Capitolo 6 - Trepidazione
Charlotte fissava lo schermo del computer ormai da venti minuti.
Si scosse improvvisamente da quel torpore e si rese conto che era già mezzogiorno. Erano passati quattro giorni da quando Patrick era stato a casa sua e lui non si era più fatto vivo.
Forse quel bacio c'entrava qualcosa? Che stupida, certo che c'entrava!
No un secondo. Lui aveva baciato lei, questo era assodato.
Lei non lo avrebbe mai fatto. Però aveva tradito Josh.
Ma si poteva tradire un morto?
Beh, si poteva tradire la sua memoria. C'era gente che restava fedele per tutta la vita, anche dopo che il compagno se ne era andato. Le venne in mente di scrivere un articolo su Didone, la regina di Cartagine che aveva mantenuto il voto di fedeltà al marito deceduto fino all'arrivo di Enea. Forse Patrick era l'Enea di Charlotte, e poteva imparare qualche lezione dalla fine atroce dell'antica Regina.
Basta doveva uscire. Charlotte si alzò in piedi di scatto e fischiò a Neri.
Arrivò all'atrio e prese il cappotto per correre fuori. Non sapeva neanche dove, si disse scendendo le scale d'un fiato, ma doveva andare a prendere un po' d'aria. Doveva scrollarsi di dosso quell'imbarazzo e soprattutto l'idea che quel bacio le fosse piaciuto.
Passeggiava per Viale XX Settembre, un lungo passaggio pedonale ricco di bistrot e negozi ombreggiato dalle fronde di alberi centenari e finalmente si godeva una piccola pausa dai suoi pensieri. Neri camminava ad andatura regolare a fianco a lei e si sentiva in pace.
La giornata era fredda, ma il cielo era terso e un tiepido sole invernale si affacciava tra le foglie e i tetti dei palazzi. Charlotte si perse in quel momento e iniziò a pensare al suo pezzo su Anna Bolena, che era fermo da settimane. Iniziò a esaminarne la struttura e poi i sottoparagrafi e in un attimo si ritrovò ispirata quando sentì il telefono squillarle in tasca.
Ancora entusiasta e sorridente, lo afferrò e rispose.
«Charlotte?»
Maledizione! Ma che ci voleva a leggere il numero sul display prima di rispondere?
«Sì» bofonchiò.
«Accidenti, sembri di ottimo umore!» Patrick rise prendendosi gioco del tono malinconico che aveva assunto la voce della ragazza. «Ascolta - riprese - penso che sia il caso di vedersi» affermò con tono perentorio.
Charlotte si fermò. Il cuore le era balzato in gola e quelli che sentiva lungo la schiena erano di sicuro brividi.
«Perché? » rispose con finta indifferenza.
«Quindi non sei tu la ragazza che ho baciato l'altra sera?»
«Non saprei Patrick, ne avrai baciate molte, non conosco la tua media a serata.»
«Molto divertente. Ma sono quasi certo che fossi tu. Devi aver messo qualcosa nel caffè.»
«Accidenti, beccata! Ho inscenato tutto per poterti sedurre - disse Charlotte con ironia - Come hai fatto a scoprirmi?»
«E' stato difficile in effetti. Anche senza caffè ti avrei baciata lo stesso.»
Charlotte dovette fare dei respiri profondi per tenere a bada il suo cuore. Ci stava forse provando con lei?
«Perché mi hai chiamata?» chiese brusca.
«Perché voglio vederti.»
«E te ne accorgi dopo quattro giorni?»
«Vuol dire che li hai contati?»
Charlotte si rese conto di essere uscita allo scoperto.
«Di quella sera mi ricordo solo di te che rompi una delle mie tazze buone» improvvisò.
«Charlotte, ho aspettato perché non sapevo cosa fare. Ero confuso, dannazione, ci siamo baciati!»
«Adesso che questo è assodato possiamo anche lasciar perdere. E' capitato - aggiunse abbassando la voce - non è un delitto, possiamo dimenticarcene, no?»
Aveva lanciato un'esca che non era sicura di dove l'avrebbe portata. Aveva timore di sentire la risposta a quella frase, ma una parte di lei le chiedeva risposte.
«Non voglio dimenticarmene. Vorrei che succedesse di nuovo, Charlotte.»
Lei rimase in silenzio, il cuore le batteva fortissimo.
«Non...non posso» sussurrò. Era ancora curiosa, ma adesso non sapeva cosa fare, a parte tenerlo a distanza.
