7.
E poi Marta diventa sempre più strana. Si taglia i capelli, che adesso le arrivano appena sotto alla nuca. Si inizia a truccare, ma in un modo strano che ad Anna non piace: uno strato spesso di fondotinta a coprire i brufoli, il rossetto viola scuro, la matita verde. Sono colori che stonano e, a guardarli, una contrazione la prende allo stomaco. Soprattutto, quell'abitudine, sorta solo adesso, di sorridere da sola. Se ne sta sul divano, seduta come al solito a contemplare il nulla, e all'improvviso la sua bocca si piega in un sorriso sghembo, i suoi occhi si illuminano, qualche granello di fondotinta si stacca dalla pelle e danza nell'aria.
Anna non l'ha mai vista sorridere così. Da un lato le fa piacere, perché proprio non sopportava più di vederla col broncio; dall'altra parte, però, è preoccupata. Chissà a cosa pensa, si chiede. Sono gli occhi che la inquietano: quella luce che si accende per un motivo che non capisce. Però si rimprovera, dicendosi che è una mamma troppo apprensiva. Starà pensando al ragazzo.
Ecco, il ragazzo. Da quando li ha visti che si scambiavano quel bacio, l'immagine delle loro lingue che si incrociano la perseguita. Ha paura. Paura che quel ragazzo misterioso di cui non conosce il nome possa portargliela via, paura di perdere l'unica sua ragione di vita. Ma ciò che più teme è che lui possa spezzarle il cuore. Ha l'angosciante sensazione che, se succedesse, Marta non si riprenderebbe più. È troppo fragile, e quel modo di rincorrere i suoi pensieri le fa pensare che Marta nemmeno si accorga di esistere fisicamente.
E poi le tornano in mente quei sorrisi. Il labbro che si solleva, a scoprire due incisivi splendenti separati da uno spazio nero. C'è qualcosa che non va, e sebbene non sappia cosa quella sensazione la rincorre persino nel sonno. Più tardi, per anni infiniti, si pentirà di non aver indagato più a fondo.
Un giorno, un sabato sera di fine maggio, Marta le dice che quella sera deve uscire. All'inizio Anna sente ancora quell'angoscia: è la prima volta in diciassette anni che esce da sola, non saprà cavarsela. Poi però arriva la gioia. Diavolo, ha sperato per tanto tempo che Marta si facesse delle amiche, perché a vederla sola in casa si sentiva anche lei triste, e ora che succede, perché dovrebbe sentirsi preoccupata? Certo, un po' di apprensione è comprensibile. In fondo è ancora la prima volta, con il tempo ci si abituerà. Segue i suoi preparativi con gioia, la aiuta a scegliere i vestiti e a truccarsi. Quando il campanello suona, loro sono sedute sul divano. Mano nella mano, le teste reclinata e i capelli che si sfiorano. Entrambe sobbalzano a quel suono, poi si guardano e Marta scoppia a ridere. È una risata piena, sonora, e anche Anna scoppia a ridere di riflesso.
«Ciao, ma'. A stasera» dice Marta, con ancora nella voce la scia di quel riso.
«Ciao, divertiti» dice Anna. La guarda aprire la porta, girarsi un'ultima volta e sorriderle, poi imboccare le scale.
Anna corre sul balcone. Vuole vedere chi c'è ad aspettarla. Il palazzo non ha l'ascensore e il loro appartamento è al quarto piano, quindi ci vorrà un po' prima che Marta sbuchi fuori dal portone. Si affaccia, poggia i gomiti alla ringhiera. Si gode il vento fresco che s'infila nei vestiti e la sensazione di leggerezza che le fa vibrare i muscoli delle gambe, fa penetrare nelle narici l'odore di erba appena tagliata che circola nell'aria. Poi guarda in basso e lo vede.
