10. SI NON CASTE, TAMEN CAUTE
Fanelia vide la luce di una candela guizzare dentro la stanza e rimbalzare incerta sulle pareti.
Si arrestò di colpo di fronte all'ultima persona che si sarebbe aspettata di vedere, e anche Galanár si trattenne sulla soglia.
Scrutò il bizzarro spettacolo che gli si era presentato dinnanzi, poi chiuse la porta alle proprie spalle senza una parola e mise il lume nel candelabro accanto al letto. Per tutto il tempo il suo sguardo rimase fisso su di lei.
Era davvero sorpreso. Quella fanciulla che giocava con la propria corona, i lunghi capelli sciolti sulle spalle, le gote accese dalle risate, non era Fanelia. Non la Fanelia che lui pensava di conoscere, almeno. Era diversa dalla guerriera cui si era abituato, ma non somigliava nemmeno alla regina che si era trovato al fianco nel corso della cerimonia nuziale. Quella che aveva di fronte era solo una ragazza come tante, che scherzava davanti allo specchio, senza pensieri. E che lo turbava.
Si sforzò di abbozzare un sorriso per superare l'imbarazzo che in quel momento doveva aver colto entrambi. A quel gesto, lei sussultò come se l'avesse risvegliata da un incantesimo. Si tolse la corona dal capo, si affrettò a riporla sul ripiano e corse a infilarsi sotto le lenzuola.
Il re si domandò perché diamine si fosse deciso a raggiungerla e fece ricorso alla poca pazienza in suo possesso per non cedere alla tentazione di tornare sui propri passi. Si obbligò a togliersi la tunica e scivolò al suo fianco.
Fanelia non si mosse. Poteva sentire solo il suo respiro, appena un po' più accelerato del solito. Galanár rimpianse una volta ancora l'assenza di un dio da poter pregare, perché in quel momento avrebbe davvero voluto che qualcuno gli dicesse cosa fare, e come. Era una situazione diversa da qualunque altra mai sperimentata e non la trovava in alcun modo eccitante.
Con un gesto di velata incertezza, le cinse la vita e l'avvicinò a sé. Cercò di richiamare alla mente i giochi che conosceva per darsi piacere o per darlo alle sue amanti, ma li scartò uno dopo l'altro. Quei gesti, tanto naturali con le altre donne, gli sembravano inadatti per Fanelia.
Cercò il suo sguardo nella penombra. Forse quel contatto avrebbe saputo suggerirgli come destreggiarsi in quell'affare. Quando fermarsi e quando poter osare. Con suo profondo stupore, si accorse che Fanelia era tranquilla, come la sera in cui le aveva chiesto di sposarlo.
Lasciò scivolare la mano sui suoi fianchi, scese lungo la linea delle gambe. Quando incontrò il bordo della camicia, lo sollevò per poterle esplorare la pelle.
Per tutto quel tempo, lei non aveva fatto un fiato. Non si era ritratta, non aveva respinto il suo tocco. L'aveva lasciato fare. Sebbene non fosse la reazione cui era abituato, non era nemmeno la peggiore cui sarebbe potuto andare incontro. Quell'evidenza accese in lui almeno una scintilla di interesse verso quel gioco. Stabilì che poteva spingersi oltre e le scivolò addosso, a coprirle il corpo con il proprio.
Quando, però, incrociò i suoi occhi che lo scrutavano attenti, senza perdersi nemmeno una sfumatura della sua espressione, la sua sicurezza vacillò.
Lei non era una cortigiana. Era la regina.
Ed è anche mia moglie.
Forse, a quel punto, avrebbe dovuto baciarla, ma quel gesto gli sembrava del tutto innaturale, come se avesse potuto imporre tra loro un'intimità che non esisteva. Tuttavia, possederla senza nemmeno un cenno di gentilezza gli sarebbe sembrato ancor più rude.
In quel momento di esitazione, una serie di immagini confuse gli salirono alla mente con una rapidità tale da non riuscire a contrastarle. Mescolavano dolcezza e violenza, amore e dolore, desiderio e possesso. Galanár si sentì esplodere il cuore e desiderò solo andarsene da lì il più presto possibile.
Si sollevò con un gesto brusco, si allontanò da lei e indietreggiò. Si sedette sul letto, ben discosto, e cercò di riprendere fiato.
Fanelia lo fissava sgomenta. Le era stato insegnato che non avrebbe dovuto fare né dire nulla in quell'occasione. Avrebbe dovuto lasciar fare ogni cosa all'uomo a cui sarebbe stata destinata. Di fronte alla reazione inattesa di Galanár, però, le risultò impossibile non reagire.
Si sollevò a sua volta e si mise a sedere di fronte a lui.
"Non sono abbastanza bella, mio signore?", chiese con voce venata d'incertezza.
Quella domanda ebbe il bizzarro potere di allontanarlo dai suoi incubi. Galanár sollevò il capo e rise.
"Scherzate?", ribatté d'istinto. "Siete così bella che potreste avere qualsiasi uomo desideriate".
Lei gli sorrise di rimando, sollevò gli occhi da cervo e si tamburellò le labbra con le dita.
