08. EPITHALAMION

Come per qualsiasi altro evento che riguardava la sua persona, Galanár non badò a spese per celebrare le proprie nozze.

Quel matrimonio era, prima di tutto, una risposta ai nobili che lo avevano assillato fino al giorno dell'annuncio ufficiale. Inoltre la sua scelta era inattaccabile sotto ogni punto di vista: la sposa era nobile e figlia di uno degli Arconti della Lega. Era esattamente ciò che tutti si attendevano da lui.

Il luogo designato per la cerimonia fu la rocca di Laurëgil. Il re non voleva che la nobiltà elfica si sentisse tagliata fuori da un simile avvenimento. Scegliere Arthalion avrebbe dato l'impressione che egli volesse riservarlo ai soli Uomini.

Laurëgil era e doveva restare il centro del suo nuovo, vasto regno.

Laurëgil era il simbolo di ciò che aveva conquistato a caro prezzo.

La capitale fu dunque vestita a festa per l'occasione. Gli abitanti gremivano il ciglio della strada per vedere la nuova regina e le fanciulle lanciavano petali di fiori dalle finestre. Il corteo della sposa salì verso la rocca lungo il sentiero rallegrato da ghirlande di fiori e stendardi colorati.

Fanelia procedeva in sella a un palafreno. Cavalcava all'amazzone, forse per la prima volta in vita sua, scortata da quattro cavalieri con le insegne del Principato.

Quando giunse all'ingresso della reggia, i suoi armigeri si schierarono sulla scalinata dove il comandante Mellodîn, in alta uniforme, la attendeva sulla soglia assieme a un drappello di guardie scelte. L'aiutò a scendere da cavallo, attese che le ancelle le sistemassero l'abito, quindi dispose gli uomini e scortò la principessa all'interno del palazzo.

Fanelia si trattenne solo un istante sulla soglia della sala del trono.

A destra e a sinistra lo spazio era stipato di cavalieri e gentildonne. Le armature rilucevano al pari dei gioielli, i copricapi delle più diverse fogge sfidavano l'eleganza delle maniche rifinite. Al centro si apriva il corridoio che avrebbe dovuto attraversare. Separato da quella distanza, Galanár era proprio di fronte a lei, vestito di viola e dorato. I colori di Arthalion facevano risaltare il chiarore dei suoi lunghi capelli argentati e la tiara preziosa. Accanto a lui, sul piano rialzato del trono, attendevano il maestro Aegis e suo padre, il principe Berith di Aermegil.

Fanelia sapeva che i tre uomini si erano incontrati per firmare il contratto di matrimonio. A giudicare dalla tranquillità che regnava nei loro sguardi, la faccenda non doveva essere stata né lunga né complicata. D'altra parte, cosa mai si poteva obiettare di fronte alla richiesta di un re? 

Del re, in effetti, di quasi tutta Amilendor.

Non esisteva fanciulla che potesse portare un'adeguata dote. Qualsiasi fossero le condizioni, quindi, quell'unione poteva essere accolta solo come un grande onore. Suo padre non aveva dovuto fare altro che firmare. La celebrazione ufficiale del rito non era che l'ultimo atto. Il più scenografico senza dubbio, ma di certo il più trascurabile.

Aidan la seguì con lo sguardo mentre si avvicinava al trono. Si domandò che cosa ci fosse davvero dietro la cerimonia cui stava assistendo e quanto lei fosse consapevole dell'uomo al quale stava unendo il suo destino.

Adwen studiò l'espressione assorta del marito. Intercettò la traiettoria dei suoi occhi e incrociò la figura di Fanelia, ormai a pochi passi da loro. Il suo atteggiamento si fece subito serio.

"Così, è questa la famosa principessa Fanelia", sussurrò.

