04. CLINAMEN
"Signori, questo è il piano".
Galanár era in piedi e torreggiava sui suoi uomini, seduti con ordine attorno al grande tavolo.
Aidan non poté fare a meno di elaborare, nella sua testa, una lunga sequenza di luttuose somiglianze. Erano nella stessa sala in cui avevano discusso i piani per la battaglia di Hakala. Medesima la disposizione, medesimi gli umori. Bellator era fremente e pronto all'azione, Kolridge perplesso e preoccupato, Mellodîn silenzioso e impassibile. Era evidente che il comandante non aveva perso l'abitudine di tenere per sé e per il solo Galanár le proprie obiezioni.
E poi c'era lui, Aidanhîn, che era identico a se stesso e, allo stesso tempo, non lo era più.
A completare quell'orribile illusione mancava Aegis che, se aveva già messo in atto la sua promessa, doveva quasi essere giunto a Valkano.
E Amalion.
Al suo posto, quella mattina, sedeva Fanelia.
Vestiva, come tutti avevano avuto modo di osservare in quei giorni, con abiti maschili: camicia, pourpoint e calzoni di cuoio. Era indubbio che tale scelta fosse dettata dalla necessità di muoversi e cavalcare senza impaccio, e non dal desiderio di scandalizzarli, ma all'inizio era stato impossibile per loro non guardarle le gambe. Tuttavia, poiché Galanár sembrava ignorare la questione e aveva iniziato a trattarla come un qualsiasi altro ufficiale, i suoi uomini lo avevano imitato.
"Per più di un anno ho inviato con regolarità degli esploratori a Est, oltre il regno di Gonthalion", continuò il re. "Molti viaggiatori raccontano di nuove terre e ricche città, e io ho deciso di esplorarle".
"Le storie dei viaggiatori sono spesso poco più che leggende, maestà", intervenne Kolridge.
"Motivo in più per andarlo a verificare di persona, maestro. Abbiamo già abbozzato delle mappe con la posizione delle città principali. Ciò lascia supporre che esistano delle vie lungo le quali ci potremo spostare, una volta sul posto. La sola questione da dirimere, al momento, è come arrivare alle Terre Remote".
Bellator tese una mano, afferrò l'angolo di una cartina e la fece scivolare vicino a sé.
"Passare da Hakala sembrerebbe il percorso più semplice", osservò, pronunciando quel nome con un fremito impercettibile. "Ma cosa ne penserà il re di Gonthalion?"
Galanár storse la bocca.
"Sono certo che mi concederebbe di attraversare il suo regno, se firmassimo un accordo, ma gli resterei comunque debitore di un favore e vorrei farne a meno".
"E allora come?", domandò il capitano, con gli occhi ancora fissi sulla mappa.
Il re rivolse uno sguardo eloquente al fratello.
"Hai avuto modo di riflettere sulla mia richiesta?"
Aidan lo ricambiò con la stessa determinazione. Conosceva Galanár abbastanza bene da cogliere il sottile ricatto morale contenuto in quella domanda, che gli era stata rivolta in un consesso in cui per lui sarebbe stato impossibile far valere le proprie ragioni.
Ragioni che appartenevano solo al cuore. Ragioni che non poteva spiegare.
"Ti troverò un passaggio in Helegdir, attraverso uno dei valichi di confine", rispose allora. "Ma non potrai portare un esercito con te. È impensabile che tu riesca ad attraversare Lossmir in assetto da guerra e con i carriaggi al seguito".
Prese una pausa e si accorse che tutti i presenti lo stavano fissando con apprensione. Mellodîn, più degli altri, sembrava volergli comunicare qualcosa di urgente. Qualcosa che non riuscì a decifrare e che gli lasciò addosso una strana ansia.
Riportò la propria attenzione su Galanár. Il fratello era tranquillo. Sembrava solo in attesa che lui cedesse e gli concedesse l'ennesima vittoria in quella prova di forza privata
"La montagna non te lo permetterà", concluse con voce fosca.
Il re fece per ribattere, ma una voce garbata intervenne a sciogliere con fermezza il nodo di opposta tensione che si era creato tra loro.
"Non occorre portare l'intero esercito e i carriaggi oltre le montagne".
Gli uomini si voltarono tutti a guardare Fanelia, mentre Galanár si limitò a lanciarle un'occhiata di traverso.
"Davvero? E come dovrei spostarmi, allora?"
Lei lasciò andare sul tavolo la mappa che aveva stretto tra le dita mentre i due fratelli discutevano e gli piantò addosso i suoi occhi nocciola.
"Per mare".
Quelle parole rimasero sospese nell'aria come se la principessa avesse parlato in qualche strana lingua sconosciuta ai presenti. Galanár, però, si era girato verso di lei. Aveva dimenticato Aidan e la stava scrutando con vivo interesse.