Il ragazzo con il berretto nero se ne sta poggiato al palo della luce, il profilo che si staglia contro il rossore del tramonto. Indossa un paio di jeans larghi e una maglietta verde acido a maniche corte; il vento gli muove i capelli lunghi e neri, che gli finiscono negli occhi. Quello fa un movimento con la testa per riportarli indietro. Anna crede che lui si si accorga della presenza di lei, perché i loro sguardi si incrociano e lui subito lo abbassa, forse perché imbarazzato. Poi il portone si apre con un cigolo e Marta viene fuori. Lui prova a baciarla, lei lo respinge con un sussurro che Anna riesce a decifrare: «Aspetta, c'è mia madre al balcone». Poi Marta si volta verso di lei e la guarda, con le guance un po' imporporate e un sorriso largo. Agita la mano per salutarla, Anna fa lo stesso. Incontra ancora una volta gli occhi del ragazzo col berretto, ma è accecata dal sole e l'impressione che ha – e che le causa un crampo allo stomaco – è che un lampo attraversi le pupille del ragazzo. Li guarda che si allontanano con il passo barcollante lungo la via scarsamente illuminata, con le mani che si sfiorano e i capelli che ondeggiano. Il cuore le si stringe e una felicità mista a nostalgia la pervade: niente sarà come prima, Marta cambierà tantissimo. E probabilmente è un bene, pensa.
Lei non lo sa ancora, ma quell'istante in cui i due, prima di svoltare l'angolo, si fermano e si guardano intorno, sarà l'ultimo in cui vedrà sua figlia ancora in vita. Non sa nemmeno che l'immagine di quel ragazzo col berretto e gli occhi che lampeggiano la braccherà nei sogni per più di dodici anni. Compagna delle sue notti, benzina gettata sul fuoco del dolore.
Rimane sul balcone per qualche minuto e aspetta che il sole si nasconda del tutto oltre la pianura che si stende di fronte a lei. Quindi, quando solo una scia rossastra permane nell'aria, torna in casa e ordina una pizza d'asporto: non ha nessuna voglia di cucinare. La mangia seduta sul divano, una mano ad afferrare i pezzi di pizza e l'altra a leggere un romanzo. Continua a leggerlo anche dopo aver finito di mangiare, le mani sporche che lasciamo macchie unte sulla copertina. Anni dopo, ricorderà ancora il titolo del romanzo, che resterà poggiato sul tavolino del salone a prendere polvere fino a quando, a sessantadue anni, non deciderà di ritirarsi in una casa di riposo. Colorado Kid, Stephen King.
Quando l'orologio segna le dieci, una strana apprensione si fa spazio nel suo cuore. Tremori prolungati le scuotono le spalle, le viene voglia di piangere e non capisce il perché. È ancora presto, lo sa bene. Marta tornerà tra un'ora: è così che hanno concordato. Ma c'è quel verme, che striscia e scava e germina nel suo petto.
Alle dieci e ventisette torna sul balcone. L'aria si è rinfrescata, il verso acuto di qualche animale si ripete. C'è ancora l'odore di erba tagliata, ma questa volta le dà la nausea. Si accorge all'improvviso di quant'è squallida la zona in cui vive, con tutto quel grigio che mette tristezza. Brividi continui le attraversano le spalle e le gambe, si sente tremare e il suolo, quattro piani più in basso, sembra oscillare. La nausea si fa più stringente. Poi guarda la fine della strada, lì dove ha visto sua figlia svoltare l'angolo. Passa tutto il tempo così, china sul balcone, un'occhiata alla via, una all'orologio. Ma non c'e da preoccuparsi. Non ancora, almeno: hanno concordato alle undici, e alle undici Marta arriverà.
Sono le dieci e quarantatré quando una figura nera viene fuori dall'angolo della strada. Anna si raddrizza all'improvviso, una scossa di elettricità le entra in circolo nel sangue. Guarda l'avanzare di quella sagoma e, dal passo secco e deciso, capisce subito che non si tratta di Marta. Lei camminava ondeggiando, si dice. Solo dopo si accorge che ne ha parlato già al passato e il nervosismo le fa tremare la mascella. Si morde le labbra e guarda il cielo per non piangere.
Alle undici Marta non è ancora arrivata. Da allora il tempo non esiste nemmeno: ci sono solo l'ansia che la soffoca e quella strada, gli occhi su quell'angolo da cui dovrà sbucare sua figlia. Ma i suoi occhi si stancano, lo sguardo si fa appannato, le gambe cedevoli. Pugni sordi iniziano a picchiarle la parte alta della schiena e reggersi in piedi le costa una fatica enorme.
Forse si addormenta sul balcone. Non se ne rende conto: capisce solo che si ritrova con il busto piegato con la ringhiera, le gambe che quasi si sollevano in aria.
È l'una di notte e Marta non è ancora arrivata.
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