Capitolo 5 - Charles

Lo sentì correre su per le scale.

«Ehy.» Patrick apparve alla porta di Charlotte in tutto il suo metro e novanta di eleganza inglese e si fermò sulla soglia. Si fissarono per un paio di secondi, incerti di trovarsi in quella situazione assurda, loro due, estranei nell'atrio di un palazzo nel centro di Trieste.

Patrick indossava un cappotto nero lungo fino alle ginocchia in lana che aveva sbottonato. Sotto, portava una felpa grigia dell'Università di Oxford, dei pantaloni sportivi grigi, e ai piedi aveva delle Nike Blazer con il logo in nero. I capelli erano leggermente arruffati e in mano teneva un berretto di lana e una sciarpa grigia.

«Entra» Charlotte si spostò per liberare la porta e farlo passare. Di nuovo il suo profumo. Charlotte rimase perplessa, Patrick non gli sembrava un tipo che si perdesse in simili dettagli, anche se era sicura che nel suo armadio tenesse una fila di completi di alta sartoria.

Lo accompagnò oltre l'atrio e più oltre, nel salone riscaldato dal caminetto.
«Era proprio così che immaginavo casa tua - esclamò Patrick alzando lo sguardo verso il piano superiore che si affacciava sul salone - Elegante e sofisticata.»
La guardò e lei gli prese il cappotto che si era tolto nel frattempo, per appoggiarlo su una poltrona lì vicino. Patrick si sfregò le mani gelate.
«Siediti pure dove vuoi, preparo del caffè» lo invitò lei.
Patrick si guardò intorno, e alla fine scelse il divano davanti al televisore, il più ampio e comodo, ma ben posizionato rispetto al caminetto per godere del suo tepore diffuso.
Iniziò a esaminare l'ambiente, studiando attentamente tutti gli elementi che arricchivano l'arioso salone dell'appartamento.
Notò qualcosa e si alzò, mentre un intenso profumo di caffè si diffondeva dalla cucina.

Era una foto su una mensola sotto il televisore. Si avvicinò e la prese in mano. Ritraeva Charlotte con tutta la sua famiglia, molti anni prima. 

Suo padre Charles, in camicia di jeans e occhiali da sole a goccia le teneva le mani ben salde sulle spalle, lei avrà avuto forse cinque anni.
Era biondissima e indossava una maglietta con il logo del Corridge Tennis Club di Londra e pantaloncini sportivi sulle ginocchia sbucciate, con uno dei due calzini di cotone arrotolato in modo disordinato su una caviglia. Sorrideva, mettendo bene in mostra lo spazio lasciato libero da un canino.
Di fianco a lei, disposti in ordine, si vedevano un Richard serissimo con un ciuffo all'insù, e Christopher, con i capelli biondi lunghi fino alle spalle che gli coprivano in parte il ghigno pestifero, mentre si nascondeva dietro alla gonna di sua madre.
Linda era alta, bellissima e snella. La pelle chiara e i capelli color rame la facevano sembrare una creatura eterea.
In pieno stile anni '90, indossava una longuette in jeans abbottonata sul davanti da cui spuntavano gli stivaletti in pelle texani. Sopra, una camicia bianca e un giubbino scamosciato con le frange color cognac di cui aveva arricciato le maniche sugli avambracci.
Innumerevoli bracciali e anelli adornavano le mani e i polsi e una collana in oro le scendeva lunga sulla scollatura.

Patrick era molto amico di Richard. Si erano conosciuti per via dell'amicizia dei loro padri e, insieme a Josh, all'università avevano per molto tempo rappresentato un trio unito, con grandi ambizioni e sogni irrealizzabili.
Poi tutto si era rotto.

«Vuoi che te ne faccia una copia?» Charlotte era tornata nel salone con due tazze di caffè fumante. «So che bevi solo espresso, ma questo blend è una favola, ed è per caffè americano» gli porse una tazza e spiò la foto che lui teneva ancora in mano.
«Bei tempi quelli» aggiunse togliendola delicatamente dalla sua presa. «Sembrava che sarebbe durata per sempre» aggiunse tristemente rimettendola a posto sul mobile sotto al televisore.

Si guardarono mentre tenevano il caffè in mano. Ora Patrick faceva molta meno paura, ma i suoi occhi erano ancora intensi e misteriosi.

«Sediamoci» Patrick si avvicinò al divano e appoggiò la sua tazza sul tavolino in cristallo. Lei gli si sedette accanto, nonostante ci fosse molto spazio. Lui si mise le mani tra i capelli. «Da dove comincio?»
«Che ne dici di cominciare dall'inizio?» sentiva il suo profumo, in un'ammaliante combinazione con l'aroma del caffè.
«Io...Josh...insomma... » Patrick intrecciava le dita le une con le altre in un tentativo inutile di allentare la tensione. « Non so se capirai » la guardò.
«Non sottovalutarmi. Conoscevo molto bene Josh, per cinque anni è stata... - abbassò lo sguardo - una sfida, stare con lui» guardò Patrick negli occhi. «Ma credo che ne sia valsa la pena.»