"Per mare", mormorò, come se avesse sentito quel termine per la prima volta, o per la prima volta l'avesse davvero preso in considerazione. "Con quali navi?"
"Aermegil ha le navi, maestà. Se pure non conosciamo le Terre Remote, è plausibile che molte città siano state costruite sul mare. Potremmo procedere lungo la costa e imbatterci nei loro porti. Nel peggiore dei casi, trovare un punto d'approdo, sbarcare esercito e vettovaglie, e muovere verso l'interno".
Per dare forza al suo discorso, gli mostrò sulla mappa la rotta che aveva in mente. Galanár seguì ammaliato ogni movimento. Come sempre gli accadeva, stava già dando forma a quell'idea nella sua mente.
"Che ne pensate, maestà?"
Lui sorrise.
"Cosa ne penso? Penso che da questo momento siete il comandante in capo della mia flotta".
Se qualcuno dei presenti era rimasto sbigottito da quell'annuncio, non lo diede a vedere. Avevano fatto il callo alle improvvise e bizzarre prese di posizione di Galanár.
"Bellator, anche Medthalion potrebbe mettere a disposizione qualcuna delle sue navi?"
Il capitano annuì con gravità.
"Sì, si può fare, generale".
"Bene. Fanelia, cominciate a predisporre l'occorrente per spostare la flotta e armatela per la missione. Quando tutto sarà pronto, partirete da uno dei porti del nord a vostra discrezione. Bellator verrà con voi e comanderà le truppe".
A quel punto si girò a cercare il fratello con lo sguardo.
"Quanto a me, prenderò solo i miei cavalieri e raggiungerò il re di Helegdir a Lossmir, nel punto che lui avrà stabilito".
Aidan lo ripagò con un'occhiata cupa.
"Dimentichi qualcosa", obiettò. "Chi ti guiderà al di là delle montagne?"
Galanár nicchiò a rispondere, mentre un'espressione beffarda gli si dipingeva sul volto.
"Perché, tu non verrai con noi?"
Aidan sgranò gli occhi e si impose di restare calmo. Come sempre, suo fratello progettava tutto postulando la totale assenza di limiti alle sue richieste. Il volere e i sentimenti degli altri continuavano a restare fuori dalla sua sfera di interesse. Lui, però, era stato chiaro su quel punto: il suo servizio si era concluso due anni prima.
"No. Non c'è nulla che mi interessi oltre le montagne. Non ho alcun motivo per seguirti in questa follia".
"Aidanhîn", sottolineò il re con tono intransigente, "non dimenticare chi sei".
"Non lo dimentico".
Sostenne ancora per qualche istante lo sguardo inflessibile che il fratello maggiore cercava di nascondere sotto una maschera di finta cortesia, poi guardò altrove, verso un angolo remoto della stanza.
"Partirò oggi stesso per Valkano. Aegis si trova lì al momento. Lo aggiornerò di persona sulle tue nuove disposizioni".
Galanár sorrise ironico.
"Ottimo. Magari una benedizione elfica ti convincerà a schiodarti dal tuo trono di ghiaccio".
Aidan non reagì a quella provocazione e si chiuse in un silenzio che Galanár accolse con noncuranza.
"Quanto tempo vi occorre per far arrivare le navi a Foroddir?", chiese alla principessa.
Lei sembrò valutare la situazione e le distanze sulla carta.
"Non è prudente spostare le navi così a nord durante l'inverno, ma posso garantirvi che si metteranno in viaggio in primavera".
"Fatelo, Fanelia. E rendeteci tutti pescatori di perle".
Adwen poggiò la candela sul mobile e sollevò il viso fino a incontrare il suo sguardo riflesso nello specchio opaco. Con quella poca luce a farle da lume, i suoi lineamenti apparivano ancora più sciupati. Sospirò e si accinse a raccogliere i capelli in una treccia morbida. Non riusciva mai a prendere sonno quando Aidan non era al suo fianco. Forse avrebbe potuto farsi preparare un infuso di melissa per affrontare quella notte.
La fiamma, alla sua destra, si piegò obliqua, si assottigliò, poi riprese vigore. Adwen si immobilizzò. Le sue dita rimasero intrecciate tra le ciocche e il respiro le si mozzò.
C'era qualcosa nella stanza.
"Sorella mia".
Sobbalzò all'udire quella voce. Era sempre la stessa, quella che serbava nella sua memoria.
"Silanna!"
Si girò a cercarla nell'oscurità alle sue spalle. Avvolta com'era in un mantello scuro, si intravedeva appena, mentre Adwen, con i capelli chiari e la veste da notte bianca, sembrava l'unica luce in quella stanza. Senza un'esitazione, le andò incontro e l'abbracciò con slancio.
