11. NAVIA AUT CAPITA

Era giorno di mercato e Aldalon brulicava di gente.

Era un posto vivace e ricco, ma era soprattutto l'ultima cittadina di rilievo prima del confine che separava il regno di Galanár da Helegdir. Non gli mancava molto per arrivare a casa. Il via vai di donne, il chiacchiericcio dei mercanti, l'odore dolciastro delle pannocchie arrostite e delle mele cotte nel vino non fecero che aumentare il suo buonumore.

Aidan si addentrò nella piazza principale e si lasciò sommergere da quel fiume di colori e rumori. Si fermò a fissare un gruppo di attori che metteva in scena una pantomima su un palco improvvisato e rise delle loro smorfie sguaiate. Lasciò loro qualche monetina, quindi tornò a sfiorare con lo sguardo i banchi pieni di merce. Forse avrebbe trovato un pizzo o un anellino da portare ad Adwen, appena l'avrebbe rivista.

Sì, ma quando la rivedrò?

Aveva attraversato l'Ambit cavalcando a spron battuto. Sempre avanti, senza mai guardarsi indietro, senza fermarsi più del necessario, come se dovesse fuggire a un inseguimento. Aveva tagliato i campi di girasole e le foreste di Laurëlindon ed era giunto nella capitale solo per scoprire che l'esercito di Galanár era appena partito alla volta di Sylianor, nell'estremo confine nord di Foroddir.

Aegis, che sarebbe rimasto a Laurëgil a occuparsi degli affari del regno, lo aveva rassicurato: Adwen era partita per Valkano in compagnia di Alis. A quel punto, Aidan si era rimesso subito in viaggio. Aveva promesso a suo fratello un passaggio sicuro per Lossmir e quello era il suo obiettivo. Prima avrebbe provveduto a soddisfare quella richiesta, prima Galanár lo avrebbe lasciato in pace e lui sarebbe potuto ritornare alla sua solita vita.

Oppure no?

Mentiva a se stesso quando diceva di non avere nessuna intenzione di seguirlo nelle Terre Remote. Una parte del suo cuore fremeva al pensiero di quell'opportunità.

L'aria attorno a lui era festosa e invitante, e rumorosa a sufficienza per distrarlo dai suoi pensieri. Passeggiò lungo i banchi del mercato. I venditori gli allungavano le stoffe migliori e le donne gli porgevano mazzetti di aromi dal profumo inebriante. Gli avventori non badavano a lui e quella situazione gli permetteva di sentirsi in perfetta solitudine pur essendo circondato dalla gente.

Nella calca, qualcuno gli passò di fianco e lo sfiorò. Solo un leggero strappo, ma la sua reazione fu istintiva e veloce come d'abitudine. Serrò la mano e trattenne qualcuno. Gli torse il braccio e lo obbligò ad affrontare il suo sguardo contrariato.

Un ragazzo, appena più giovane di lui, finì ai suoi piedi con un gemito di dolore, mentre la stretta di Aidan si faceva più ferrea attorno al suo polso. Senza una parola, lo obbligò a rimettersi in piedi e lo trascinò nel vicolo più vicino, dove il passaggio era più rado. Quando si trovarono faccia a faccia, lo squadrò con severità. I capelli di un mogano intenso che gli ricadevano sul viso, gli occhi verdastri e la pelle chiara gli ricordavano le genti di Amfalas. Il fisico agile ma smagrito gli diceva invece che non era abituato a fare un pasto completo ogni giorno.

"I miei soldi", disse soltanto.

Gli parò davanti la palma aperta della mano e il ragazzo non obiettò. Vi adagiò sopra una corona d'oro nuova di zecca. Aidan la fissò indispettito. Voleva forse prendersi gioco di lui, restituendogli solo una moneta?

Gli occhi gli corsero al borsello che teneva al fianco e vide che era ancorato alla cintura con tutto il suo contenuto. Quel ladruncolo era stato così abile da sfilargli una sola moneta. Se Aidan non avesse posseduto gli acuti sensi da elfo che aveva ereditato, forse non si sarebbe nemmeno accorto di essere stato alleggerito di quell'unico pezzo.

