".

"Un motivo in più per separarci, ti pare?"

Ilo lo squadrò con rabbia dalla testa ai piedi, quindi sollevò le dita della mano sinistra. Un lampo di fuoco si accese nella penombra rossastra della grotta e si infranse contro la spalla di Aidan.

L'arciere fu sbalzato indietro, colto di sorpresa, ma la botta non fu forte abbastanza da mandarlo a terra. Riuscì solo a spingerlo ad estrarre i pugnali e a lanciarsi contro Ilo. L'incantatore fu rapido ad afferrare la spada e a farsi scudo con le fiamme, ma lo slancio dell'altro lo mandò spalle al muro e infranse la barriera di fuoco. In un attimo Aidan gli fu addosso, le lame incrociate lungo il suo collo. La rabbia e il dolore, trattenuti per così tanto tempo, gli avevano fatto perdere la testa.

"Guarda, Ilo. Il pugnale che stringo a destra", ansimò per la tensione, a un millimetro dal suo orecchio. "L'ho affondato nel petto di mio fratello. Pensi davvero che mi tirerò indietro?"

Quello gli rivolse uno sguardo furioso, reso ancor più fosco dall'impossibilità di liberarsi dalla minaccia che lo piantava contro il muro.

"Sì, lo penso", gli ruggì contro. "Perché la vita chiama la vita, Aidan! E tu non sei morto. Non sei morto, dannazione! Quando lo capirai?"

L'urlo rabbioso del re coprì le sue parole. L'incantatore sgusciò dalla sua stretta mortale e balzò di lato. Gli lanciò contro un'altra sfera di fuoco prima di rotolare su un fianco e di spostarsi fuori dalla portata delle suo armi. Proseguirono così fino allo sfinimento, Ilo scagliando strali di fuoco che sfioravano l'arciere senza quasi ferirlo, Aidan incapace di mandare a segno i suoi colpi nonostante la sua abilità.

D'un tratto la spada scivolò via dalle mani del ragazzo e la fiamma si spense sulla roccia bagnata. L'oscurità calò nella grotta.

I due contendenti si intuivano appena. Potevano percepire solo il soffio di fiato che agitava l'aria fredda prima di balzarsi addosso. Le sfere di fuoco facevano tremolare la cortina umida che li separava e si spegnevano in un riverbero verdastro quando andavano a segno. Le bruciature sulla pelle di Aidan si erano fatte più intense. Se all'inizio era riuscito a sopportarne il dolore, a quel punto cominciava a non tollerarne più il morso rovente. Ilo, però, sembrava non averne ancora abbastanza. Con calma calcolata, lanciò un ultimo incantesimo.

Aidan si ritrasse, sembrò piegarsi su se stesso, quindi gridò di dolore con tutto il fiato che gli restava. Un lampo di diamante brillò sotto la stoffa chiara della sua camicia. L'eco della sua voce rimbalzò tra le rocce, amplificata. Un vortice d'aria si generò dal corpo stesso del re e si propagò attorno a lui. Ilo lo percepì e subito si schermò, quasi fosse già in attesa di quell'assalto. Lo scudo di fuoco lo protesse dai danni, ma non poté nulla contro l'onda che si infranse sulle pareti e rimbalzò indietro. Colpì i due ragazzi che caddero a terra e scivolarono sulla pietra viscida, proiettati verso il fondo di quella grotta di cui non si scorgeva la fine.

Cercarono di ancorarsi agli spuntoni per frenare quella pericolosa corsa ma, mentre il mago riuscì ad abbarbicarsi a una colonna di pietra, Aidan perse la presa sul terreno. La punta del suo stivale incontrò il vuoto e lui si trovò sospeso nel buio, aggrappato solamente a una roccia frastagliata.

Ilo si sollevò sulle mani e prese a tastare il pavimento, alla ricerca della spada. La trovò e fece scaturire le fiamme. Quando vide Aidan e la sua precaria posizione, si lanciò verso di lui e gli afferrò il braccio. Il re prese fiato, ma fu solo un istante. La presa di Ilo non era salda sulla pietra bagnata dall'umidità. Intuì i suoi muscoli che si tendevano allo stremo nel tentativo di trattenerlo.

