7.1
-Tutto bene Nicole?-
Mise in tasca il cellulare non appena la sorella salì in macchina, sedendosi al posto di guida.
-Sì, devo dire che l'ho trovato...-
Fece un attimo di pausa per assicurarsi di non dir nulla di sbagliato.
-L'hai trovato? Wow, addirittura? Pensavo non l'avessi visto!- la prese in giro sua sorella, ridendo di gusto.
-...bene, l'ho trovato bene, meglio di quanto pensassi-
Tirò un pugno sulla spalla della sorella.
-Io non direi, oggi tossiva molto e poi aveva la voce così roca...-
Quando l'aveva sentito lei, aveva parlato benissimo e senza colpi di tosse.
-Ed era anche poco lucido...-
A Nicole era sembrato molto più che lucido.
-Sono solo contenta di averlo rivisto, tutto qui-
Alzò le spalle, mentre sua sorella imboccava, finalmente, la via d'uscita dal parcheggio.
------
Quella notte si ritrovò in una stanza enorme, invece. Di primo acchito, non aveva nulla a che fare con le sue paure, né con quelle altrui, in generale.
Sentì delle mani coprirle gli occhi.
-Chi è?- chiese il proprietario di quelle mani, parlando in falsetto.
-Giulia?-
-Sei pessima in questo gioco- ridacchiò Alessio, sorridendo.
-Anche tu sei triste nel non vedere l'albero di ciliegie e la nostra panchina?- le domandò poi.
-Nostra? Che hai, l'hai comprata?-
Il bruno alzò le spalle.
-Il sogno è nostro. La panchina è nostra.-
-Piuttosto, che è questo posto?-
Sgranò i suoi occhi verdi e si guardò intorno.
Il posto era veramente gigantesco, minimo erano venti metri per trenta, e loro stavano in mezzo. Le pareti erano stranissime, fatte in listelli di metallo, come una grande saracinesca; solo, sembravano molto più resistenti. Il pavimento era scuro; solo se ti avvicinavi riuscivi a distinguere tutti i sassolini da cui era formato.
Lungo i muri laterali, scorrevano delle strisce gialle, come quelle che metteva la polizia nei film. Il soffitto non era liscio, infatti le pareti laterali deviavano in una curva e si chiudevano sopra, formando una cupola.
Un'enorme saracinesca, per l'appunto.
-Militari- saltò su Alessio.
-Cosa c'entrano i militari, ora?-
-È che mi sembra uno di quei centri d'addestramento militare, quelli dei film, hai presente?-
Nicole annuì.
In fondo, dietro di loro, solo a molti metri di distanza, si trovava una rampa di scale, scale a chiocciola coi gradini in metallo, forati, come una rete. Quel tipo di gradini dove, quando cadi, ti squarti tutto il ginocchio, ma le persone continuano a chiamarli "antiscivolo".
"Sono meno le possibilità che tu scivoli, ma, se lo fai, ti spacchi la faccia" sembravano recitare.
Forse era questa la paura che doveva affrontare in quest'incubo. Ma, subito dopo, Nicole scacciò l'idea con le mani.
Dei gradini? Che idea stupida!
-Ci sei?-
Si girò verso Alessio, il quale la guardava con aria interrogativa.
-Mi hai sentito?-
Doveva essersi completamente estraniata dal mondo reale. Non solo non aveva ascoltato, non si era nemmeno accorta che stesse parlando.
-No, scusa- ammise.
-Immaginavo-
-Stavo solo chiedendo cosa dovessimo fare. Cioè, è un incubo come l'altra volta? È una tua paura?-domandò, la ragazza scosse la testa.
-Ovviamente, di cosa dovresti aver paura qui dentro? Del vuoto?-
Scalciò un paio di sassolini, proprio mentre una voce metallica rimbombò nella stanza. Le parole erano incomprensibili, coperte da un fischio, come di un microfono rotto.
-O forse di questa voce- sussurrò, oramai pareva stesse parlando da solo. Si guardarono entrambi intorno, alla ricerca di qualcosa, forse un megafono, un altoparlante, che avesse potuto emettere quel sono fastidioso.
-Cos'era?- chiese la ragazza, fissando un angolo, sulla destra, che sembrava avere qualcosa di strano.