«Concedimi solo un'altra volta, tentò lui, Non romperò altre tazze, promesso.»
Lei continuava a restare in silenzio.
«Voglio portarti al Vinci stasera. Parliamo un po'. Anche di Josh, se vorrai» disse piano questa parte della frase, quasi non volesse sporcare il momento che avevano condiviso.
Lei tacque ancora, pensando. Il cuore le batteva, era agitata, si mise una mano a coprirsi gli occhi e con uno sforzo di volontà esclamò: «Parleremo solo di Josh.»
«È un sì?»
«Uhm.»
«Vengo a prenderti alle 7. A stasera.»
«Io...» Charlotte si fermò capendo che Patrick aveva riagganciato.
Di solito quando c'è un bacio e due persone si rivedono, quello è un appuntamento. Ma dato che dietro al loro incontro c'era un motivo deprimente, non era sicura di volerlo chiamare così.
Charlotte si fermò a ripensare a quel bacio.
Le labbra di Patrick erano morbide e sapevano di caffè. Il suo profumo era quello di un bosco scozzese all'alba, con le goccioline di umidità ancora sospese sulle foglie degli alberi, le radici bagnate che intrecciano il terreno e i ciottoli rotondi di un lago che tintinnano tra loro quando li calpesti.
I suoi capelli erano bruni e morbidi e con un taglio così particolare e di carattere, così caratteristico di Patrick: un po' lungo, ma curato, ondulato, così preppy, così Oxfordiano allo stesso tempo, con quei ciuffi che gli incorniciavano le tempie. Gli occhi nocciola così trasparenti e profondi, si erano chiusi proprio un attimo prima di baciarla.
Charlotte non poteva fare a meno di chiedersi perché avesse scelto di corteggiare lei, sempre che fosse quello che stava facendo. Patrick aveva riempito le cronache rosa d'élite per anni a Oxford e poi a New York e in Italia. Sembrava che qualsiasi ragazza dell'alta borghesia fosse uscita con lui, ma ora che aveva trentacinque anni erano in molti a chiedersi quando avrebbe messo la testa a posto.
Lei era una ragazza normale, non una di quelle modelle di Instagram, né una a cui piacesse ostentare ricchezza o potere. Di certo veniva da una famiglia benestante ed aveva parenti dal nome altisonante e di sicuro suo padre era a capo dell'impero legale che aveva coperto i casi di finanza più famosi dell'ultimo ventennio. Ma lei era una storica, scriveva per lavoro e anche se qualche volta si era fatta affascinare dal mondo patinato delle copertine, ora preferiva i congressi e le conferenze sulla dinastia Tudor, dove primeggiava e si era fatta un nome di tutto rispetto.
Inoltre possedeva una bellezza angelica che aveva ereditato da sua madre e che non aveva nulla a che vedere con i seni e le labbra esagerati che si vedevano sui social.
Il suo sex appeal era quello di un quadro rinascimentale. Mistico, non certo terreno come quello delle ragazze che aveva visto negli anni insieme a Patrick.
Era mediamente alta, molto asciutta e tonica grazie al tennis, che praticava con regolarità, da perfetta Inglese.
Aveva fatto la modella durante l'Università, ma non aveva mai sfondato. Lo aveva fatto solo perché sembrava andare di moda tra le sue amiche, un po' per noia, un po' per sentirsi parte del gruppo.
Le era rimasta quella passione per i capi sartoriali e lo stile tartan che l'avevano circondata per tutta la vita, dall'antica dimora di famiglia nelle Cotswold Hills alle estati in Scozia.
Lei e Patrick avevano in comune proprio questo: tradizione ed educazione tramandate in famiglie fatte di salotti con divani in velluto e carte da parati eleganti, tendaggi pesanti e gare di equitazione. Un periodo a Oxford per studiare e il trasferimento a New York.
In effetti avevano un altro filo lungo e robusto che li univa: Charles Cooper, il padre di Charlotte. Aveva preso Patrick sotto la sua ala quando Rupert Grant era morto e lo aveva reso lo squalo affamato di successo che era oggi. E poi c'era Josh, che invece non era stato così fortunato, ed era inciampato durante la strada.
Charlotte sospirò. Ancora non le era chiaro il rapporto che c'era stato tra Josh e Patrick nell'ultimo periodo, prima della morte del suo ragazzo, ma la conversazione che aveva avuto con Patrick quella sera a casa sua, le aveva aperto cassetti della memoria che ora aveva paura di esplorare.
