4.1
Nicole aprì la porta di camera sua, avvertendo ancora, in sottofondo, il rumore della televisione, accesa sulla partita di calcio, e l'acqua che batteva sui piatti in ceramica nel lavello.
Guardò il letto sfatto con aria interrogativa. Ormai, passava gran tempo in camera, effettivamente, posto in cui avevano luogo i suoi meravigliosi sogni.
Si sfilò i jeans stretti sui fianchi velocemente e s'infilò il pigiama. Accese, poi, la televisione appesa al muro davanti a lei e si mise sotto le coperte, lanciando le scarpe da ginnastica lontano dal letto.
Anche oggi aveva saltato gli allenamenti di danza.
Litigò un po' con lenzuolo e piumino: uno cadeva da una parte, e l'altro non le copriva i piedi. Finalmente scoprì il perché il letto andasse rifatto ogni mattina e rimpianse un po' la presenza della madre.
Schiacciò un po' i tasti colorati e gommosi del telecomando. Più che per trovare un programma carino, si stava divertendo nel comporre canali strani.
Dopo aver pigiato 887 ed aver trovato un canale di pubblicità di scarsissima qualità, che, al momento, stava vendendo scendiletto riscaldati, si decise a spegnere ed infilò pure il viso sotto il piumone.
Sbatté un paio di volte gli occhi ambrati, come quelli di suo padre, e si guardò intorno. Non riusciva a dormire, già, eppure il suo corpo era fisicamente stanco, ma, in un qualche modo, la sua mente rifiutava di spegnersi.
Scosse un paio di volte i piedi e, con la certezza che non si sarebbe presto addormentata, sprofondò in un sonno profondo. Anzi, in un sogno profondo.
Come non detto.
Quando riaprì gli occhi, faticosamente, si ritrovò nel suo bianco sogno. Questa volta, però, la circondava un silenzio assordante.
Non si era mai resa conto che quel posto aveva sempre avuto un sottofondo lieve, ma rassicurante, un misto tra fruscio di foglie, dolce profumo di ciliegie e voce calda e rassicurante.
Già, quella voce mancava, forse.
Si alzò, controvoglia, con l'intenzione di raggiungere la panchina e sedersi, le braccia incrociate, a guardare il nulla.
Un nulla che aveva un nonsoché di rassicurante.
Si accasciò sul ferro battuto ed iniziò a respirare l'aria fresca, che non odorava di nulla, solo di un fresco inebriante.
Nessun rumore, nessun odore.
Subito una sensazione di sicurezza la pervase: certo, il nulla era rassicurante, ma la compagnia ancor di più.
Si guardò intorno, nel tentativo di scorgere Alessio, aveva cercato di nasconderlo anche a se stessa, forse, ma la litigata l'aveva lasciata con l'amaro in bocca. E particolarmente turbata.
Però, stare lì sola le avrebbe fatto bene.
Certo, il nulla era rassicurante, ma lui ancor di più.
Si guardò di nuovo intorno. Forse Alessio era un po' in ritardo? Magari era andato a letto tardi, oppure si era semplicemente infuriato con lei?
Quel ragazzo poteva essere, forse, definito un suo amico, anche perché il legame che aveva instaurato con lui era più forte anche di quello che aveva col suo compagno di banco (la persona con cui aveva parlato di più in quell'anno; aveva gusti difficili, lei).
Strinse un poco gli occhi e cominciò a battere con i piedi per terra.
Quel ragazzo le aveva insegnato a sognare, nel vero senso del termine, sempre ammesso che quella frase un senso lo avesse.
Buongiorno, mio bel sogno, e anche queste parole le risuonavano nella testa, con una voce non più calda e roca, ma abbastanza alterata.
Forse quel sogno stava diventando un incubo, che cercava di minare la sua "forza" e la sua sicurezza, che la faceva sentire in colpa. Effettivamente, lei si era ritrovata lì dopo una litigata abbastanza pesante, con un sorriso sulle labbra e le gambe accavallate.
Alessio l'avrebbe pensata bipolare.
Eppure, era solo un sogno, come diamine si era ridotta? Un sogno la stava prendendo più della realtà.
Infilò una mano nella tasca del pigiama, che prima nemmeno aveva notato, in cerca di una distrazione. Avvertì qualcosa di freddo al tocco, di forma sferica.
Una biglia.
Iniziò a rigirarsela tra le mani: era fresca, liscia e piccola, lucida e di un azzurro vitreo.
La trovava molto carina, con le pagliuzze dorate che aveva inglobate, anche se non ne capiva il senso. Nonostante le biglie non avessero mai avuto granché senso, se non un modo per divertirsi sul lungomare.
S'accovacciò a terra. Voleva provare a tirarla, in memoria delle estati trascorse al mare in cui creavano una grande pista sulla sabbia, la riempivano di fosse e ponti, per poi sfidarsi.
Osservò meglio il pezzo di vetro: effettivamente, assomigliava molto alla biglia che utilizzava sempre lei. Anzi, era la biglia che usava sempre lei.
Raccolta a terra una sera mentre passeggiava sul bagnasciuga con mamma, papà e i fratelli, se l'era infilata nella tasca del vestitino. Era un po' opaca e rovinata dalla sabbia, ma era molto carina, ed, indubbiamente, le portava fortuna.
