15- ATLANTIDE

Passai l'intera domenica a fare le lavatrici.
E fui sicura che se mai fossi finita all'inferno mi avrebbero costretto a ripetere quella giornata all'infinito.

Guardai esausta gli abiti appesi come cadaveri sullo stendino finendo di bere la mia diet coke.
La mia vita diventava sempre più eccitante giorno dopo giorno, era evidente.

Non avevo ancora deciso cosa portarmi a New York così pensai bene di dare una lavata all'intero guardaroba.

Quando verso sera finii di preparare i bagagli scoprii che erano sufficienti un paio di pantaloni e qualche maglione.
Ma tu pensa.

Mi sentivo eccitata e spaventata allo stesso tempo. Non ero sicura di quale fosse esattamente la mia posizione nei prossimi giorni, né quali persone avrei incontrato ma di una cosa ero certa: per la prima volta avrei volato in prima classe.

Per la prima volta avrei volato, punto.

Era imbarazzante, ma ero ancora vergine quando si parlava di aerei ed ero elettrizzata.

Mi infilai sotto la doccia pettinando con attenzione i capelli sotto al getto caldo, avrei dovuto dare il meglio di me nei prossimi giorni e seppur l'abito non facesse il monaco aveva comunque la sua importanza.

Mi guardai attraverso lo specchio, l'agitazione dei giorni precedenti era chiara sul mio volto.

La mattina seguente avrei potuto anche evitare di vestirmi, l'ansia mi avvolgeva come un mantello tanto che mi ritrovai seduta fuori dagli scalini di casa un'ora prima del previsto.

Tenevo il piccolo trolley tra le gambe fissando l'erba che si era fatta un po' troppo alta nel mio giardino.
Non ero nemmeno riuscita a fare colazione per quanto avessi lo stomaco chiuso, e questo era un segnale grave per me.

Lanciai un'occhiata alla villetta di fronte, nonostante le serrande fossero tirate su ero sicura che Liam stesse ancora dormendo. Non era proprio un ragazzo mattiniero e lo avevo visto rincasare tardi la sera prima.

Avevo deciso di non farci caso e fingere che la casa di fronte fosse di nuovo vuota.
Era stupido sì, ma era l'unica cosa che potessi fare per non pensare a lui e a come erano andate le cose tra noi.

Sospirai lanciando giù dagli scalini un sassolino con la punta delle mie sneakers. Mi ero praticamente vestita come un'alunna in gita scolastica, ma era un po' così che mi sentivo.

Una mercedes nera si fermò davanti al mio cancello. Lucente e perfetta.
Improvvisamente mi sentii meno in gita.

Un uomo ben vestito uscì venendomi in contro per aiutarmi con la valigia, la caricò nel bagagliaio dopo avermi accompagnato a sedermi sui sedili posteriori di pelle beige.

Ero sorpresa di non trovare Caleb.
L'autista avviò il motore, gli occhiali da sole scuri lo rendevano simile a un agente della CIA. Mi sporsi appoggiando un gomito al sedile davanti.

-Ciao Tom, Caleb non viene con noi?- sorrisi quando lo vidi guardarmi dallo specchietto retrovisore.
-No, il signor Gregory è arrivato ieri a New York- ah.
Una nuova consapevolezza si impadronì di me.
Avrei compiuto il mio primo ed emozionante viaggio in prima classe... da sola con Turner.

Mi buttai sul sedile sentendo lo stomaco contorcersi.
Quasi fui tentata di infilargli della droga in valigia per sabotarlo. Sbuffai sconfitta, troppo complicato, avrei dovuto pensarci prima.

Mezz'ora più tardi io e Tom ci trovavamo all'interno dell'enorme aeroporto internazionale di Seattle-Tacoma ed era davvero... caotico.

Davvero, era un casino.
Mi guardavo attorno osservando quelle persone che, sgambettanti ,avevano chiaro in mente dove andare.
Guardai in cagnesco un bambino con addosso un cappellino giallo che indicò alla mamma il proprio gate.

Bambino prodigio.

Tom al mio fianco appariva imperturbabile dietro a quegli occhiali scuri, forse aveva un qualche problema di congiuntivite. Si guardava intorno rigido attendendo silenzioso.

Cercai di imitarlo ma l'ansia mi stava divorando mentre rischiavo di essere investita da una famiglia di messicani.