"Oh, be'... credo che ormai sia un po' tardi per desiderare qualsiasi altro uomo che non siate voi".
Gli aveva risposto con tono lieve, quasi civettuolo. Forse sperava di strappargli un'altra risata, di alleggerire la tensione che c'era tra loro, ma Galanár si irrigidì. La sua espressione ridivenne seria, la postura distaccata, la voce fredda.
"Può darsi. Ma è sempre meglio non fare certi tipi di giuramento".
Fanelia continuava a non capire. Sapeva che non si erano scelti e sospettava anche di non essere il genere di donna che di norma attraeva il re. Certo, possedere il titolo di moglie non implicava che lui dovesse desiderarla a ogni costo, ma il re non si stava limitando al disinteresse. Si stava mostrando ostile. A tratti, addirittura, le era parso che stesse soffrendo, anche se quell'intuizione le sembrava assurda e incoerente.
Provò a sommare quei ragionamenti alla brusca risposta che lui le aveva appena dato e pensò di poter indovinare, infine, quale fosse il motivo del suo tormento.
"La risposta è no, comunque", dichiarò, calma e sicura.
Galanár sussultò e la fissò perplesso.
No, cosa?
No, non lo amava? No, non aveva nessuna intenzione di giacere con lui? Ma nessuno di quei no era un segreto, quindi perché ribadirlo?
Si sentì tuttavia in dovere di interessarsi a quello che somigliava a un principio di garbata conversazione tra loro.
"Quale risposta?"
Fanelia piegò appena il capo e gli sorrise.
"La risposta alla domanda che vi assilla da quando siete arrivato, quella che non osate farmi in maniera esplicita".
Lui, a quel punto, non poté che guardarla con vivo interesse. Non si era aspettato quella replica. E non si era aspettato che Fanelia, per tutto quel tempo, lo avesse osservato e studiato con tanta cura.
"No", proseguì lei. "Nessuno ha mai guardato o toccato il mio corpo prima di voi".
Il re, di fronte a quel discorso, non si preoccupò nemmeno di nascondere il suo stupore. Lei gli aveva letto dentro, e con molta più chiarezza di quanto non avesse fatto lui stesso. Dove lui vedeva solo un caos di sentimenti contrastanti, lei era riuscita a tirare fuori l'unica risposta capace di togliergli il fiato e di disarmarlo.
Pensò di poterle essere profondamente riconoscente, perché aveva intuito il suo cruccio senza chiedere nulla, senza costringerlo a riportare alla luce il passato, senza obbligarlo a un discorso che avrebbe senza dubbio rifuggito.
Non disse nulla, ma si tese verso di lei e le sfiorò il viso con il dorso della mano, poi poggiò le labbra sulla sua fronte. Indugiò a lungo in quel contatto, in quel bacio dolce e disperato, finché Fanelia si rese conto che stava piangendo.
Quella scoperta la lasciò senza parole.
Il re stava piangendo. Il suo generale stava piangendo.
Una lacrima calda si incollò al suo viso. Una lacrima di quell'uomo che credeva imperturbabile, incapace di simili passioni.
Capì in quel preciso istante di non avere di fronte solo un re da compiacere o un generale cui obbedire. Aveva di fronte anche un uomo, e il suo destino sarebbe stato quello di capirlo.
Gli prese il viso tra le mani e glielo allontanò perché lui potesse guardarla negli occhi.
"Questa persona è vostra, questo corpo è vostro, e vostri sono i figli che esso potrà donarvi", gli sorrise. "Vi ho fatto un giuramento, Galanár: io vi sarò fedele, sul campo di battaglia o fuori da esso, dovunque il vostro volere mi condurrà. Anche se questo dovesse costarmi la vita".
Lui si sentì sopraffatto da quella promessa, tanto più sincera perché del tutto imprevista e non contemplata nel loro accordo.
Senza darle il tempo per prendere fiato dopo quel discorso, le serrò il collo con una mano e le sigillò le labbra con un bacio.
Fanelia sobbalzò per la sorpresa e per l'incertezza di non sapere cosa fare, come replicare a quel gesto. Galanár intercettò la sua esitazione e la lasciò andare. Sarebbe stato gentile, si disse. Lei meritava che lui fosse gentile.
L'attirò verso di sé con uno spostamento delicato, quindi avvicinò la bocca alla sua senza toccarla.
"Siete una creatura magnifica, Fanelia".
La sfiorò solo in quel movimento, ma quella carezza instabile e precaria fu sufficiente a far rabbrividire lei e ad accendere lui di desiderio.
"Amaurea mi ha fatto un dono", mormorò, la voce più bassa e roca. "Siete voi il fato che mi ha scelto".
Dopo aver pronunciato quelle parole, tornò a cercarle le labbra, ma senza fretta. Lasciò che Fanelia provasse, assaggiasse, decidesse da sé quando avvicinarsi e quando fermarsi, finché percepì il momento in cui fu lei a desiderare di più. Si accorse che era passato davvero tanto tempo dall'ultima volta che una donna era stata in grado di trasmettergli con tanta chiarezza quel brivido di attesa e sospensione, che mescolava desiderio e paura allo stesso tempo. Quella sensazione gli diede alla testa.