"Lasciami andare", mormorò. "Non puoi farcela".

Il ragazzo si morse le labbra per ricacciare indietro la smorfia che gli alterava il viso mentre si sforzava di guadagnare qualche centimetro.

"Non ti lascio".

Aidan sospirò. I piedi di Ilo scivolarono e gli fecero perdere terreno. L'arciere oscillò sopra il baratro. Provò a scrutare il buio, ma riuscì solo a scorgere gli spuntoni di roccia ai lati dello strapiombo, poi nulla. Tornò a guardare il mago.

"Perché fai tutto questo per me?"

L'altro fece un profondo respiro e strinse ancora più le dita attorno al suo braccio.

"Perché stavo morendo di fame e tu mi hai salvato, quindi no, non ti lascio".

Aidan percepì tutta la determinazione di quelle parole sputate a denti stretti, e vide le lacrime che gli inumidivano gli occhi per lo sforzo e per la consapevolezza di non avere la forza di tirarlo su. La tenacia e la frustrazione che lesse nello sguardo di Ilo gli fecero provare una fitta al cuore, una profonda commozione che pensava di aver seppellito assieme a Edhel.

"Arrenditi, Ilo", scandì con decisione.

L'altro lo fissò per un attimo, quindi annuì.

Mollò la roccia senza lasciare il braccio di Aidan.

Roteando lento, inesorabile, il falco si preparava al balzo.

Di colpo si impennava, piegava il corpo in una curva atletica e potente, quindi si gettava a capofitto verso il suolo, fendendo l'aria con uno stridio angosciante.

Il falconiere, ormai, poteva solo udirlo, non vederlo.

Aidan aveva sperimentato centinaia di volte quel vuoto allo stomaco, la rapidissima picchiata, il colpo sordo e violento con cui il rapace afferrava la sua preda al suolo, ma era sempre stato in piena luce.

Quella volta, però, non c'era alcuna luce. Soprattutto, non c'era l'ebbrezza della Vista, dalla quale si poteva strappare via in qualunque momento, un istante prima del brivido.

Quella volta c'era solo oscurità infinita. Metri e metri di invisibile paura senza sapere quando sarebbe finita quella caduta cieca, e solo la stretta di Ilo che precipitava assieme a lui nel vuoto.

Ancora e ancora, fino a perdere perfino il contatto con il proprio terrore. Aidan serrò le palpebre e attese lo schianto. Ilo urlava, ma quel suono non gli arrivava più alle orecchie. La sua testa era piena del sibilo dell'aria tagliata in due dai loro corpi.

In quel turbine di tempesta qualcosa lottava per farsi strada e venire fuori.

Una voce.

Aidan cercò di afferrarla e riuscì infine a distinguerla.

Quella voce.

Quella che avrebbe saputo riconoscere anche tra mille altre, anche tra mille anni.

Benedizioni dell'Acqua, Aidan!

La voce di Edhel, viva e presente, con la stessa incrinatura di ansia che aveva quando fissava il cielo alla spasmodica ricerca di una rapida soluzione.

Aidan spalancò gli occhi.

"Edhel", mormorò in un soffio.

Le parole gli sfiorarono l'orecchio, così vicine a lui da dargli i brividi.

Puoi farcela!

Aidan sollevò lo sguardo, serrò con sicurezza il braccio di Ilo, poi cominciò a urlare contro la roccia scura il nome del Daimon dell'Acqua.

Un attimo dopo il mondo si disintegrò e l'oscurità senza fine lo avvolse.

Il silenzio si riempì di un ronzio permanente e una torbida marea di sangue lo annegò. 

NOTA DELL'AUTORE

Serva me, servabo te.

"Salvami e io ti salverò", ma anche "Proteggimi e io ti proteggerò".

(Petronio, Satyricon, cap. 44)

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