Le era tornato in mente tutto: i tradimenti, le bugie, i periodi in cui Josh semplicemente scompariva. E le lacrime, di quando si era ripromessa innumerevoli volte che non gli avrebbe più dato modo di trattarla così, fino a che lui, puntualmente, non si presentava alla sua porta con un mazzo di rose bianche e le chiedeva scusa, trascinandola in luoghi della mente e del corpo che Charlotte arrossiva a ricordare.
Si scosse da quel pensiero, pensando che avrebbe potuto affrontare l'argomento quella sera con Patrick. O forse invece, avrebbe potuto lasciare perdere e godersi una serata fatta di buon cibo e di conversazioni interessanti.
Di nuovo si trovò a chiedersi se fosse giusto quello che stava facendo.
Stava iniziando a rendersi conto di quanto, della sua storia con Josh, avesse voluto dimenticare. E forse l'incontro con Patrick sarebbe stata una buona scusa per chiudere un capitolo e aprirne un altro, più felice.
Anche se lui non le era mai sembrato il tipo di ragazzo con cui iniziare qualsiasi cosa, data la sua orribile fama. Rabbrividì, pensando a quanto la vita sentimentale di Patrick fosse affollata. O almeno così aveva letto sui social l'ultima volta che si era azzardata a cercare il suo nome.
Cercò di distrarsi pensando di dover scegliere un abito da mettere, e si dovette rassegnare al fatto che non aveva niente di adatto al Vinci. Sperò di non stare scivolando nel tunnel in cui lei voleva sedurre Patrick.
La spaventava la sua capacità di farle perdere coscienza, perché sapeva che anche se Patrick alla fine si fosse rivelato un ragazzo d'oro, uno per cui valeva la pena rischiare, alla fine forse non sarebbe mai riuscita a vederlo per quello che era.
Era meglio mantenere le distanze, restare nel suo bozzolo di vedova addolorata, ma questo non le avrebbe tolto la voglia di giocare un po' con lui e di porsi come una di quelle ragazze che frequentava di solito.
Camminò ancora un po' lungo il viale, quando decise di cambiare strada e dirigersi verso il centro. Una volta in corso Italia entrò in uno dei magazzini del lusso dalle grandi porte scorrevoli. Attraversò i corner di caffè, quelli della profumeria e salì le scale, seguita da Neri.
Una giovane commessa vestita in modo elegante e con i capelli rossi acconciati con raffinatezza si avvicinò a lei. « Posso aiutarla? » le sorrise, gentilmente.
«Sì, uhm...sto cercando un abito per una cena.»
«E' una cena elegante?»
«Diciamo che è elegante la persona che mi ha invitata» disse Charlotte sfiorando con le dita un abito di paillettes nero.
«Se posso chiedere...è un'occasione galante?»
«Uhm...non direi. Voglio solo chiarire un paio di cose.» Charlotte rise imbarazzata, chiedendo sostegno alla commessa con lo sguardo.
«Non si preoccupi ho capito perfettamente. Che ne dice di questo?» le mostrò un abito viola scuro in velluto a maniche lunghe.
«Pensavo a qualcosa di più...non saprei, sofisticato.»
«Ho capito, venga con me.»
La commessa la condusse lungo un susseguirsi di sale elegantemente arredate, quasi a ricordare una serie di salotti di una casa alto borghese. Si fermò davanti ad una rella dorata e ne staccó un vestito nero.
«Questo è un Dior ispirato ad un pezzo del 1998 - fece una pausa - è un pezzo unico. E credo che le starebbe benissimo» disse mentre lo sollevava con delicatezza perché Charlotte potesse godere di quella visione.
Era un tubino nero in raso, aderentissimo, lungo fino al ginocchio. Aveva uno spacco sul retro e la scollatura era orizzontale, con due catenine dorate sottilissime come spalline. Era estremamente semplice, ma era bello da togliere il fiato.
Charlotte sussurrò: «È quello che cercavo.»
«Venga, glielo faccio provare.» Charlotte seguì la commessa lungo un corridoio per arrivare a un salottino più raccolto con poltroncine in velluto e una serie di camerini.
Venti minuti dopo stava camminando verso casa con Neri e un sacchetto in carta con nastri dorati che riportava il nome del negozio in solenni lettere dorate su entrambi i lati.
Ora doveva solo indossare tutto e prendersi cura del resto dell'outfit.
Alle parole che avrebbe detto avrebbe pensato solo in seguito.
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