12
Nicole salì le scale, cercando di non far cadere le due borse della spesa che aveva sulle braccia. Arrivata al pianerottolo del suo appartamento, appoggiò la borsa più pesante a terra e, con equilibrio degno più di un bradipo che di una ballerina, si allungò per suonare il campanello. Attese un paio di minuti e, visto che non arrivava nessuno, prese le chiavi dalla tasca posteriore dei suoi jeans. Probabilmente, non c'era nessuno, oppure non avevano sentito, perché erano occupati. Infilò alla cieca nella serratura e aprì.
-Ciao, sono a casa.- disse, aprendo la porta e spingendo contemporaneamente con un piede la borsa rimasta a terra.
-Chi mi aiuta a riordinare la spesa?- domandò, mentre si assicurava di aver chiuso per bene a chiave.
Si voltò e si bloccò per lo spettacolo orrendo che si ritrovava davanti agli occhi.
-Mamma?-
-Papà?-
Cominciò a gridare, ferma sul posto, gli occhi sgranati.
-Margherita? Eric?-
-Christian...?-
L'abitudine l'aveva condizionata anche in quel caso. Non si mosse di un passo, non aveva il coraggio di muoversi in quel luogo che una volta era casa sua. Ora era irriconoscibile.
-Mamma! Papà!-
-Magari sono usciti...- rifletté, realizzando poi che non sarebbero mai usciti senza avvisarla. Afferrò il cellulare: nessun messaggio.
-Chiamo la polizia?- mormorò fra sé e sé. Preferì, però, fare prima un paio di passi per la casa.
I due divani, che, un tempo, erano posti in maniera perfettamente parallela, erano rovesciati e tutta l'imbottitura ricadeva sul tappeto, anch'esso tagliato nel mezzo. Quadri e fotografie ridotti in frantumi, ammassati sul pavimento; le tende ridotte a brandelli; la finestra aperta: la perfetta via di fuga. Passò una mano sulla foto appesa al muro: lei, Christian, Margherita e i loro genitori circa cinque anni prima, a Natale. Anch'essa era percorsa da una grande scheggiatura che, nel centro, si divideva in tre. Si avviò verso camera sua. Cocci ovunque, fogli sparsi e abiti. Si avvicinò a terra: quello era sangue...
Balzò in piedi, sussultando: non poteva essere, non li avevano uccisi. Cercò di vincere l'impulso che la spingeva a gettarsi a terra e rannicchiarsi in un angolino, come aveva fatto la sera dell'incidente di Christian. Strinse i pugni e si decise a continuare l'esplorazione: era tutto uguale, ogni mobile scheggiato, ogni foto, in frantumi, a terra, era un sussulto al cuore.
Trasse un respiro profondo e si lasciò completamente andare alle lacrime. Tornò in salotto e si appoggiò al muro bianco, anch'esso completamente rovinato... e macchiato.
Passò una mano sui numerosi graffi scuri, che correvano intrecciati, alcuni paralleli tra di loro, altri curvi. S'allontanò per osservare il quadro da lontano: quel disegno aveva qualcosa di familiare.
Si sedette e strizzò gli occhi. Linee, curve, intrecci...
Lentamente, il simbolo parve alzarsi dal muro, quasi fosse stato in rilievo ed incominciò ad emanare una luce; prima lieve, poi, mano a mano, si faceva più forte. Il tutto culminò con un'esplosione che la rovesciò sul posto.
-È un sigillo!-
-Cosa ci fa un sigillo in casa mia?-
Per un attimo, tutto le fu chiaro, gli insiders, gli outsiders, qualcuno, era stato a casa sua ed aveva combinato quel casino. Lei non voleva raggiungerli a Milano; lei non voleva andare da loro, allora avevano visto bene di "convincerla" così. In un solo momento, si ritrovò ad odiare l'associazione. Si guardò il palmo della mano e quell'orrendo rilevatore.
Decise di dirigersi in cucina, per cercare di bere qualcosa tra quello che rimaneva. Si accostò al lavandino, poggiò le mani sul lavello e si chinò per bere.
-Ahi!-
Aveva una scheggia di vetro infilata nella mano. Con cautela, la rimosse. Sentiva che il suo livello di stress era salito al picco massimo; strizzò gli occhi.
Voleva che non le sanguinasse più la mano, voleva che casa sua tornasse pulita, voleva che Christian tornasse indietro, voleva non essere mai entrata negli Outsiders, voleva non essere così speciale come dicevano, voleva non essersi mai addormentata quella notte.
Come una scossa elettrica, la pervase dalla testa ai piedi, un brivido freddo che la costrinse a portarsi una mano alla testa. Quando riaprì gli occhi, il pavimento era completamente sgombro. Si alzò in piedi.
-H-ho fatto un incantesimo?-
Si guardò intorno, spaesata, finché non avvertì un lieve dolore al braccio.
-U-un taglio?-
Ebbe la certezza di aver fatto un incantesimo. Si chinò al rubinetto per bere; la cucina era tornata esattamente come prima, il resto della casa no. I mobili sgombri le permisero di notare un particolare a terra, che prima non aveva visto.
Si chinò a raccogliere l'arma: era un pugnale abbandonato a terra. Non era sporco di sangue, per fortuna. Sembrava essere fatto di pietra, rosso scuro, con una stella incisa sull'impugnatura. Strinse forte la sua mano sull'impugnatura fredda e, per la prima volta, si sentì assai potente ed in grado di fare ciò che voleva.
Afferrò il suo cellulare e fece partire una chiamata, mentre si rigirava ancora l'oggetto tra le mani.
-Alessio...-.
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