-Non ne ho idea-
Alzò le spalle.
-Alessio?- la voce metallica chiamò il ragazzo, che sobbalzò.
-Nicole?- chiese lui.
-Sì, avevo solo la voce un po' rauca, scusa-
Roteò gli occhi.
-Ovviamente, non sono stata io-
-Nicole- questa volta la voce chiamò lei.
-Non sono stato io-
Il ragazzo alzò le braccia.
-Non ci stavo nemmeno pensando!-
-La volete smettere di parlare? Ascoltate una buona volta.-
Quella voce cominciava a diventare sempre meno metallica e ad assomigliare a quella di una donna. Una donna abbastanza stizzita ed irritata.
-Ci hanno messo ore a far funzionare questo aggeggio e ora non mi ascoltate nemmeno?-
-Chi ci ha messo ore? Quale aggeggio?- domandò Alessio, guardando in alto.
-Ah, e chi è lei e perché ci parla non lo chiedi?- ribadì Nicole.
-Regina Cento novantotto, prego.-
-Ho ricevuto il compito di mettermi in contatto con voi. -
-Perché?-
-Non sprecate il vostro fiato a fare domande, tanto non risponderò. Ascoltate ed assimilate solamente.-
-Tanto è solo un sogno- aggiunse ridacchiando. I due ragazzi non compresero l'ironia di quella frase e rimasero ad occhi sgranati.
-Non riesco a capire da dove sta parlando- sussurrò il ragazzo.
-Innanzitutto, mi complimento con voi, avete superato entrambi le vostre paure. Certo, avete avuto bisogno l'uno dell'altra, ma dubito sarà un problema. Voi sarete una squadra.-
Milioni di domande vorticavano nella testa dei ragazzi, ma non osarono parlare. Nessuno avrebbe dato risposta ai loro interrogativi.
-Potreste ripetermi i vostri nomi, per favore?-
Nicole allungò una mano verso Alessio, d'istinto. Era scossa dall'accaduto. A palmo aperto, la posò sulla spalla del ragazzo.
La picca era nera, nerissima, un nero troppo intenso.
Ritirò il braccio a sé ed il nero sembrò sbiadirsi leggermente. Ripeté l'operazione un paio di volte.
Il tatuaggio si scuriva ogni volta che si avvicinava al ragazzo.
-Nicole Carrera.- si fece avanti, Alessio le sorrise.
-Alessio Stresa.-
-Bene, Nicole?-
La ragazza annuì.
-Da ora, per tutti qui sarai Trecento diciotto.-
Tutti chi?
-Alessio?-
Annuì, la voce poteva vederli.
-Trecento cinquantasei-
-Per cosa stanno questi numeri?- il ragazzo non poté trattenersi dal domandare.
-Almeno a questo posso rispondere. Tre. Il primo numero indica la generazione.-
-Uno e Cinque. Il secondo numero indica forza e prestanza fisica.-
-Otto e Sei. Il terzo numero indica il fattore K. Un insieme di varie caratteristiche. Forza di volontà, intelligenza, furbizia e... poteri in più, ecco.-
-E... Nicole. L'otto è il numero massimo mai registrato finora. Solo a tre persone è capitato.-
-E una di queste sei tu, vero? Sempre che tu sia una persona.- mormorò Alessio, mentre la bruna se ne stava in silenzio, le sopracciglia corrugate.
-Lo so che tutto quello che vi sto dicendo sembra non avere senso. Ma è tutto un puzzle. A tempo debito capirete, vero Nicole?- calcò le ultime parole.
-Le stesse parole di Christian... Tu cosa ne sai di lui?! Cosa?!-
-Nicole...- la fermò il moro, afferrandola per i fianchi ed abbracciandola da dietro. -Va tutto bene.-
-Oh tesoro.- ridacchiò Regina.
-A tempo debito. A tempo debito.-
-Ora, solo... correte.-
-Correre?-
-Dove? Come? Quado?-
-Perché?- domandò Nicole, guardandosi intorno, spaventata.
- Hai la capacità di fare tutte le domande, tranne la più ovvia- commentò la ragazza, mentre delle sirene cominciarono a suonare tutt'intorno a loro.