Aidan annuì e un attimo dopo si girò a guardare l'elfa. Non gli sfuggì il mutamento sul suo viso e non ne ignorava nemmeno la causa. Le aveva raccontato del banchetto organizzato da Galanár, quando aveva danzato con la principessa, e conosceva fin troppo bene l'ombra di incertezza che talvolta oscurava i sentimenti di sua moglie.

Adwen era così inconsapevole del proprio valore, tanto quanto sua sorella, al contrario, era sempre stata sicura delle proprie qualità. Senza dubbio, in quel momento, si stava paragonando a Fanelia e si stava chiedendo se Aidan non sarebbe stato più felice con una bella principessa umana come lei. Quel pensiero gli accese nel cuore un moto di dolcezza.

Le fece scivolare il braccio attorno alla vita e l'attirò più vicina a sé. Le prese il mento con la punta delle dita e la obbligò a distogliere lo sguardo da Fanelia.

"Sai a cosa sto pensando?"

Lei scosse il capo senza rispondere. Era assai probabile che nessuna delle sue contorte idee le sembrasse adeguata. Aidan sorrise e si chinò a sfiorarle l'orecchio con le labbra.

"Che non c'è nulla di più delizioso di una moglie gelosa", mormorò.

Poi, del tutto incurante del galateo di corte e della scena che li circondava, si spostò quel tanto che gli bastava per baciarle la bocca.

Lei rise piano della sua trasgressione e finse di volerlo allontanare. Aidan le vide guizzare negli occhi una luce che vi mancava da tempo e quel bagliore gli rapì la mente. Avrebbe fermato il mondo in quell'istante se avesse potuto, solo per la sua felicità.

"Aidan, voi sapete cosa accade agli Elfi, quando decidono di morire?"

La voce cupa di Silanna gli tornò alla mente e gli trasmise un brivido. Come avrebbe potuto, Adwen, scegliere quel destino? E come avrebbe fatto lui, senza la luce dei suoi occhi?

Com'è possibile essere felici e disperati? Felici e disperati allo stesso tempo?

Si guardò attorno, alla ricerca di qualcosa che lo distraesse da quel pensiero.

Era il primo giorno di primavera. La luce di Laurëgil risplendeva e Adwen brillava a sua volta, in perfetta risonanza con la sua terra.

Sì, forse Aegis aveva ragione. Aveva sbagliato a rinchiudersi in quel nido al riparo dal mondo. Il ghiaccio serviva solo ad anestetizzare l'anima, ma non poteva curare la ferita.

"Dovrò scortare mia madre ad Arthalion, una volta finiti i festeggiamenti", le comunicò allora, a bassa voce.

Adwen annuì senza scomporsi e continuò a seguire la cerimonia.

"Vorrei che tu restassi qui", proseguì lui.

L'elfa gli rivolse un lieve sorriso.

"Sarò felice di restare un po' con Alis, mentre sarai via".

"Sì, ne ero certo, ma c'è un altro favore che vorrei chiederti".

"Quale?"

"Vorrei che tu trovassi il tempo per stringere amicizia con Fanelia".

Adwen lo studiò con la coda dell'occhio. Il suo sguardo non sembrava più quello di una donna gelosa, ma piuttosto di una incuriosita dalla richiesta.

"Perché tieni tanto a lei?"

"Perché mi sembra una ragazza corretta e gentile, e avrà bisogno di te e di Alis in questa corte di leoni. Almeno all'inizio".

Prese una pausa, durante la quale Adwen non disse nulla. Intuiva che non le aveva esposto per intero le sue ragioni, ma lei sapeva leggere il cuore di Aidan più di chiunque altro. C'erano ancora nomi ed eventi del passato che suo marito stentava a menzionare nei suoi discorsi.

"E perché ho un debito di riconoscenza che vorrei saldare", concluse lui.

Adwen non replicò. Si limitò a sfiorargli il dorso della mano con discrezione, poi intrecciò le dita a quelle di lui.