Silanna fu colta di sorpresa, ma subito le ricambiò la stretta. Rimasero avvinte in quel contatto senza parlare. Sembrava trascorsa un'eternità dall'ultima volta che si erano viste e insieme solo una manciata di secondi. Era bizzarro pensare al modo che il cuore aveva di ignorare il tempo e le distanze, ridisegnandoli a proprio piacimento.
Infine Silanna prese il viso della sorella tra le mani e la allontanò per guardarla. Gli occhi di Adwen erano lucidi. Lei vi passò sopra una manica per scacciare l'ombra del pianto, poi la sua espressione passò di colpo dalla felicità alla preoccupazione.
"Come hai fatto ad arrivare fin qui? Per la Dea, se Aidan dovesse tornare e ti trovasse, ti ucciderà".
L'altra fece una smorfia, come se quel pericolo non la toccasse.
"Aidan è a un giorno e mezzo di viaggio da Valkano. Non corro nessun pericolo".
Adwen la fissò stupita.
"Come fai a saperlo con tanta certezza?", azzardò timorosa.
"Perché posso vederlo. Sono in grado di comandare Vilya in molti più modi, adesso".
Di fronte al sorriso sicuro che le aveva rivolto, Adwen si sentì confortata. Non le chiese come fosse stata in grado di perfezionare il suo potere. Non le chiese cosa avesse fatto e dove fosse stata per tutto quel tempo. Era solo felice che lei fosse lì, che l'avesse pensata, che avesse deciso di raggiungerla. Non voleva rischiare di indispettirla con le sue domande. Si sarebbe fatta bastare la sua gioia.
Le prese una mano, la trascinò fino al talamo e la obbligò a sedersi di fronte a lei. Non era mai stata tanto contenta di rivederla come in quella notte. Gli eventi che avevano preceduto Hakala e l'esito di quella battaglia avevano di molto mutato il suo giudizio e i suoi sentimenti nei confronti della sorella. Ancor più quando aveva compreso che alla sua più grande felicità era corrisposto il più profondo strazio per l'altra.
Silanna, però, non poteva immaginare nulla di ciò che era passato nel suo cuore. Guardò con sospetto a quell'entusiasmo che non riusciva a spiegarsi.
"Sei davvero così contenta di vedermi?"
Adwen annuì con un sorriso sincero.
"Però sei rimasta a Formenos, quando gli Elfi lasciarono la corte", continuò, pensosa. "Hai scelto di restare accanto a Galanár".
"Ho scelto di restare vicina al mio cuore, così come tu hai scelto di seguire il tuo".
Sì, era una spiegazione più che comprensibile, alla luce dei successivi avvenimenti. Silanna smise di dubitare su quel punto.
"Quando non ti ho vista a Laurëgil", riprese, "ho pensato solo che tu mi odiassi. Che mi avresti odiata per sempre".
Adwen le prese la mano e gliela strinse.
"Non potrei mai odiarti. Anche se le nostre vite si sono sempre intrecciate in un modo inconsueto, tu e Aidan siete tutta la famiglia".
Silanna annuì, poi le sollevò il mento e glielo rivolse verso la fioca luce della candela. Le studiò le iridi in silenzio, come se cercasse qualcosa oltre il pallido color pervinca.
"Allora dimmi che accade. E perché stai morendo. Non riesco a immaginare un motivo tanto valido per rinunciare alla luce di Laurëgil".
Adwen ebbe uno scarto e si sottrasse a quella indagine. Sapeva che non poteva mentire a Silanna. Era un elfo. Era un Daimonmaster. Era una donna anche lei. Preferì tacere.
"Quando ho saputo delle tue nozze con Aidan", continuò la sorella con voce affettuosa, "il mio cuore si è riempito di gioia. I viaggiatori mi parlavano con entusiasmo dei nuovi sovrani di Helegdir, giovani, bellissimi e innamorati. Che cosa è accaduto? Aidan non ti ama più? Ti rende infelice?"
Il viso di Adwen si contrasse in un'espressione triste e stupita insieme. Di fronte a quella valutazione tanto errata si affrettò a scuotere il capo.
"Aidan? No! E come potrebbe? È lui che mi tiene in vita. Lui e il mio paziente Arcano della Terra".
"Allora cos'è che ti ammala così?"
La ragazza chinò il capo e si lasciò sfuggire un sospiro. Una lacrima le tremò sulla coda dell'occhio.
"Per quanto io lo ami e lui ami me, questo nostro amore ci dovrà bastare per tutto il tempo che vivremo insieme. Non posso dargli un figlio. Già due volte, in questi anni, ho creduto di essere stata fortunata, ma la gioia non è mai durata che qualche settimana. I nostri bambini sono morti dentro di me e il pensiero che questo accadrà ancora e ancora mi uccide".
