Capitolo 9 - Mattinata

Patrick Grant camminava a passo deciso nei corridoi dell'ampio appartamento sulle rive di Trieste che ospitava lo studio legale Greenberg & Cooper. Salutò i praticanti dello studio con un cenno.

I tre ragazzi gestiti dall'altro socio, Edward Greenberg, erano a lavoro già da un paio d'ore. Dietro un angolo comparve Anna, la sua giovane segretaria che iniziò a comunicargli gli impegni del giorno raccogliendo con delicatezza la ventiquattrore dalle sue mani, senza mai smettere di camminare. Patrick annuiva, mentre il pavimento in listoni di legno scricchiolava sotto i loro piedi.

«...oggi alle tredici hai una colazione con il Dr. Luniz, ti ho preparato il fascicolo sulla scrivania, puoi tornare per le sedici per la chiamata con il Dr. Cooper.» Anna girava frettolosamente le pagine di un taccuino. Patrick entrò nel suo ufficio d'angolo, che offriva una vista spettacolare sul mare. 
«Come?» le chiese riprendendo il contatto con la realtà.
«Non dirmi che lo avevi dimenticato. Charles vuole parlarti, ha ricevuto una brutta email dall'Ufficio del Procuratore.» Anna aggiunse il dettaglio sottovoce. «Stai bene?» chiese a Patrick preoccupata, mentre lui si lasciava scivolare inerte sulla poltrona in pelle appoggiando i gomiti sulla massiccia scrivania d'epoca in mogano e coprendosi la bocca con le mani.

«Merda» bofonchiò, passando le dita tra i capelli ondulati e portandoli indietro. Sbuffò, tamburellando con le dita sulla scrivania.
«Non preoccuparti, saprai gestirla - aggiunse Anna restando sull'uscio e, afferrando le maniglie della doppia porta in legno, ne accennò la chiusura. «Tu sai come prendere Charles» affermò sicura. Chiuse la porta e Patrick si trovò solo nel suo ufficio.

Portò lo sguardo all'ingombrante orologio da polso con il quadrante in madreperla. Erano le nove.
Aprì il portatile e si infilò gli auricolari, decise di non pensare a Charles. Controllò le email, quasi tutte già lette ed evase da Anna. Dovrei darle un aumento pensò. Ma cambiò subito idea.

Anna era la sua segretaria da due anni, ne aveva ventisette, ed era estremamente preparata ed efficiente. Era alta, aveva i capelli sempre raccolti in eleganti chignon e portava un paio di occhiali con montatura a farfalla che, sui tubini attillati che indossava in ufficio solitamente in coppia con un paio di altissime scarpe con tacco, la facevano sembrare un membro del cast della serie Ally McBeal.

Patrick si appoggiò sullo schienale intrecciando le dita delle mani in una posa pensosa, i gomiti appoggiati sui braccioli della poltrona da ufficio. I Limp Bizkit gli suonavano nelle orecchie.

Anna gli era stata consigliata da Christopher, il fratello di Patrick e Charlotte, perché l'aveva frequentata per un periodo, anni prima. Lui aveva vissuto in Italia a lungo, durante gli anni dell'università, proprio nella casa in cui ora viveva Charlotte.

In effetti, la spaziosa abitazione nei pressi dell'Orto Botanico non era cambiata granché da allora. Era sempre malinconica, a metà tra gli esterni liberty, floreali e sinuosi, e gli interni art déco fatti di linee rette e armoniche geometrie, ma ora tutto, in quella casa, aveva un profumo diverso. Patrick si trovò a inseguire con la mente l'aroma di lavanda e vaniglia dei capelli di Charlotte che, qualche sera prima, gli aveva fatto perdere la ragione sul divano in tessuto avorio di quel salone illuminato dal caminetto.

Bussarono alla porta dell'ufficio ed entrò Anna. «Scusami, ti avevo chiamato, ma non hai sentito il telefono.» Patrick si tolse in fretta gli auricolari, facendoli scivolare sul piano in cuoio verde scuro della scrivania. «Sono arrivati i documenti di Luniz che aspettavamo, eccoli» appoggiò una cartellina verde sulla scrivania.
«Richard ha chiamato dall'aeroporto, arriverà in serata. Si scusa, non sa come mai il suo cellulare non funzioni. Dice anche - Anna diede un'occhiata rapida al taccuino - che non devi preoccuparti di Charles, è tutto sotto controllo» lo guardò soddisfatta.
«Grazie Anna» rise Patrick. «Non sono per niente preoccupato. Sono sicuro che Charles si stia facendo prendere dall'ansia per niente. E quando Richard sarà qui chiariremo tutto» aggiunse convinto.

Anna annuì, si girò per andarsene, e lo sguardo di lui si soffermò sul suo fondoschiena, fasciato dall'abito nero. Inclinò la testa per godersi la vista. «Anna, prima che tu vada» chiamò «telefona all'hotel di Richard e assicurati che abbia una o due bottiglie di champagne in camera, una scatola dei sigari che gli piacciono e un biglietto da parte mia con il nuovo numero di telefono di Amber. Mi raccomando non sbagliare. Poi prenota un tavolo per domani sera al Gentlemen's club. Ceneremo lì.»
Anna annuì e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.