Quella conferma silenziosa lo rasserenò. Aidan tornò ad abbracciare con lo sguardo l'intera scena che aveva di fronte. Realizzò che proprio in quella sala era diventato re. Lì aveva reclamato il possesso di Valkano e lì aveva chiesto la mano di Adwen.

In definitiva, quella era la sala in cui aveva preso tutte le decisioni importanti della sua esistenza.

Doveva solo aggiungerne una di più alla lista, e lo avrebbe fatto.

Mellodîn consegnò Ariendil a Aegis. Il maestro disegnò un cerchio a terra con la punta dell'arma, attorno alla coppia di sposi.

Fanelia sollevò il fine tessuto che la velava e prese la coppa che Galanár le stava porgendo per bere un sorso di vino dallo stesso calice. Il re intrecciò la mano destra della fanciulla con la sua ed Aegis cominciò a passare un lungo nastro candido attorno ai loro polsi.

L'uno di fronte all'altra, si scambiarono un'occhiata veloce. Galanár fu lieto di vedere che Fanelia era del tutto padrona di sé. Nessun facile entusiasmo, nessuna femminile debolezza. D'istinto le sorrise e lei gli ricambiò lo sguardo.

"Dovunque tu andrai, io andrò", scandì la principessa con tono allusivo.

Galanár colse subito il senso che lei aveva voluto infondere in quella formula e pensò che avere un accordo segreto, da condividere solo in due, era un buon modo per iniziare un matrimonio. Le annuì complice e rispose con la medesima intenzione.

"Dovunque io andrò, tu andrai".

Aegis annodò i due capi del nastro.

"Adesso siete legati da un nodo che non può essere spezzato. Nel ricordo di questi voti, vivete con saggezza e con amore, perché questa unione durerà in questo mondo e oltre".

Galanár baciò Fanelia sulla fronte. Il primo passo, almeno, era stato fatto.

Quello che seguì fu un tripudio di sfarzo e di gloria.

Fuori dalla reggia, il re aveva concesso festa in ogni piazza, pagando artisti e saltimbanchi, bevande e cibo per tutti. Dentro le mura, le candele si consumavano senza parsimonia intorno alla tavola imbandita per gli ospiti nella grande sala dei banchetti, mentre le danze si prolungarono fino all'alba, accompagnate dai musici e dai cantori.

Fanelia, però, rimase sola quella notte, e per tutte le altre a seguire.

Aidan cavalcava lungo la strada pietrosa incurante del paesaggio che lo circondava. L'andatura monotona del viaggio lo aveva quasi addormentato.

Le montagne dell'Ambit erano sempre state per lui fonte di discordanti emozioni. Le aveva attraversate con entusiasmo la prima volta, per seguire Galanár. Gli erano sembrate ostili quando aveva fretta di raggiungere la capitale con Amalion. Infinite quando non vedeva l'ora di condurre Adwen nella propria casa.

Quel giorno, per quanto ci ragionasse, non provava nulla.

Il rumore delle ruote che sobbalzavano sull'acciottolato accompagnava lo schioccare degli zoccoli del suo cavallo. Il mezzogiorno si avvicinava e, in quelle terre aride, la primavera sfoggiava già giornate assolate che facevano temere l'estate rovente.

La regina Laurëloth si sporse dal finestrino della carrozza che procedeva al suo fianco e adagiò il capo su un braccio per prendere aria. Il ragazzo le si fece da presso.

"Come state, madre? Il viaggio vi dà noia?"

Lei sorrise di quella sua premura. Nonostante la stanchezza, il suo viso era ancora giovane e bello in modo del tutto innaturale. Quella caratteristica elfica che affascinava Aidan da ragazzino, da un po' di tempo a quella parte aveva cominciato a farlo rabbrividire. Sua madre non aveva età. Non assomigliava a nessun'altra madre.

"Ho caldo, a viaggiare in questa carrozza", rispose la regina. "Ma sono le preoccupazioni a darmi il maggiore tormento".