Presi un lungo respiro guardando gli enormi pannelli elettronici appesi alle pareti neanche fossero scritti in aramaico.

Sentii Tom schiarirsi la gola. Lo guardai stupita, mi rivolse un sorrisetto microscopico ma che riuscii a farmi tranquilizzare.
-Signorina il check-in è tra un quarto d'ora- lo guardai in panico.
-vuole che l'accompagno?- sbattei le ciglia lanciando una lunga occhiata intorno a me.

Voleva intendere che per tutto quel tempo eravamo rimasti immobili perché aspettava che me ne andassi?

Arrossii sollevando il mento cercando di apparire sicura di me.
-Sì Tom la prego- dissi sgonfiandomi come un palloncino. Annuì regalandomi un altro raro sorriso dei suoi.

Alla fine non fu così difficile, e ci impiegai davvero poco tempo. Tutto merito del mio biglietto in prima classe, superai la lunga fila di persone in attesa sentendo il cuore battermi veloce.

Mi voltai lanciando un'occhiata a Tom ancora fermo a guardarmi da dietro le transenne. Lo salutai con la mano commossa, sembrava un padre che vedeva la figlia partire per il college.

Sentii il cuore gonfiarsi quando timidamente alzò una mano, oh Tom sapevo che in fondo eri un tenerone.
Con un sospiro mi imbarcai.

Sorrisi alla bella hostess che mi accompagnò al mio posto.

Mi accomodai eccitata, fissai il piccolo oblò al mio fianco e sorrisi estasiata alla sensazione paradisiaca data dalla poltrona chiara, riservata a me. La ricchezza poteva non fare la felicità ma la comodità di sicuro sì.

-Smith- il mio entusiasmo si precipitò fuori dall'aereo al suono di quella voce. Seguii con lo sguardo il signor Turner, che mimetizzato sotto a un cappello scuro, si era sporto da dietro al sedile davanti il mio.

A contatto con quei suoi occhietti scuri mi sembrò di essere tornata in ufficio a subire la sua tirannia.
-Salve signor Turner- mi fissò ancora per un momento per poi voltarsi.

Espirai disperata puntando lo sguardo fuori da finestrino.
Le hostess mostrarono le norme di sicurezza e rimasi stupita da quel teatrino di gesti.

Mentre l'aereo percorreva la pista di decollo il mio entusiasmo sparì lasciandomi nel panico.
Mi aggrappai si braccioli della poltrona maledicendo me stessa per non aver mai imparato a pregare.

Avrei accettato tutto, ma non di morire quel giorno. Non in quel momento dove c'era un altissima percentuale di probabilità di vedere gli occhietti perfidi del signor Turner, come ultima cosa.

Poi le ruote dell'aereo si staccarono dal suolo ribaltandomi automaticamente lo stomaco.
Quando l'aereo prese quota assestandosi mi guardai intorno, vidi le persone intorno a me liberarsi dalle cinture e le hostess passare a lasciare i menù ai passeggeri.

Lanciai un'occhiata alle grosse nuvole che stavamo accarezzando e mi appiccicai al vetro per poter guardare meglio. Era meraviglioso.

Sorrisi come una stupida appannando buona parte dell'oblò.

-Ti piace volare?- mi voltai verso Turner che mi stava fissando serio. Deglutii.
-Devo dire di sì- mi lanciò una lunga occhiata di sufficienza neanche stesse ponderando l'idea di schiacciare uno scarafaggio e ritornò a guardare davanti a sé.

-Gradisce qualcosa signorina?- ancora turbata risposi allo sguardo vivace della hostess.
-Posso avere un drink?- chiesi con tono disperato. La donna alzò il sopracciglio curato sorridendomi comprensiva.

Nelle tre ore successive di volo avevo praticamente svaligiato la loro riserva di alcolici e riuscii anche a dormire come un sasso per l'ultima mezz'ora di viaggio.

Quando mi svegliarono per prepararmi al l'atterraggio sentivo la testa girare, mi allacciai le cinture osservando l'aereo perdere quota e i minuscoli palazzi sotto di noi farsi più grandi. Enormi a dire il vero.

Quando mi trovai nell'imponente aeroporto di New York mi ritrovai a seguire Turner, come una bambina avrebbe seguito la maestra d'asilo, guardandomi intorno e inciampando nei miei peidi almeno una decina di volte.

