13. TERRA MARIQUE

"E così ha deciso".

Adwen chinò il capo, serrò le palpebre per ricacciare indietro il dolore e lasciò andare il foglio che teneva in mano.

Quando aveva udito il tramestio nella corte, il cuore le era balzato in petto e lei si era precipitata giù per le scale. Pensava di riabbracciare Aidan, ma si era trovata davanti solo un messaggero. Aveva trattenuto la delusione di fronte all'idea di dover stringere solo una misera lettera al posto del marito e si era rinchiusa in una stanza con Alis per poter dare libero sfogo alla propria amarezza.

La donna la scrutava preoccupata. Quando si trattava di Aidan, di Adwen e dei loro sentimenti, le sembrava sempre di dover mettere piede in un santuario. Non osava quindi chiedere quale fosse il contenuto della missiva, anche se temeva di poterlo indovinare.

La regina le fece cenno di prenderla e di leggerla da sé, ché lei non aveva la forza di guardarla di nuovo. Alis obbedì.


Míriel,

spero che questa lettera ti trovi in buona salute. Io non verrò. Intendo proseguire per il passo di Helcaldar e guidare l'esercito di Galanár oltre i valichi a loro sconosciuti delle vette di Lossmir.

In previsione di una simile necessità, io e il comandante Mellodîn eravamo già d'accordo sul fatto che tu e Alis sareste dovute restare insieme e a Valkano.

Prego che un giorno tu possa perdonarmi per questa decisione presa senza consultarti, così come per quella di non venire a salutarti. Se ci rivedessimo, sai che non ci basterebbe un bacio per lasciarci, ma ne vorremmo sempre uno di più. Se ci rivedessimo, io non avrei più la forza di andare.

Adwen, non biasimarmi. Un giorno ti ho confessato che non mi occorreva un altro motivo per dedicarmi a te, tranne il fatto stesso che tu esistessi, e nulla è cambiato da allora. L'ombra che ci minaccia adesso, però, è troppo fosca per continuare a usarla come riparo. Devo vincerla, per amore di entrambi.

Quindi, come hai fatto tu quel mattino ad Hakala, così anche io ti lascio questa lettera come amuleto, da stringere al petto quando la notte si farà più silenziosa.

Aspettami come tu sola sai aspettare.


Alis abbassò il foglio e il suo sguardo si puntò di nuovo sulla regina. Adwen guardava fuori da una finestra con aria malinconica, persa dietro a un pensiero, a un ricordo, oppure a entrambi.

"Non è da Aidan, infliggerti una simile crudeltà. Dev'essere accaduto qualcosa".

"È crudele, sì, ma ha ragione lui", mormorò l'elfa, come se volesse convincersi. "Mi conosce troppo bene. Se l'avessi visto, avrei tentato in ogni modo di non farlo partire".

Alis si mosse piano, il foglio ancora sollevato tra le dita, gli occhi che indugiavano perplessi sulle righe scure e le ripercorrevano più volte. Quando fu accanto alla regina, le porse la missiva.

"Sembrano entrambi molto preoccupati e non ne comprendo il motivo", considerò. "Non è certo la prima volta che seguono Galanár".

Adwen piegò la carta con cura e la ripose nella tasca del vestito.

"Non saprei", fu la sua replica desolata. "Posso solo dirti il motivo per cui io sono molto preoccupata".

Prese una pausa, come se al suo cuore occorresse più forza per accettare quel pensiero che per sopportare la scelta di suo marito, poi sospirò.

"Perché ad Aidan non importa nulla della spedizione di Galanár. Lui sta andando a cercare Vargas".

"Coraggio, Bellator! Ormai manca poco".

Il capitano di Medthalion scosse il capo e sbuffò di fronte alle parole di incoraggiamento del suo comandante.

Mellodîn gli lanciò un'occhiata divertita e sorrise della sua espressione irritata. Bellator era il suo braccio destro. La morte di Amalion e la prolungata assenza di Aidanhîn non gli avevano lasciato che lui, l'unico ormai di cui potesse fidarsi.

