03. HIC MANEBIMUS OPTIME

Lunghi capelli castani e occhi da cervo.

Vestiva un'armatura completa, maschile, tirata a lucido. L'elmo era stretto dal braccio destro e aderiva al suo fianco. Pure con il ginocchio piegato, al cospetto del re, appariva audace e arrogante.

Galanár si divertì a prendere tempo e lasciarla in quella posizione di sottomissione. Rimandò l'invito ad alzarsi in piedi così a lungo che Aidan, al suo fianco, cominciò ad agitarsi per l'imbarazzo.

L'aveva ricevuta nella sala delle udienze, seduto sul trono, con tutte le insegne del potere sul capo. Chiunque fosse quella presuntuosa ragazzina e qualsiasi fossero le sue intenzioni, doveva imparare che non ci si presentava al re senza una richiesta e con un esercito al seguito.

Quando Mellodîn gli fece un discreto cenno con il capo, come per dire che era stato abbastanza chiaro, Galanár sorrise, sollevò la mano e le fece cenno di sollevarsi.

La ragazza obbedì e lui la esaminò da capo a piedi, senza nessuna pretesa di apparire discreto. Poteva avere qualche anno in più di Aidan, anche se l'armatura che la bardava la faceva apparire più adulta. Non era molto alta, ma ben proporzionata, e il suo portamento era fiero e deciso. Era evidente che, a dispetto dell'abbigliamento discutibile, era di nobili natali.

"Principessa Fanelia", esordì infine, "a cosa dobbiamo questa visita inattesa e... inconsueta?"

"Maestà, sono la figlia del vostro Arconte, il principe Berith di Aermegil".

"Questo già lo sappiamo", la interruppe Galanár con fare annoiato.

Che lo avesse appreso solo qualche minuto prima del suo ingresso dalla bocca di Aidan non aveva alcuna importanza. Aveva già stabilito che quella discussione non sarebbe stata in alcun modo piacevole e che lui non avrebbe fatto nulla per metterla a proprio agio.

"Diteci piuttosto qualcosa che non sappiamo".

Fanelia rimase in silenzio un istante e lo fissò come se avesse voluto leggere sul suo viso le risposte che lui si aspettava.

"Nei regni della Lega si è sparsa la voce che vostra maestà sta reclutando uomini per una nuova impresa. Mio fratello Amalion vi ha servito con lealtà per anni ed è stato al vostro fianco ad Hakala, dove è caduto combattendo per voi".

A quell'accenno, Galanár parve placarsi e si ricacciò in gola l'ennesima provocazione che gli era passata per la mente. Fanelia approfittò di quell'esitazione per proseguire senza essere interrotta.

"Aermegil è sempre stato un sostegno portante del vostro esercito e non vuole mancare a questa chiamata. Permettetemi di portarvi i nostri migliori uomini e concedetemi di prendere il posto che è stato del mio amato fratello".

Se prima l'aveva scrutata solo per tormentarla, Galanár la fissò a quel punto con vivo stupore. Non riusciva a credere alle proprie orecchie. Per resistere alla tentazione di riderle in faccia, si girò a cercare Mellodîn alla sua sinistra.

"Aermegil è davvero così a corto di capitani?", chiese con noncuranza, come se la ragazza non fosse più nella sala.

Fanelia batté il piede sulla pietra del pavimento con disappunto e il rumore lo obbligò a riportare lo sguardo su di lei.

"Ve ne sono parecchi", rispose piccata. "Alcuni anche di grande esperienza. E uno di loro sta di fronte a voi".

Ignorò quindi il sorriso di celia che si era disegnato sul volto del re e continuò con fare impertinente.

"Si dice che sire Galanár, sovrano delle Terre Riunite, sia un re ambizioso, audace e di larghe vedute. Devo dunque pensare che tutti si siano sbagliati nel descrivermelo con tanto entusiamo?"