Affondò ancora di più in quel bacio, alla disperata ricerca delle emozioni che aveva dimenticato in un passato rinnegato. Le mani scivolarono su di lei seguendo una volontà propria, fino a incontrare la stoffa che le si era attorcigliata attorno alla vita. La sollevò e le sfilò la camicia dalla testa.
Fanelia gemette nel momento in cui avvertì le sue dita sulla pelle nuda. Si sentiva travolta e stordita da quel cumulo di emozioni, tanto rapide e sconosciute. Si sarebbe voluta fermare ad assaporarle tutte, ma non sapeva come chiederlo. Si arrese quindi alla guida sicura del re e si lasciò andare sulla schiena quando lui la spinse verso il letto con dolcezza e la coprì con il suo corpo. Un corpo che, attimo dopo attimo, iniziava a sembrarle sempre meno straniero. Le sue labbra cominciarono a tracciare un percorso di brividi sulla sua pelle e Fanelia sentì un vortice salirle alla testa, come dopo aver bevuto d'un fiato un bicchiere colmo di vino. Chiuse gli occhi e si lasciò sommergere dalle nuove sensazioni che le suggeriva quel contatto.
Galanár percepì il suo abbandono, la semplicità con cui si stava arrendendo alla sua volontà e gli stava lasciando il potere sull'intera scena. Qualcosa, forse un nuovo desiderio, si accese in lui.
Non voleva più trattenersi. Il controllo che si stava imponendo gli stava procurando solo un dolore crescente. Doveva averla subito, a ogni costo, eppure non si trattava dello stesso istinto che lo aveva spinto a volere tante altre donne prima di lei. Avvertiva un bisogno disperato di sentirla sua, di saperla sua per intero.
Aveva bisogno che lei gli appartenesse.
Era un'urgenza così tormentosa, così vitale, che lo spinse a farsi largo tra le sue gambe, ad affondare nel suo calore, a dimenticare ogni altro pensiero che non fosse la terribile fame d'amore che aveva quella notte.
Si fermò a guardarla solo per un attimo, prima di lasciare la stanza.
Era bella e tutto in lei gli trasmetteva fiducia.
Avrebbe potuto essere piacevole, persino migliore di quanto non fosse stato quella notte.
Avrebbe potuto essere una seconda occasione.
Galanár, però, pensò di non volerla, una seconda occasione.
Il contratto che avevano stipulato in segreto andava più che bene e sarebbe bastato. Non c'era alcun motivo di complicare i rapporti tra loro. Era meglio per tutti.
Per lui, che non avrebbe corso il rischio di dover confessare, prima o poi, le sue più segrete fantasie e i pensieri rivolti altrove. Per lei, che non si sarebbe creata aspettative che non potevano essere soddisfatte. Per i suoi uomini, che non avrebbero dovuto sopportare di nuovo gli alti e bassi di una coppia al comando.
Doveva imparare dai suoi errori.
Fatto salvo il loro dovere nei confronti del regno, lui sarebbe rimasto il generale e Fanelia il suo capitano, come d'accordo.
La stanza era deserta, se si eccettuava il discreto via vai delle ancelle che l'aveva destata al mattino. Il re doveva essere andato via molto presto.
Fanelia ricordava di essersi addormentata tra le sue braccia, ma non ne era sicura. Conservava immagini confuse dell'ultima parte di quella notte. Nessuna sgradevole, comunque. Se tutti i loro futuri incontri fossero stati simili a quella prima esperienza, stabilì che non sarebbe stato terribile assolvere ai suoi doveri coniugali.
Al di là di quelle considerazioni, sapeva di non doversi aspettare alcun romanticismo. Il fatto stesso che lui non fosse lì al suo risveglio non le lasciava dubbi. Il loro accordo, d'altronde, non prevedeva sentimenti, e quella notte ne aveva ottenuti già molti più di quanti non ne avesse immaginati in principio. Se li sarebbe fatti bastare senza chiedere altro. Allo stesso tempo, però, decise che non avrebbe rinunciato a nessuno dei privilegi che aveva appena acquisito.
Ripensò alle parole di Adwen e promise a se stessa che avrebbe trovato il modo per gestire al meglio il suo rapporto con Galanár. In fondo, lei era la regina.
Si alzò dal letto con il pensiero rivolto ai compiti che l'attendevano in quella giornata, e solo allora si accorse che il re le aveva lasciato una nota sul tavolo.
Le navi di Aermegil e di Medthalion erano già alla fonda a largo di Silyanor.
L'esercito doveva lasciare Laurëgil entro una settimana.
NOTA DELL'AUTORE
Si non caste, tamen caute significa Se non in maniera casta, almeno con cautela. Ovvero, se non riesci a vivere in castità, sii prudente nelle tue trasgressioni e cerca almeno di non destare scandalo.
L'invito, nel Medioevo, veniva spesso utilizzato come raccomandazione per i membri del clero. Talvolta era anche un modo malizioso e ironico di raccomandare la cautela durante i rapporti illeciti per evitare gravidanze indesiderate.
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