-Dovete raggiungere le scale-
Consigliò la voce, con tono abbastanza seccato. Almeno, Regina non li aveva abbandonati, li stava scrutando dall'immaginario gabbiotto dove si trovava. La ragazza era abbastanza irritata: aveva avuto un dialogo, sebbene di pochi minuti, con un altoparlante ed ora doveva immediatamente correre, scappare da qualcosa. Forse avrebbe potuto usare lo stesso "potere" di quella volta col puma.
Un gruppo di uomini entrò nella stanza, da una porta che non avevano notato, probabilmente perché si trovava sul fondo opposto alle scale. Essa era interamente in metallo, o ferro.
Saranno stati una cinquantina circa. Appena passarono tutti, uno ad uno, dalla porticina, cominciarono a correre all'impazzata. Solo allora Nicole notò le pistole che avevano in mano ed i colpi, che sentì risuonare, le fecero intuire che erano cariche.
-Corri!-
Alessio la afferrò per un braccio, scuotendola ed incominciando a correre. Quel gruppo di persone non sembrava essere di tiratori scelti, dato che metà dei proiettili sparati rimbalzava a terra. In più, l'equipaggiamento li appesantiva.
I due ragazzi arrivarono alle scale, salvi. Le salirono correndo e, solo quando notarono che erano pressoché infinite, si fermarono, le mani sulle ginocchia, piegati a prender fiato.
-Bene, siete vivi.- intervenne Regina e, dal tono, sembrava stesse sorridendo.
-È il minimo che ci si deve aspettare da voi-
-Avevano delle pistole!-
-Oh, cara, le pistole diventeranno la tua quotidianità.-
-Perché quelli ci sparavano?!- gridò Alessio, il respiro ancora un po' irregolare.
-Tranquilli, non sono nemici, o crudeli.-
-Ah, no?-
-Acida la ragazza- commentò, con una nota acuta nella voce.
-È solo per precauzione. Sapete, qui entra talmente tanta gente, non c'è tempo di distinguere chi è buono da chi è cattivo.-
-È più facile sparare a tutti.-
-Ma che diavolo di teoria è questa?!-
Il moro alzò le braccia al cielo.
-Non ha un briciolo di senso- mormorò Nicole.
-Sai, cara, a volte le cose non hanno bisogno di avere un senso.-
-Ma, in questo modo, uccidete tantissime persone... per un nonnulla.- concluse la bruna, guardando a terra.
-Ma perché?-
-Semplice-
-Quello è l'ingresso- rispose, come se fosse stato palese a tutti.
-Per dove?-
Nicole giurò che, se Regina fosse stata una persona reale, avrebbe roteato gli occhi, scocciata dalla curiosità dei ragazzi.
-Per la città dei Sudetti-
Entrambi annuirono, confusi, mentre nella loro mente elaboravano domande su domande, a cui nessuno avrebbe dato risposta.
-Sudetti? Che nome è? Non mi pare avessi nominato qualcuno prima...-
-La curiosità è uno dei requisiti che vanno a comporre il fattore K. È un bene che facciate tutte queste domande.-
-Comunque, ragazzi, voi due dovrete fidarvi di me, se volete sopravvivere. Da oggi, io sarò qualcosa come...- s'interruppe. -La vostra mentore, il vostro punto fermo.-
Ridacchiò di nuovo.
Il buio s'impadronì completamente della stanza, in modo lento. Partì dalle pareti e poi si estese tutt'intorno, prendendo, infine, anche le scale, coi ragazzi.
-Alessio?-
La ragazza allungò alla cieca una mano, tastando tutt'intorno, finché non si ancorò al braccio del ragazzo. Era ancora lì.
- Hai paura del buio?- domandò lui.
-Solitamente no, ma sento ancora le pistole spararmi contro.-
Alessio annuì nel buio, allungandosi, poi, verso la ragazza e, alla cieca, posandole un bacio all'angolo della bocca.
-Mi dovevi un bacio- ridacchiò poi.
Il buio durò una ventina di secondi, poi, di colpo, tornò la luce.
-Ah! Sole!- gridò il moro, facendo ridacchiare Nicole.
Ora erano seduti sulla loro panchina.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top