Galanár riuscì a camuffare a stento un moto di stizza.

"Voi non dovete pensare niente", ribatté duro.

Si levò in piedi e fece qualche passo verso di lei. Aidan seguì quel movimento con sospetto e trattenne il fiato. Qualsiasi cosa passasse per la testa di suo fratello, né lui né Mellodîn avrebbero potuto porre rimedio alle sue azioni.

"È solo che siete una donna e non ci sono donne nel nostro esercito".

Lei non indietreggiò di un passo e lo sfidò con lo sguardo.

"Ma ci sono state", replicò senza timore.

"Non ci sono più donne nel nostro esercito. Così abbiamo deciso tempo fa e non verremo meno a quanto stabilito solo per farvi contenta. Apprezziamo l'impegno di Aermegil e siamo grati a vostro padre per il sostegno che ci ha fornito e per la fedeltà che continua a dimostrarci. Lasciateci i vostri uomini, vi ripagheremo con generosità per il vostro tributo".

"Sire, ho addestrato di persona quegli uomini. È giusto che siano guidati dal loro capitano".

A quelle parole, Mellodîn chiuse gli occhi e scosse il capo. Al contrario di Galanár, aveva provato istintiva simpatia per quella ragazza. Lei, però, si stava infilando in un ginepraio con quelle risposte. Il re non tollerava essere sfidato e ancor meno essere contraddetto. Il silenzio di ghiaccio che seguì l'affermazione di Fanelia ne era la prova.

Anche lei doveva averlo intuito e, in quel breve istante di sospensione che si era creato tra loro, doveva aver capito che era necessario mutare registro, se sperava di ottenere qualcosa.

"Vi prego", sussurrò. "Ho impiegato una vita per raggiungere il posto che occupo. Mi è costato il doppio del tempo e della fatica richiesti a qualsiasi uomo, e non occorre che vi spieghi perché. Ho intrapreso questo viaggio per mettere la mia spada al vostro servizio. So combattere, so leggere le mappe, usare il sestante e orientarmi con le stelle. Potrei esservi utile in battaglia e in esplorazione, se solo me ne darete l'occasione".

Galanár, ancora una volta, non rispose. Si limitò a fissarla in silenzio, immobile e inespressivo. E lei, a quel punto, fece ciò che nessuno dei tre uomini presenti si sarebbe mai aspettato: piegò il ginocchio davanti a lui e gli prese la mano.

"Vi prego", ripeté con più forza. "Se avete avuto a cuore Amalion anche per un solo istante, non rifiutate questa richiesta, ché ve l'avrebbe portata lui stesso e l'avrebbe sostenuta fino alla fine, se solo fosse stato qui".

Aidan, di fronte a quelle parole, sentì un nodo che gli stringeva la gola. Si era sforzato di non intervenire in una discussione che non lo riguardava. Il ricordo di Amalion, però, era troppo vivo e doloroso. Non riusciva più a tenersi in disparte.

"Questo è vero, maestà", esclamò.

Galanár non si voltò a guardarlo, i suoi occhi erano ancora fissi su Fanelia, ma fece un impercettibile segno con il capo per dirgli che lo stava ascoltando.

"Do la mia parola che la principessa dice il vero, perché l'ho udito dalla bocca stessa di Amalion".

Lei teneva ancora il capo chino e la mano stretta alla sua. Galanár non ricordava di aver mai visto un simile atto di sottomissione e di preghiera rivolto alla sua persona. Quel pensiero gli trasmise una scossa.

"Noi abbiamo avuto molto a cuore Amalion, e non per un breve istante".

La voce, suo malgrado, gli tremò nel pronunciare quella frase, e lui dovette sforzarsi per mantenere il tono solenne e distaccato che aveva sfoggiato fino a quel momento.

"Siate nostra ospite in questo castello, Fanelia. E parleremo ancora".