Il giovane seguì il suo sguardo e parve indovinare le sue considerazioni.

"Siete così ben vestito che una corona in meno non poteva certo recarvi gran danno", commentò con un sorriso sarcastico.

"Una sola corona non ti rende meno ladro", precisò il re. "Sei giovane, faresti meglio a cercarti un lavoro onesto".

"Oh, be', lo farei... ma sono tempi duri per i maghi umani. Da quando il nostro beneamato re ha a disposizione tutti gli Elfi che desidera, nessuno ha più bisogno dei nostri servigi".

Aidan gli lanciò un'altra lunga occhiata. Non sembrava davvero un manigoldo. Non aveva nemmeno cercato di fuggire quando lui aveva mollato la presa.

"Sono straniero di qui e ho parecchia fretta di ripartire", tagliò corto. "Per questa volta non ti porterò dalle guardie della città".

Gli tirò la moneta, che il ragazzo afferrò al volo, poi girò i tacchi e tornò verso la piazza. Il ladruncolo lo fissò per un istante, poi si perse nel buio del vicolo con il suo piccolo tesoro stretto in una mano.

La passeggiata per le strade della cittadina e i profumi che provenivano dalla cucina della locanda gli avevano messo appetito. Aidan si sistemò in un angolo tranquillo, poi ordinò dello stufato di agnello con verdure e un boccale di birra leggera. Quando ebbe finito la cena, non andò subito a dormire. Si fece portare il necessario per scrivere e vergò alcuni messaggi mentre finiva la sua bevanda, poi rimase a osservare il lieto brusio che lo circondava, fatto di scommesse, rumore di dadi, bestemmie e brindisi. Un brusio che aveva il sapore agrodolce dei ricordi passati.

La calma familiarità di quel momento fu di colpo interrotta da rumori provenienti dalla strada. Urla e risuonare di passi, un urto violento, oggetti che rotolavano e si infrangevano sul selciato, il grido spaventato di una donna. Molti degli uomini seduti nella locanda si precipitarono in strada o si accalcarono a occhieggiare sulla soglia.

Aidan sfiorò con una carezza discreta le sue lame, ben nascoste sui fianchi. A quel proposito, non aveva mutato abitudini: solo nell'intimità del letto e in poche altre rare occasioni se ne separava. Se si fosse presentato un pericolo, i suoi pugnali doveva essere sempre pronti.

Si avvicinò anche lui al capannello di uomini. Inseguimento e rissa erano le parole che si rincorrevano da una bocca all'altra. L'arrivo di due guardie cittadine fu sufficiente a porre fine al trambusto e a riportare l'ordine, e tutti gli avventori ripresero il proprio posto all'interno della taverna. Solo Aidan indugiò ancora a qualche passo dall'entrata. Dallo stretto vicolo che sbucava alla sua destra, le voci roche delle guardie elfiche avevano attirato la sua attenzione.

"Sempre la solita storia!", sbottò uno dei due.

"Uomini!", gli fece eco l'altro, con tono di disprezzo. "Da quando le nostre città sono diventate di tutti, è impossibile dormire tranquilli".

"Zitto!", lo ammonì il primo. "Non metterti nei guai per colpa di questa feccia".

La guardia masticò qualcosa di sgradevole che aveva a che fare con il re, ma che Aidan non comprese. Si mosse con cautela nella loro direzione.

Era una strada senza uscita, quella che si trovò davanti, dove si affacciava qualche porta di servizio o qualche magazzino della locanda. Sul fondo del vicolo buio, stretto contro il muro di pietra, riconobbe il ragazzo che aveva tentato di derubarlo al mercato. Due lame elfiche puntavano contro di lui e neutralizzavano la spada corta che brandiva di fronte a sé in un inutile gesto di difesa.

Senza pensarci due volte, Aidan avanzò e si piantò alle spalle delle guardie, con una mano alla cintola.

"Nyall!", esclamò con l'aria più tranquilla e naturale possibile. "Finalmente ti ho trovato, scansafatiche!"

I due elfi si voltarono a studiare il nuovo arrivato e uno di loro spostò la spada nella sua direzione.