Nicole si chinò di fronte alla panchina, facendo aderire il busto a terra, chiuse un occhio e, sorridendo, visualizzò una traiettoria fra le gambe in ferro. Successivamente, poggiò la biglia a terra, schioccò le dita e la mandò lontano.
La seguì per un tratto con lo sguardo, notando una scia rosea lasciata dal suo passaggio. Poi, improvvisamente, le venne un'idea.
Si alzò e corse a recuperarla, cercò un punto adatto, ben visibile, ed iniziò a pensare.
Non era certo che sarebbe tornata lì, e non credeva avrebbe mai più rivisto Alessio, perciò avrebbe potuto lasciargli un messaggio, scritto, a terra.
Provò con le dita a tracciare dei cerchi, ma non lasciavano alcun segno. Provò, allora, a far rotolare la biglia, ma nulla, nessun risultato.
Si guardò intorno, in cerca di una soluzione. Si mise una mano in tasca.
Un rossetto.
Rosso, la confezione cilindrica, nera opaca, con rifiniture metallizzate dorate.
Sorrise: avrebbe dovuto scrivere a terra con un rossetto?
Tolse il tappo, rivelando un colore bordeaux, molto scuro. Il rossetto era perfetto, la marca ancora impressa. Si piegò a terra, scrivendo una A piuttosto grande e sorrise, quando vide il rossetto lasciare un segno netto e ben visibile.
Aggiunse una D più piccola ed andò a capo, per poi scrivere ALESSIO, con una calligrafia che reputava ben chiara e leggibile.
Si bloccò un attimo, fissando le lettere e pensando a come avrebbe potuto continuare, anzi, a come iniziare. Doveva far pace con lui, sempre ammesso che esistesse veramente. Decise, perciò di "fare la dolce".
Hey, mio bel sogno, iniziò timidamente, spaventata anch'essa dal potere che quelle parole avevano, scritte lì, rosso su bianco.
No, non ti sto rubando la battuta, la calligrafia si faceva via via più chiara e leggibile.
Tranquillo.
Bene, e, dopo questo inizio piuttosto titubante, avrebbero dovuto avere inizio le scuse vere e proprie.
Ehi, ti starai chiedendo perché io abbia scritto delle parole qui, su di un pavimento bianco, se lo stava chiedendo anche lei, ma era più facile dare spiegazioni agli altri che a se stessa, probabilmente.
Be', la storia del rossetto è molto simpatica, ma te la racconterò quando ci vedremo, sì, riusciva a temporeggiare pure in un messaggio scritto su di un pavimento.
Se ci vedremo, già,
-Già- ripeté, alquanto amareggiata.
Comunque, volevo solo chiederti scusa per "lo scorso sogno", stavo male, sai, è successa una cosa che mi ha turbato abbastanza. Nicole annuì, concordando con le sue stesse parole.
Spero di avere l'occasione di raccontarti tutto. Se non l'avrò be'... attese un attimo, pensando a cosa aggiungere.
Mettici una pietra sopra, disegnò poi uno smile sorridente, abbastanza stilizzato.
Comunque, ti volevo dire che ho apprezzato la tua compagnia, e quel suo apprezzato voleva intendere "grazie per non avermi fatta sentire sola in un infinito bianco".
E... ovviamente, come in ogni film che si rispetti, tutto finì sul più bello, come se la scena fosse stata bloccata. Il rossetto smise di scrivere e la mano di Nicole rimase bloccata a mezz'aria.
Sbatté le palpebre un paio di volte. Poi, con la testa bloccata, disse fievolmente:
-Giuro che finirò di scrivere-
La bruna scomparve in un secondo, in un battito di ciglia, se può così dire. Le parole uscirono lentamente dalla sua bocca e, piccole e leggiadre, si posarono a terra.
Giuro che finirò di scrivere.
Piccole, nere e svolazzanti, erano appoggiate di lato accanto alla E.
Nicole si svegliò di soprassalto, nulla a che vedere con la delicatezza con la quale era svanita.
-Nicole!-
Una mano le stava scuotendo la spalla, ripetutamente.
-Mm... che vuoi?- rispose la ragazza, la voce ancora impastata, tirandosi il lenzuolo bianco per coprirsi gli occhi dalla luce del mattino.
-Nicole, finalmente!-
La bruna si alzò leggermente sui gomiti e guardò, con un solo occhio aperto, il viso di sua sorella, che la osservava con gli occhi scuri sgranati.
-Ti vuoi alzare? Allora? È tardissimo!-
Nicole s'alzò di scatto, per poi lasciarsi ricadere sul materasso, stropicciandosi gli occhi.
-Ho sonno!- canticchiò come una bimba piccola.
-Alzati-
Margherita sorrise e la tirò su, con forza.
-Muoviti, su su-
Le diede una spinta leggera sulla schiena e la scortò in bagno. Di malavoglia, Nicole si vestì ed uscì di casa, saltando la colazione.
Sentiva ancora una pesante stanchezza, perciò camminò lentamente. Non appena giunse alla fermata, vide passare avanti a sé l'autobus.
Maledisse mentalmente qualcuno di imprecisato e s'incamminò verso scuola, le mani in tasca.
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