La fama delle feste di Foroddir era del tutto meritata. La vivacità che si dipanava in quelle sale alla luce delle torce era diametralmente opposta all'austerità delle mura che la racchiudeva.

Galanár sembrava aver infuso in quell'attività tutto il suo estro orfano della battaglia.

Portate di cacciagione e allegre libagioni, danzatrici e mangiatori di fuoco, menestrelli e cantori. Il re aveva riprodotto ed enfatizzato gli antichi fasti della reggia di Arthalion. Aveva introdotto un costume che le corti elfiche non avevano mai conosciuto, soprattutto in quelle terre del nord.

Aidan osservava ogni dettaglio con meraviglia. Una parte del suo cuore, quella ancorata al passato, si sorprese di non vedere suo padre e sua madre avanzare al centro della sala per aprire le danze. L'altra, quella più matura, non poté fare a meno di paragonare quel caleidoscopio di colori e di movimento con la semplicità che lui e Adwen avevano scelto.

Si domandò, d'un tratto, se il loro non fosse stato un errore. Così presi da quell'idea passionale e giovanile di poter bastare a se stessi, avevano forse sottovalutato il pericolo che l'isolamento avrebbe potuto rappresentare?

Quando non si conoscono le soluzioni ai propri problemi, la mente umana comincia a scandagliare ogni possibile causa, persino quelle contrarie alla più banale evidenza, alla ricerca di una risposta.

Ma quando si conoscono sia la causa che la soluzione, cosa si fa, allora?

"Chiedo venia, mio signore".

Una voce cortese ma decisa lo riportò indietro, nella confusione della sala piena di fumo e di risate. I suoi occhi misero a fuoco l'immagine della principessa Fanelia.

Era in piedi di fronte a lui. Indossava un bliaut di lana leggera dal corpetto decorato con le pregevoli perle di cui Aermegil andava tanto fiera. Le maniche eleganti, dal gomito, si allargavano come i calici dell'edera terrestre e piccole perle le illuminavano anche i capelli, raccolti in due grosse trecce. Sembrava di certo meno offensiva della guerriera che aveva incontrato quella mattina. Non meno pericolosa, però.

Appena si riebbe dalla sorpresa, Aidan si alzò in piedi e le fece cenno di accomodarsi nello scranno vuoto accanto al suo.

"Sono io a dovermi scusare per la scarsa accoglienza, signora. In tutta sincerità credevo di essere l'unico amante della solitudine in questa sala".

Lei rise piano.

"Vi confiderò un segreto, maestà: non mi piace ballare".

Il giovane le sorrise di rimando con simpatia, ma non gli sfuggì il titolo con cui si era rivolta a lui con tanta naturalezza.

"Sapete chi sono?"

"Non mi era difficile indovinare. Conoscevo vostro padre e ho avuto occasione di vedervi alle giostre, ad Arthalion".

"Ah, le giostre..."

Un'ombra di sofferenza minacciò l'azzurro dei suoi occhi. Aidan nascose lo sguardo perché lei non lo scorgesse. Fanelia non diede cenno di averlo notato, oppure finse con gentilezza di non averlo fatto, e si sistemò al suo fianco.

"Datemi una scusa per restare qui per un po', prima che qualche altro cavaliere reclami la sua danza, se questa richiesta non vi pare troppo insolita".

Quella preghiera gli strappò, suo malgrado, un po' di buonumore.

"Insolita per nulla. Ragionevole, piuttosto, dal momento che si tratta di voi".

Lei, di colpo, si fece seria.

"Che intendete?"

Aidan la rassicurò con il suo sguardo limpido.

"Non vi ho mai vista prima, eppure mi sembra di conoscervi già. Amalion non faceva altro che parlarmi di voi".

Fanelia soffocò un'esclamazione e chinò le ciglia. Aidan temette di aver detto qualcosa di sbagliato.

"Spero che la mia sincerità non vi abbia offesa", cercò di rimediare.