"È una mia impressione, comandante, o tutta questa spedizione si basa sulla nostra presunta abilità di rispettare gli appuntamenti?"

"Che intendi?"

"Incontrare Aidanhîn a Helcaldar, raggiungere Gordian mentre il generale approda da qualche parte, riunirci a lui a Issan", elencò Bellator con voce sempre meno convinta. "Che cosa ci accadrà se manchiamo a uno di questi incroci celesti?"

Mellodîn rise di cuore della sua espressione. Non aveva il coraggio di analizzare con serietà i dubbi del suo capitano. Se anche lo avesse fatto, non sarebbe servito a nulla.

"Che invecchieremo nelle Terre Remote, in una delle loro città ricoperte d'oro", rispose allegro.

Bellator lo osservò con sospetto.

"Oro, eh? È questo il vero motivo di questa spedizione?", indagò.

"È senza dubbio uno dei motivi", rispose il comandante.

Voleva essere sincero almeno per metà. Per la metà che la sua amicizia con il re gli consentiva di rivelare.

"Guerre lunghe come quelle di Galanár non sono economiche", continuò. "E la gestione di un regno così vasto ancor meno. Le casse di Arthalion non sono senza fondo e Aidan, con le sue mirabolanti imprese architettoniche, non è la persona ideale a cui chiedere sostegno in questo momento".

Bellator annuì.

"Quindi a noi toccano di nuovo cavalcate e montagne", commentò ironico.

Il comandante gli sorrise di rimando.

"Preferivi il mare?"

Il mare! Che idea!

Per tutta quella settimana di navigazione non aveva fatto altro che domandarsi cosa diamine gli fosse venuto in mente quella mattina a Silyanor.

Maledetto orgoglio!

Quando il mare era in bonaccia, la noia era mortale, e quando non lo era, il rollio della nave gli era insopportabile, almeno quanto l'infinità di termini incomprensibili necessari per indicare ogni trascurabile pezzettino di quella trappola galleggiante.

La sua presenza a bordo si era rivelata del tutto inutile fin dalla partenza, così Galanár aveva trascorso buona parte delle giornate disteso sul ponte del castello di prora, dove l'aria marina gli permetteva di respirare e gli faceva avere nostalgia delle sue lunghe cavalcate.

Fanelia, di contro, era sempre indaffarata. Non aveva tempo per badare a lui o alle sue lamentele. Solo nei giorni in cui il mare era tranquillo, quando il sole calava alle loro spalle e lo scafo navigava incontro alle stelle, si concedeva un momento di riposo. Galanár aveva scoperto quasi per caso quella sua segreta e solitaria abitudine, di distendersi sul bompresso in compagnia dei propri pensieri. La prima volta che l'aveva intravista, distesa a occhi chiusi in quella posizione precaria, era corso al parapetto in preda al panico. Solo quando si era reso conto che lei sorrideva tranquilla, cullata dal dondolio delle onde, si era tirato indietro ed era rimasto a guardare con circospezione quella donna incomprensibile che era sua moglie.

Da quel momento non aveva fatto che pensare a lei.

La sua figura distesa sul legno della nave, il viso illuminato dall'ultima luce del tramonto, il vento che a tratti le scompigliava i capelli...

Anche quella sera non era riuscito a focalizzarsi su altro per tutto il tempo della cena, e il vino che gli aveva offerto il capitano era riuscito solo a peggiorare la situazione. Mentre gli ufficiali discutevano tra loro di incomprensibili interventi necessari alla traversata, Galanár ondeggiava secondo il ritmo della nave su una distesa di piacevoli visioni.

"Signori, vado a riposare", annunciò d'un tratto.

La discussione si interruppe e tutti si alzarono a quel commiato. Fanelia gli fu subito accanto.

"Vi accompagno", dichiarò come se si fosse trattato di un ordine e non di un'offerta.

Lui la seguì lungo la balaustrata senza protestare. Giunta al centro del parapetto del cassero, la ragazza si fermò e si girò di colpo. Galanár le finì addosso, ma subito si ritrasse, paralizzato dal suo sguardo infastidito.