"Fatevi da parte, signore", gli intimò. "Dobbiamo portare via questo ladro".

Aidan rivolse loro uno sguardo singolare, che oscillava tra lo stupore e il disappunto.

"Non direi proprio. È il mio valletto e non mi risulta che sia un ladro".

La guardia scosse il capo e non spostò la lama di un millimetro.

"Costui è una vecchia conoscenza. Fate un errore, signore".

"Insisto", ribadì Aidan con un sorriso studiato. "La strada è buia e di notte tutti gatti sono grigi. Sbagliarsi è facile".

L'altro, però, sembrò non dare credito alla sua sicurezza e gli avvicinò ancor più la punta della spada al petto.

"Se siete suo complice", lo aggredì, "arresteremo anche voi".

Il giovane si strinse nelle spalle. Non indietreggiò nemmeno di un passo. Piuttosto si limitò a distendere le braccia davanti a sé e a mostrargli i polsi.

"Fate pure", rispose con aria tranquilla. "Sono sicuro che re Galanár sarà deliziato dalla solerzia delle sue guardie cittadine, appena ne sarà informato".

L'elfo fece un cenno al compagno, che tirò fuori i ceppi per arrestare entrambi.

"Usatemi solo la cortesia di rispondere a una domanda, prima di arrestarmi".

Strinse la mano sinistra in un pugno, la ruotò e mise sotto il naso della guardia il sigillo del regno che portava al dito.

"Quante miglia ci separano dal confine?"

L'elfo strabuzzò gli occhi e un attimo dopo cadde in ginocchio davanti allo sguardo di ghiaccio del giovane.

"Maestà", balbettò.

A quell'esclamazione, anche l'altro si girò e si affrettò a imitare il gesto di omaggio e di sottomissione. L'espressione di Aidan non mutò di segno, come se l'intera situazione non lo avesse per nulla impressionato.

"Perché sono diretto nel mio regno con il mio valletto", rimarcò, "e sono curioso di sapere quanta strada mi resta da fare... credo sia solo un giorno di viaggio, o mi sbaglio?"

I due si limitarono ad annuire. Il re, a quel punto, sfoggiò un'espressione annoiata e li congedò con un brusco gesto della mano. Gli elfi si levarono in piedi e sparirono nella notte senza fare un fiato.

Rimasero soli, lui e l'altro ragazzo, a fronteggiarsi in quello stretto vicolo silenzioso. Aidan avanzò di qualche passo.

"Adesso non ci resta che vedercela noi due", dichiarò enigmatico.

Con sua enorme sorpresa, il giovane non rinunciò alla sua arma, ma ne strinse l'elsa con ancor più energia.

"Mettila via", mormorò il re con voce gelida.

La corta lama si accese di un cupo bagliore rossastro e un attimo dopo fu avvolta dalle fiamme. Aidan la fissò senza fare una piega. Un sibilo tagliò l'aria e un coltello sfiorò l'orecchio del ragazzo prima di piantarsi sul muro a pochi centimetri dalla sua testa. Un secondo pugnale brillò nella semioscurità.

"Mettila via, ho detto", ripeté con lo stesso tono. "O il prossimo volerà un po' più a destra".

Si avvicinò ancora, fino a sfiorare la spada. Il ragazzo trattenne un singulto e le fiamme si spensero di colpo.

"Non avete avuto paura nemmeno per un istante", osservò, sconvolto e ammirato allo stesso tempo. "Com'è possibile che non temiate il fuoco?"

Il viso di Aidan si contrasse in una smorfia di disinteresse.

"Se passi la vita accanto al supremo Daimonmaster, tutto diventa rassicurante, credimi".

Quelle parole risuonarono oscure e contorte alle orecchie del giovane, ma abbastanza minacciose da convincerlo a rinfoderare l'arma. Anche Aidan sistemò il proprio pugnale nella guaina e si tese per recuperare quello conficcato nel muro.

Il ragazzo si fece da parte e lo osservò con curiosità.

"Maestà di cosa?"

"Di Helegdir".