"No, non sono offesa, ma mi emoziona ancora pensare a mio fratello. Sapete? Ci amavamo molto. Ma voi mi capite, giusto?"

"Giusto".

Le aveva sorriso con leggerezza, ma a Fanelia non sfuggì un velo di tristezza nell'espressione e nella risposta. Quella conversazione non era di certo adatta a una festa, della quale entrambi erano persino gli ospiti d'onore. Si sforzò di rilanciare con una risata argentina che spezzasse quell'incantesimo dei ricordi dolorosi.

"E ditemi, cosa vi ha raccontato di me, quel chiacchierone? Spero nulla di buffo o di disdicevole".

Aidan accolse il suo invito a spostarsi su un terreno più lieve e rispose a tono.

"Altroché! Mi ha messo in guardia su cosa mi sarebbe accaduto se per caso vi avessi chiesta in moglie. Ha scommesso che avremmo trascorso la prima notte di nozze discutendo su chi fosse più abile nel tiro con l'arco".

"Che crudele!"

"Crudele ma giusto, mi pare".

Lei si trattenne dal ribattere subito e lo fissò con circospezione.

"È per questo che oggi mi avete aiutata?", indagò. "In verità ero venuta a cercarvi proprio per ringraziarvi. Senza il vostro intervento, non avrei avuto nessuna possibilità con vostro fratello".

Aidan la considerò per un lungo momento. Le studiò il viso e provò a interrogare il suo sguardo. Lui sapeva di cosa stavano parlando, quando parlavano di guerra. E anche Amalion lo sapeva. Ma lei?

"Desiderate davvero unirvi al suo esercito?"

"Più di ogni altra cosa".

Era sincera, lo era davvero. E anche se lui aveva fatto una scelta ben precisa e aveva speso gli ultimi due anni a costruire la pace, Aidan sapeva cosa significava avere le armi nel sangue.

"Allora non avete bisogno del mio aiuto per convincerlo".

A quel punto fu lei a scrutarlo con interesse, mentre il re spostava lo sguardo verso il centro della sala, dove le fanciulle danzavano una carola.

"Voi non sembrate per nulla sorpreso dal fatto che una donna abbia inclinazione per le armi".

"E dovrei, non è così?"

Sorrise e continuò a seguire la danza.

"Allora sono bizzarro quanto voi. Ma no, non mi sorprendono le donne capaci di combattere. So per certo che alcune posseggono più coraggio di molti uomini, persino quando non ne sono coscienti. La mia stessa sposa, la regina Adwen, ad Hakala ha affrontato il combattimento molto più da vicino di quanto non abbia fatto io".

"Potrò contare sul vostro appoggio, dunque?"

"Per ciò che è in mio potere, sì. Ma non sono poi così tante, le cose in mio potere, credetemi. Non sono io il signore di questo castello".

"Ma ne conoscete i segreti", insinuò lei, con un sorriso.

Aidan scosse il capo e la guardò con la stessa espressione smaliziata. Fanelia era davvero un soldato e, suo malgrado, era molto più trasparente di quanto non volesse apparire. Fanelia era qualcosa che lui riusciva a comprendere e a prevedere.

Si alzò e le tese la mano.

"Allora dovrete danzare, mia signora. Vedete? È a questo che servono le feste: a scoprire segreti che siano utili per la guerra".

NOTA DELL'AUTORE

Il titolo viene dalla frase Signifer, statue signum; hic manebimus optime, ovvero Pianta l'insegna, alfiere; qui staremo benissimo (oppure questo è il posto giusto per noi, in una traduzione più libera).

La frase è riportata da Tito Livio in Ab Urbe condita libri (V, 55). Secondo questa versione, fu pronunciata da un centurione durante il sacco di Roma da parte dei celti (circa 390/386 a.C.) e servì da sprone ai membri del senato romano perché si decidessero a non abbandonare la città.

Hic manebimus optime, quindi, è diventata comune come espressione di risolutezza.

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