Aidan le lanciò una rapida occhiata.

"Non vedo cosa possa preoccuparvi tanto. Abbiamo lasciato Laurëgil ancora in festa per le nozze del suo re".

La regina rivolse lo sguardo altrove e parve ignorare quel commento. Il suo umore era stato cupo fin dall'arrivo nella capitale elfica e non era mai mutato nelle successive settimane. Il motivo non era certo un mistero per Aidan. Laurëloth non aveva apprezzato che Galanár, il suo prediletto, avesse preso una decisione così importante come quella di sposarsi tanto in fretta e soprattutto senza chiedere il suo parere.

Se cresci un figlio convincendolo che sia un dio, però, devi aspettarti che si comporti come tale!

Si accorgeva, suo malgrado, di essere diventato più cinico nel giudicare la propria famiglia. Da quando Edhel gli aveva mostrato la visione della sua conversazione con Vargas, non riusciva più a stare accanto a sua madre con la naturalezza di un tempo. In qualche modo, nella sua testa, aveva attribuito a lei e alle sue scelte una parte di responsabilità nelle sue sventure e in quelle del gemello.

"Tuo fratello è tanto ardito quanto stolto, alle volte. Non so che partita abbia deciso di intavolare con la Lega, ma è un gioco pericoloso".

"Sembravano tutti contenti, il giorno delle nozze".

Tutti tranne voi, insomma.

"Nozze che non sono state ancora consumate", rimarcò lei piccata.

"Non sono il ruffiano di mio fratello, e non credo che gliene occorra uno".

"Tu non capisci! La servitù spettegola su ogni affare della corte. Se questa voce giungesse alle orecchie del principe Berith, potrebbe considerarlo un oltraggio da parte del re. Tra l'altro, a queste condizioni, il matrimonio non ha alcun valore. Fanelia potrebbe sollevare un polverone, se solo lo volesse, e suo padre avanzare delle pretese in riparazione dell'offesa".

Aidan rise di cuore di fronte all'espressione preoccupata della regina.

"Fate sempre troppi calcoli, madre! E vivete con l'ansia che tutti attorno a voi facciano altrettanto".

Lei lo squadrò dall'alto in basso, come se avesse voluto soppesarlo.

"Il fatto che tu non veda un pericolo, o che tu scelga di non vederlo, non significa che non esiste".

"Voi parlate sempre per enigmi, signora", fu la risposta tagliente del ragazzo. "Fanelia è una ragazza assennata, ve lo posso garantire. E Galanár non è uno sprovveduto".

Laureloth sospirò, stanca del disinteresse che lui ostentava nei suoi confronti.

"Perché mi tratti così, Aidanhîn?", lo rimproverò con voce dura, come se lui avesse ancora dieci anni.

Il ragazzo la guardò di sfuggita.

"Perché sembra che la vostra unica preoccupazione sia che io mi prenda cura di mio fratello", commentò fosco.

Quel risentimento nella voce, che non era mai stato di Aidan, sembrò riportarle alla mente echi del suo passato.

"Mi sembra di sentir parlare Edhel, adesso", commentò amara.

All'udire quelle parole, il re di Helegdir non si prese nemmeno la pena di rispondere. Diede di sprone al cavallo e, senza degnarla di uno sguardo, raggiunse la testa del breve corteo reale.

NOTA DELL'AUTORE

L'Epitalamio (dal greco ἐπιθαλάμιον - ἐπί, presso, e ϑάλαμος talamo -, conservato nel latino epithalamion) è un canto di invocazione a Imene, divinità greca protettrice del matrimonio. Le strofe venivano ripetute dal corteo che accompagnava gli sposi presso la camera nuziale.

In epoca romana, tuttavia, l'Epitalamio perse la sua funzione concreta e sociale, e divenne solo un termine per identificare una specifica forma poetica e il relativo argomento letterario (composizioni per celebrare le nozze di qualcuno).

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