La risposta era stata laconica e senza nemmeno uno sguardo ad accompagnarla. Aidan sembrava concentrato solo sulla lama, che stava ripulendo da qualche microscopico granello di pietra. Solo quando fu soddisfatto del suo lavoro, sollevò lo sguardo sull'altro.

"E tu chi sei?"

"Nyall, a quanto pare", fu la risposta sarcastica. "Anche se mi sembra un nome più adatto a un segugio, maestà".

"Ah... scusami".

Aidan sorrise. In quel momento, nella semioscurità, sembrava di nuovo lo scanzonato arciere di un tempo, non il cupo re che stava diventando.

"In effetti è il nome del mio cavallo, ma non mi è venuto in mente niente di meglio".

Si lanciarono un'occhiata e, nel medesimo istante, entrambi si misero a ridere.

"Ilo", dichiarò infine il ragazzo. "Mi chiamo Ilo".

Il re annuì.

"Ilo", ripeté. "Sei del Nord. Di Amfalas, vero?"

"Sì. Sono il figlio del fabbro di Goje. O meglio, lui è il padre che mi ha adottato".

Aidan lo ascoltò con attenzione, mentre entrambi si spostavano verso la piazza e l'ingresso della taverna.

"Goje è parecchio distante da qui", osservò. "Perché il figlio di un fabbro di Amfalas si trova ad Aldalon a evocare spade di fuoco e a derubare i viandanti?"

"Ve l'ho detto prima, ed ero sincero! Sono un incantatore. Più bravo con la magia che con le armi, nonostante gli sforzi di mio padre di insegnarmi il mestiere. Alla fine mi ha mandato a studiare, ché i denari li aveva, ma adesso sembra che i suoi sforzi siano stati inutili".

"Perché?"

"Perché vostro fratello...", farfugliò. "Cioè il principe di Arthalion... Cioè il re..."

"So chi è mio fratello", lo interruppe Aidan, divertito dal suo imbarazzo. "Vai avanti".

"Insomma, lui non sa più che farsene dei maghi umani. Il Reggente ha un'intera schiera di incantatori elfici al suo servizio, e ormai non fa più affidamento che su di loro".

Il Reggente!

Ad Aidan venne da ridere. Era sempre buffo per lui sentire chiamare Aegis in quel modo.

"Senza contare che, finita la guerra, non è che ci sia molto lavoro per nessuno. Così faccio giochi di magia alle fiere e nei giorni di mercato, e mi sposto da un posto all'altro per guadagnarmi da vivere".

Quel ragazzo era un vero spasso! Di sicuro gli avrebbe dato qualche gatta da pelare e avrebbe rallentato il suo cammino, ma Valkano era a pochi giorni di distanza e Aidan era stanco di viaggiare da solo.

"Ti andrebbe di andare a Valkano?", gli chiese a bruciapelo.

"Con tutto il rispetto, maestà... non siete molto famosi per fiere e feste, a Valkano".

"No, direi di no. Ma siamo abbastanza famosi per il nostro centro di magia".

"E poi Valkano è la roccaforte degli Eldar..."

"Valkano è un santuario, adesso", lo interruppe Aidan con tono deciso. "Ogni razza è la benvenuta nel monastero".

L'altro non rispose e si limitò a fissarlo in silenzio con i suoi occhi liquidi. Sembrava diffidente.

O magari solo disinteressato.

Aidan attese per qualche istante, poi sollevò le spalle con noncuranza.

"È stato un piacere, Ilo di Goje".

Si girò, gli lanciò un'altra corona e si avviò verso l'ingresso della locanda.

Un tintinnio metallico lo obbligò a fermarsi poco prima della porta.

La moneta rotolò sul selciato e Aidan si voltò.

"Vengo con voi, maestà".

Il re sorrise.

"Aidanhîn. Non maestà. Non viaggerei da solo e in questo stato se volessi farmi omaggiare in ogni città che attraverso".

NOTA DELL'AUTORE

Navia aut capita (o capita aut navia) è uno dei più popolari giochi d'azzardo dell'Antica Roma.

Il lancio di una moneta che aveva da un lato la testa di Giano bifronte e dall'altro una nave (navi o teste, appunto) è l'antenato del nostro Testa o croce.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top