"Non avete ascoltato nemmeno una parola dei discorsi del capitano", lo rimproverò con voce piccata. "Il fatto che io prenda le decisioni è un conto, ma siete voi l'ammiraglio. Dovete almeno fingere che l'ultima parola sia la vostra".

Era arrabbiata e non stava facendo nulla per nascondere il suo disappunto. Fanelia, nonostante le sue personali trasgressioni, sembrava tenere molto alle formalità. Galanár pensò che la sua incoerenza era deliziosa. Con quel bagliore di dispetto che le accendeva lo sguardo, poi, la trovava ancora più desiderabile.

"A cosa stavate pensando?", lo incalzò.

Lui si mostrò infastidito dalla domanda, quel tanto che gli bastava per provocare la sua reazione.

"Non sono tenuto a condividere con voi i miei pensieri".

Sfoderò un mezzo sorriso, ma lei non abboccò all'amo e lo ripagò con uno sguardo truce.

"Invece è proprio quello che dovremmo fare se fossimo saggi, condividere ogni pensiero. Il nostro matrimonio si basa su un accordo, ma se ci nascondiamo la verità, diventiamo attaccabili. Dobbiamo dirci tutto e conoscerci davvero, se vogliamo spalleggiarci. Se vogliamo sopravvivere".

"Un uomo può mai dire tutta la verità alla propria moglie e pensare di sopravvivere?", rispose lui con aria di celia.

Una volta ancora l'occhiata severa di Fanelia annullò il suo tentativo di scherzare.

"Io non sono come le altre", ribadì secca la ragazza. "Vi sto tendendo una mano fin dall'inizio e mi aspetto che voi facciate altrettanto".

Galanár non voleva mancarle di rispetto. Sapeva che aveva ragione. In quel momento, però, non riusciva a sposare la sua serietà. Per la prima volta da quando erano in viaggio, il continuo ondeggiare della nave aveva smesso di dargli fastidio e lui si sentiva leggero. Non aveva voglia di quel genere di discorsi. Si puntellò con un gomito alla parete di legno e vi appoggiò la testa con un movimento seducente.

"Da dove volete che cominci?", domandò lieve.

Fanelia ignorò il suo sorriso e andò dritta al punto, come faceva sempre. Sembrava che il suo fascino non la incantasse.

"Dal vostro tarlo. Da ciò che vi rende inquieto. Dal fatto che desiderate sbarcare nelle Terre Remote e insieme non lo desiderate affatto".

Lui non si era aspettato quell'elenco snocciolato con tanta decisione ed esitò.

"Certi giorni l'incertezza nei vostri occhi è davvero palese", proseguì lei, a motivare le sue richieste. "Ma non è paura dell'ignoto, la vostra. Di questo sono certa, perché voi siete attratto in maniera morbosa da ciò che non conoscete".

Quella spiegazione lo obbligò a mettere da parte la voglia di scherzare e a concentrarsi.

"Quindi avrei paura solo di ciò che conosco?", indagò.

"Penso di sì. In effetti avrebbe senso, visto che siete un calcolatore".

Un calcolatore?

In qualsiasi altra circostanza, quel termine gli sarebbe parso irrispettoso.

Lui, però, era l'uomo che l'aveva sposata solo perché lei gli era utile, e le aveva anche pagato un prezzo in cambio, quindi rinunciò a mostrarsi offeso.

"Come mi avete studiato bene", mormorò.

"Non faccio accordi con chi non ho studiato bene. Sarei una sciocca".

E lei era la donna che aveva barattato una libertà in cambio di un'altra.

Galanár si stupì del ferreo equilibrio che stava alla base del loro bizzarro accordo. Doveva ammettere che Fanelia possedeva una tempra invidiabile, a giudicare dal modo in cui stava riuscendo a gestire l'intera faccenda.

"L'altra notte sono stato sincero", dichiarò a quel punto. "Siete davvero una creatura splendida. Non pensiate che io sia così stolto da non capirlo".