Scoppiai a ridere quando vidi un uomo in completo scuro tenere un cartello con sopra il nome di Turner. Era serio?
Il mio capo mi lanciò un'occhiata sgarbata raggiungendo l'uomo per poi sparire senza preoccuparsi di me.

Aspetta e adesso?

Allarmata mi guardai intorno cercando di ritrovare quella lucidità che il quinto drink mi aveva rubato del tutto. Stupido Turner, mi avrebbe spinto all'alcolismo.

Cercai di fare mente locale, ma nessuno mi aveva informata su dove sarei dovuta andare così mi sedetti a un tavolino di uno Starbucks vicino all'uscita, osservando la grande mole di persone intorno a me.

Sorrisi a una bambina che si stava spalmando il gelato in faccia, rispose e quella distrazione costò cara al resto del cono che come un cadavere si sfracellò a terra.

Sgranai gli occhi distogliendo lo sguardo mentre la madre la sgridava.
Sentii il telefono vibrare nella tasca della valigia, frugai goffamente rispondendo stordita.

-Katie dove sei?- allontanai il telefono, come faceva Caleb ad avere il mio numero?
Doveva averlo preso dalla mia domanda di assunzione.

-Ehm sto bevendo un caffè- feci come un idiota, vidi con la coda dell'occhio la bambina che mi indicava alla madre quindi mi alzai pronta a darmela a gambe.

Sentii un rumore dalla parte opposta del telefono e poi la linea cadde. Perfetto.

Passeggiai guardando le vetrine dei negozi come una perfetta psicopatica, prima di sentire una presa decisa sulla spalla.

Balzai indietro abbandonando il trolley che si cappottò a terra. Un paio di occhi ambrati mi stavano fissando perplessi.
-Katie sono minuti che ti chiamo, ma ti senti bene?- mi chiese Caleb abbassandosi per recuperare la mia piccola valigetta. Guardai l'uomo in abito scuro fermo due passi dietro di lui, era quello con il cartello di Turner.

-Benissimo- barcollai un poco allungando la mano per riprendere il bagaglio. Il bel ragazzo davanti a me continuava a fissarmi, indossava un capotto beige e i capelli erano pettinati ordinatamente all'indietro. Allontanò la valigia da me intrappolandomi nel suo sguardo scrutatore.

-Hai bevuto?- alzai le sopracciglia pronta a mentire spudoratamente ma ero consapevole che il mezzo drink che mi ero rovesciata addosso si sentisse a chilometri di distanza.
-Un paio di drink- minimizzare non era mentire dopotutto.

Lo vidi nascondere un sorriso porgendo il trolley all'uomo che ci stava osservando.
Mi mancava Tom.

-Non sapevo avessi paura di volare, sembrava che non avessi fobie- lasciò che mi superasse mentre uscivamo dall'aeroporto/labirinto.
-Mi piace volare- teneva il mio passo e sperai che non si accorgesse della mia instabilità.

Quando inciampai in una piccola buca si affrettò ad afferrarmi il gomito facendomi arrossire.

-è stata colpa di Turner- mi aprì la portiera della mercedes ferma sul marciapiede.
-Caspita, ti ha ordinato di bere tutti quei cocktail davvero un bastardo- scherzò venendosi a sedere al mio fianco .

Lo guardai sorpresa per poi sospirare, mi voltai per poter osservare New York dal finestrino.
-Lo odio- sbottai nello stesso momento in cui mi promisi di smetterla con l'alcool.

Katie e Margarita bocciati.

-Cosa ha fatto?- fece cupo, lo guardai timida per poi sorridere imbarazzata .
-Niente di che, ma non gli piaccio e muoio di ansia ogni volta che c'è lui- ammisi imbronciandomi.

Affondai nel morbido sedile di pelle sentendo addosso lo sguardo di Caleb. Gli lanciai un'occhiata curiosa e lo vidi sorridere e scuotere la testa.

-Sono contento di vederti- sentii il cuore perdere un battito.
-Anche io- feci ormai con il volto bordeaux.
I nostri sguardi si allacciarono per un lungo momento, prima che la voce dell'uomo in nero rompesse la magia chiedendo dove dovesse fermarsi.