La visione della ragazza portò Patrick indietro nel tempo a due anni prima.
L'aveva appena assunta e lei trasudava entusiasmo, fresca di laurea in Politiche Internazionali. Una sera avevano fatto tardi in ufficio, e lei si era offerta di ordinare una pizza per continuare a lavorare durante la notte. Quel caso aveva impegnato tutto lo studio allo stremo, e il gruppo aveva accolto di buon grado l'energia e l'ambizione di Anna, mentre Patrick ne iniziava a intuire le potenzialità.

A mezzanotte erano rimasti solo loro due.
Ormai i documenti erano stati registrati e l'udienza del giorno dopo aveva buone probabilità di essere risolutiva per lo studio. Per festeggiare, avevano sbottonato i colletti delle camicie, Anna si era tolta i tacchi e avevano bevuto una bottiglia di vino, e poi un'altra. Alla fine Patrick si era trovato seduto su quella stessa poltrona in pelle dove era seduto ora, solo che Anna era a cavalcioni su di lui e gli sbottonava i pantaloni.
Non era sicuro di dove finisse la sua responsabilità dell'accaduto e dove iniziasse quella di Anna, sapeva solo che in quel momento gli era sembrata una grande idea approfittare della situazione e farsela.
Anna aveva un bel fisico, era morbida, ma soda nei punti giusti. Era brillante e alla mano, e Patrick non si era fatto troppe domande. L'avevano fatto sulla sua scrivania e poi contro il muro e poi sul divano Chesterfield del suo ufficio. Non avevano detto una parola.
Era stato divertente, quella sera, e si erano salutati con una stretta di mano.

Ma ovviamente, non era stata una grande idea.

Il giorno dopo Patrick era entrato in ufficio con dei Rayban che avevano l'unica funzione di nascondere il suo sguardo, visto che fuori diluviava ed erano le sei del mattino. Non aveva dormito per niente, ma non importava, doveva assolutamente evitare Anna perché non aveva idea di come gestire una situazione del genere.

Aveva dato appuntamento a Edward, il suo socio, nella caffetteria di fronte e gli aveva detto che avrebbero rivisto il caso da lì, prima di andare in tribunale. Poi quella sera lei lo aveva chiamato, lui si era sentito un codardo e un idiota, lei gli aveva detto nel suo Inglese fluente che era fidanzata, e che quello che era successo tra loro, non solo non voleva dire nulla, ma non si sarebbe ripetuto.

Patrick non poteva credere alle sue orecchie. La soluzione al problema dell'essersi scopato una sua dipendente gli era apparsa dal nulla davanti agli occhi e si affrettò a coglierla. Caspita Anna, mi dispiace, sai come vanno queste cose, sì, sì certo, tranquilla me ne sono già dimenticato le aveva detto, sollevato.

Poi avevano fatto sesso altre due volte, per essere sicuri che fosse proprio una cattiva idea, prima che lei gli dicesse che il suo fidanzato le aveva chiesto di sposarlo e che quindi non era più disponibile per quei momenti di condivisione professionale. Quella volta era stata sincera e da quel giorno erano stati ottimi colleghi, oltre ad aver deciso di non toccare più una goccia di alcool in presenza l'uno dell'altra.

Patrick si sporse sulla scrivania per sfogliare il caso del Dr. Luniz, un chirurgo italiano che si era convinto che la moglie lo tradisse, e aveva chiesto il divorzio. Una causa infima e corrotta, che Patrick aveva praticamente già vinto, visto che in quell'esatto momento teneva in mano le foto della moglie di Luniz, una cinquantenne affascinante e molto seducente, mentre toccava il suo insegnante di tennis di venticinque anni nelle parti intime, sotto i pantaloncini in acetato arancioni.

Tsè, figuriamoci, l'insegnante di tennis, che originalità sorrise mentre teneva in mano le grandi stampe formato A4 delle prodezze amorose della Sig.ra Luniz. Afferrò il ricevitore e compose un numero breve. «Luniz ce lo portiamo a casa, Ed, prepara le birre per stasera.»
«Ottimo Pat, consideralo fatto» gli rispose Edward Greenberg con la sua voce squillante. «Se non dovessimo vederci prima, ti aspetto alle otto. Cerca di essere puntuale, ho organizzato questa cena solo per te» aggiunse.
Patrick lo rassicurò, prima di riagganciare. Avrebbe voluto confrontarsi con Edward sul motivo della telefonata di Charles, ma il collega aveva un'udienza importante e non voleva distrarlo. Inoltre non voleva sentire il tono giudicante di Ed che gli intimava te lo avevo detto agitandogli davanti un suo dito cicciottello.

Patrick destinò il resto della mattinata allo studio dei casi che aveva in corso: tradimenti, liti, rapimenti di animali domestici, e tutto ciò che rende succosa una causa di divorzio, in quel momento era sullo schermo del suo PC.
Alle dodici e trenta si infilò gli occhiali da sole, cercò Anna per comunicarle che usciva, e scese le scale, per accendersi, qualche minuto dopo, una sigaretta sul lungomare delle Rive e avviarsi in direzione del Godot, il ristorante in cui Filippo Luniz lo stava aspettando.

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