Forse era il vino a farlo parlare con tanta spontaneità. O forse il fatto che iniziava davvero a fidarsi di lei, perché in qualche modo gli somigliava.

"Un tempo vi avrei anche potuta amare, e parecchio, ma... Vedete, siete arrivata tardi. Non c'è nessun cuore da conquistare, ormai. È già stato divorato da una bestia".

Fanelia si sorprese di fronte alla scelta di quel termine.

"Una bestia? Che epiteto poco elegante da destinare a una donna".

"Non intendevo essere elegante".

Lei si passò un dito sulle labbra, perplessa. Galanár osservò divertito quel suo sforzo. I suoi occhi seguirono avidi l'espressione di Fanelia che si increspava nel tentativo di mettere insieme i pezzi sparsi nella sua mente.

"Una donna", bisbigliò la principessa, rivolta più a se stessa che al re. "Che genere di donna potrebbe aver fatto tanto?"

Lui rimase in silenzio, sempre più curioso di vedere fin dove l'avrebbe condotta il suo ragionare. Non gli interessava più sapere se avrebbe sbagliato o indovinato la verità. Stava solo aspettando che facesse un passo falso per poterla divorare. D'altronde era stata lei a volersi inoltrare in quella discussione, quindi lui non le doveva alcuna cortesia.

"La vostra amante", azzardò infine. "L'Elfo Scuro. Il giorno delle giostre, ad Arthalion, tutti dicevano che fosse vostra intenzione sposarla".

Lo sguardo di Galanár si fece di ghiaccio. Dal suo silenzio, Fanelia seppe di aver indovinato, ma il suo viso inespressivo non le lasciava comprendere altro. In quel momento avrebbe potuto indifferentemente baciarle le labbra o tagliarle la gola. Tutto dipendeva da quello che avrebbe detto.

"Dov'è adesso? Perché l'avete abbandonata?"

"Non l'ho abbandonata".

"È stata lei ad andare via?"

"Più o meno".

D'istinto, Fanelia gli appoggiò una mano sul cuore, come se volesse interrogare quell'organo senza il filtro della sua testa, ma il re le bloccò le dita con le sue e si tese verso di lei.

Gli occhi gli scivolarono lungo il suo collo senza alcun controllo. Vi si soffermarono con tanta attenzione da poter scorgere le pulsazioni accelerate sotto la pelle dorata dal sole, che profumava di erbe selvatiche e di acqua di mare. In quel momento Galanár riuscì a pensare solo che avrebbe voluto disegnare quella linea delicata con la bocca.

"La verità, Fanelia?", domandò sibillino, con voce morbida. "Volete davvero tutta la verità?"

Un brusco movimento della nave li fece vacillare. Un sussulto scosse l'intera struttura e li spinse contro la murata di poppa.

Galanár poggiò il palmo della mano sul legno per non cadere. Il suo corpo trovò quello di Fanelia e lo costrinse contro la parete. Quel contatto gli fece perdere i pochi brandelli di lucidità che gli restavano. Aveva solo voglia di togliere i vestiti che li dividevano.

Chinò il capo fino a toccarle la guancia con la sua e le sfiorò l'orecchio con le labbra.

"La verità è che sono vigliacco e sleale, perché non vi amo".

Fanelia, prigioniera di quella stretta e di quella malia, trattenne il fiato, mentre quello rovente di Galanár le trasmetteva un brivido.

"Non vi amo, no", proseguì lui, la voce bassa e intrigante. "Ma vi desidero. In questo momento vi desidero e basta".

Lei girò appena il viso per incontrare i suoi occhi, così vicini che le ciglia si sarebbero potute sfiorare.

"Possiamo essere vigliacchi e sleali insieme, allora", sussurrò in risposta.

Senza attendere oltre, Galanár fece aderire le labbra a quella curva che gli aveva acceso il desiderio e la sua mano si staccò dalla murata per spostarsi sulla schiena di Fanelia.

In quel momento il veliero sussultò una volta ancora con una violenza inaspettata.

NOTA DELL'AUTORE

Terra marique, per terra e per mare.

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