-Al Plaza Fred, Katie deve darsi una rinfrescata- rispose lanciandomi un sorrisetto.
Avrei voluto che quei sedili maestosi mi risucchiassero.

Il Plaza Hotel, il paradiso terrestre per chi ha almeno un conto a sei zeri in banca.
L'Atlantide per noi comuni mortali.

Tutto in quell'Hotel trasudava ricchezza e appena varcata l'enorme porta d'ingresso mi sentii improvvisamente piccola piccola.

Caleb invece sembrava a casa sua, mi accompagnò alla mia camera, grande quanto il mio appartamento e mi sentivo come un pesce fuor d'acqua.

-Turner è al piano di sotto puoi dormire sogni tranquilli- sorrisi osservando l'enorme letto.

Mi voltai verso di lui, era rimasto fermo sulla porta, non sapevo bene cosa dire e non credo fosse colpa dell'alcool.
Ogni volta che gli ero vicina mi sentivo estremamente piccola, ma allo stesso tempo la sua presenza riusciva a calmarmi, come se potesse infondere in me un po' della sua sicurezza.

-Grazie- fu l'unica cosa che mi sentii di dire, e non seppi esattamente per cosa lo stessi ringraziando. Avevo così tante ragioni per farlo, avrei divuto ringraziarlo per il lavoro che mi aveva offerto, per l'incredibile opportunità che mi stava dando, per essere sempre così gentile e disponibile nonostante spesso non ne fossi all'altezza.

Ma probabilmente lo stavo ringraziando per essere lì con me, anche se non aveva alcun senso il suo interesse per me.

I suoi occhi sembravano volermi leggere nel pensiero, abbassai lo sguardo sospirando. Lo vidi fare un passo avanti prima che Fred, il suo autista, arrivasse con il mio bagaglio. Caleb si bloccò per farlo passare, lo vidi infilarsi le dita tra i capelli anche lui non sembrava tranquillo.

-Ho prenotato alle otto e mezza signore-
-Grazie Fred vai pure- l'uomo fece un breve cenno del capo verso entrambi e uscì dalla stanza.

-Spero che tu non abbia preso impegni per cena- il sorriso che mi rivolse alleggerì l'atmosfera. Scossi la testa -Turner si unirà a noi?- alzò un sopracciglio guardando il soffitto soprappensiero.
-Penso che sarebbe più professionale invitarlo- sentii la delusione invadermi.
I suoi occhi brillarono nei miei.

-Non guardarmi così Kat, o crederò di aver fatto uno sbaglio a portarti qui- lo guardai terrorizzata, ma stava sorridendo.
-quegli occhi hanno uno strano potere su di me- lentamente stava riempiendo la distanza tra di noi.

Non stavo nemmeno più respirando.
-Non ho fatto niente- sussurrai senza fiato, quando fu a un paio di centimetri da me si fermò senza staccarmi gli occhi di dosso.

-È questa la cosa grave, non serve che tu faccia nulla per farmi sentire così- con un gesto lento mi spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio producendomi lunghi brividi in tutto il corpo.

Non poteva fare così, avrei rischiato davvero di morire di infarto.

Senza rendermi conto avevo chiuso gli occhi al suo tocco.
-Domani avremo molto lavoro da fare e saremo professionali, ma questa sera possiamo concedercela- aprii gli occhi guardandolo da sotto le ciglia.

La vista del suo bel volto così vicino mi mandò in tilt il cervello. Socchiusi le labbra come incantata.
-Niente Turner?- mormorai alzando il volto come se glielo stessi offrendo, il suo sguardo scese sulle mie labbra per poi risalire nei miei occhi.
-Al diavolo Turner- mormorò alzando un angolo delle labbra in un sorriso diabolico.

E in quegli occhi bellissimi vidi il riflesso dei miei, stavano brillando. Per la prima volta capii di quanto fossi seriamente nei guai.

Ciaooo ecco il nuovo capitolo (un po' di passaggio scusate) ma potremo gustarci la compagnia del mega boss e lo conosceremo un po' meglio. Fatemi sapere se vi è piaciuto e cosa ne pensate di Caleb e della brusca chiusura con Liam.. come credete che andrà questa esperienza lavorativa? Katie sarà all'altezza?
Come sempre grazieee ❤️🌸❤️

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