Silanna socchiuse le palpebre. La stretta della sorella sulla sua mano si era fatta febbrile. Poteva sentire tutto il suo dolore e la sua stanchezza. Si obbligò a recuperare la sua abituale compostezza.
"Sapevate già che sarebbe andata così", considerò con calma. "Ma Aidan ti ha scelta perché ti amava, a dispetto di qualsiasi ostacolo. Se è il ragazzo che conoscevo, se è ancora l'altra metà di Edhel, rinuncerà al regno, ma non rinuncerà a te".
"Questo lo so. Il mio dolore maggiore è un altro. Un'immagine dalla quale non riesco a liberarmi e che non posso condividere nemmeno con lui".
Tacque e abbassò le ciglia. La sua voce si fece ancora più sottile. Solo il silenzio sospeso della stanza permetteva a Silanna di udirla.
"Quando re Maldor è morto, io ero con lei, con la regina Laurëloth. L'ho sorretta tra le mie braccia, ho toccato il suo dolore e quel dolore mi ha bruciato l'anima. Da quel giorno non riesco più a pensare ad altro. Non voglio attraversare i secoli senza Aidan e senza qualcuno che mi leghi al ricordo del suo amore".
Quell'abisso di disperazione riaprì in Silanna una vecchia ferita. Rivide nella mente una scena sepolta del suo passato, di quando era stata lei ad accarezzare il pensiero della morte a causa di un amore.
"Che immensa pazzia, Silanna!"
L'accento accorato di Mellodîn le risuonava nelle orecchie, come se lo avesse avuto ancora accanto.
Già, che immensa pazzia!
Non lo aveva compreso che dopo, alla fine di ogni cosa.
Il suo tono si fece di colpo severo, venato di un biasimo che non riuscì a trattenere.
"Così ti stai spegnendo per non dover vivere più di quanto vivrà lui? Vuoi che sia lui a doverti piangere?"
Quella replica tanto dura e inaspettata fece sobbalzare Adwen. L'intima vicinanza che si era creata tra loro svanì e lei si sentì di nuovo piccola, giudica e rimproverata.
"Come puoi capirmi, tu?", sbottò amara, "Hai scelto fin dall'inizio una vita diversa, senza marito né figli..."
"Ah, già!", la interruppe Silanna con freddezza. "Come posso?"
A dispetto della sua voce, il suo sguardo era carico di lacrime trattenute e di parole celate al mondo. Adwen comprese il suo errore involontario e le rivolse uno sguardo pentito, ma l'altra scosse il capo e sorrise, come per dirle che andava tutto bene.
"Io posso aiutarti", le disse. "Parlerò con Aidan, se tu sei d'accordo".
Adwen parve considerare la proposta per qualche istante, poi scosse la testa.
"Aidan ti farà arrestare".
"No, non lo farà", ribatté Silanna sicura. "Stanno accadendo alcune cose che potrebbero metterlo in pericolo ed è importante che lui lo sappia. Se ne comprenderà l'urgenza, mi ascolterà. E io potrò parlargli anche di te. Fino ad allora, però, mantieni il nostro segreto e non fare nulla di sciocco".
Adwen annuì remissiva ma, appena Silanna fece per alzarsi, la trattenne per un braccio.
"Perché fai tutto questo per me?"
La sorella esitò. Arretrò di un passo e si sistemò il mantello prima di rispondere.
"Perché adesso ho capito cosa significa davvero amare una persona".
Si avviò verso l'uscio, ma si fermò e si girò a guardare la sorella ancora una volta.
"Un tempo confondevo l'amore con l'ambizione, con il senso del possesso, con la gelosia. E molti di questi sentimenti mi hanno impedito di volerti bene come meritavi".
Adwen la osservò stupita, senza tentare di nascondere il proprio turbamento.
"Sei molto cambiata", commentò piano.
Silanna sorrise e si tirò il cappuccio a nascondere il viso.
"Sì, lo sono. Ho scoperto molte cose in questi due anni. Cose meravigliose. Un giorno, forse, potrò parlartene".
NOTA DELL'AUTORE
Lucrezio descrive il concetto di clinamen (con il quale traduce il termine parénklisis utilizzato da Epicuro) nel suo De Rerum Natura.
Il clinamen è uno spostamento spontaneo e casuale che fa deviare gli atomi dalla loro caduta verticale (che li porterebbe quindi a cadere all'infinito nel vuoto). Tale deviazione provoca tra gli atomi degli urti che portano alla formazione dei corpi. Il clinamen introduce, all'interno della necessità, un grado di libertà che si concilia con le variabili della vita.
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