Patrick sorrise. «Era un ragazzo con tanti problemi. E la causa era solo lui.»

Charlotte era confusa.
«Che intendi?» chiese. Non era certo all'oscuro del fatto che Josh avesse un debole per le sostanze e che puntasse a farci molti soldi, ma non pensava che la situazione fosse così grave.
«Nell'ultimo periodo aveva iniziato ad essere... - Patrick guardò in alto alla ricerca del giusto termine - spericolato.»

Charlotte si avvicinò a lui. «Non capisco» aveva gli occhi umidi ed era confusa.
«Lo so, Charlotte. E' qualcosa di più grande di me e te, purtroppo. Non...non credo che bastino dieci minuti.»

Charlotte si alzò in piedi. «Quindi, fammi capire bene» camminava avanti e indietro, mentre Patrick la osservava preoccupato. «Mi stai dicendo che sei venuto qui con la scusa di parlarmi finalmente di quello che è successo, per chiarire le tue responsabilità una volta per tutte, per convincermi che l'opinione che mi sono fatta di te in questi anni è totalmente sbagliata, per poi dirmi che in realtà non mi racconterai nulla che non sappia già perché non bastano dieci  minuti?»
Charlotte non sapeva se ridere o piangere.

Affondò il viso tra le mani. Sperava che lasciarsi avvicinare da Patrick le avrebbe dato le risposte che cercava, ma aveva capito che non sarebbe stato così semplice. Non sarebbe mai finita, ed era affranta.
Si sentì di nuovo come era stata per cinque anni, sballottata dentro e fuori da quella relazione che continuava anche oggi a difendere contro tutti.

Patrick tentennò, ma le mise un braccio attorno alle spalle, restando in silenzio. Al tocco, Charlotte rabbrividì, di tutta risposta lui la strinse.
Charlotte, a disagio, dopo un paio di secondi si staccò da quella presa e si spostò un po' più là, sul divano. Guardava dalla parte opposta a Patrick, imbarazzata. Non avrebbe mai voluto farsi vedere così vulnerabile, soprattutto da uno come lui.

Anche Patrick riacquistò il suo aplomb e tossicchiò per togliersi di dosso la sensazione di essere in tre, insieme a Josh, su quel divano.
Rimasero così, in silenzio per qualche secondo.

Charlotte non era convinta, era confusa e ancora non si spiegava come lui non avesse alcun ruolo nella scomparsa del suo ragazzo. Forse aveva qualche interesse economico o di altro genere, dietro la facciata di amico addolorato che mostrava da tre anni.
Josh non si era mai fidato di lui, le diceva, forse aveva dei buoni motivi.

«Quanto vorrei che fosse qui» Patrick sussurrò, mentre un sospiro gli usciva dalle labbra. Charlotte si voltò a guardarlo. «Lui saprebbe come raccontare la sua storia. Mi manca moltissimo.»

Patrick si voltò verso di lei e per una manciata di secondi che sembrarono un tempo lunghissimo, si guardarono negli occhi. Improvvisamente la distanza sul divano che li divideva si ridusse e Charlotte si trovò di nuovo persa in quel lago color ambra che erano gli occhi di Patrick.
Si sentì trasportata dal suo profumo di bosco e dal ricordo di Josh che lui aveva risvegliato. Patrick si avvicinò a lei, che rimase immobile, combattuta tra la strana attrazione che provava verso quello sguardo e il timore di non potersi fidare di lui.

Patrick si avvicinò ancora. «Non sono stato io, Charlotte.»
In quel momento le sembrava sincero e non sapeva come mai. Semplicemente forse, era stanca di lottare, di cercare risposte, di difendere Josh e la loro storia. La sua frustrazione si stava lentamente trasformando in curiosità.

Si sentiva solo il crepitio del fuoco nel caminetto, le tazze di caffè erano ormai vuote e Charlotte sentì una mano di Patrick sfiorare la sua, appoggiata sulla seduta del divano. Non riuscì a sfilarla dal suo tocco.
Si sentiva trasportata verso di lui, verso il suo sguardo ermetico e profondo. Ormai il viso di Patrick era ad una manciata di centimetri dal suo. Era inebriata da quell'aroma muschiato che le ricordava i boschi della Scozia dove era cresciuta.

Le labbra di Patrick sfiorarono le sue, e lei riuscì solo a sentirne un istante di sentore di caffè. Suonò il telefono.

Charlotte rinvenne e si staccò improvvisamente, fissandolo stranita.
Si alzò in piedi per cercare il telefono e iniziò a lanciare i cuscini del divano per terra come una furia, mentre Patrick decise di spostarsi in cucina con le tazze di caffè vuote, facendone cadere una per terra.
Lei trovò il telefono mentre Patrick cercava di raccogliere alla meglio i cocci dal parquet con Neri che, in un impeto di generosità, gli scodinzolava vicino.

«Pronto?» Charlotte rispose trafelata al decimo squillo.
«Piccola, mi avevi cercato?» la voce di Charles sembrava preoccupata.
«Oh sì, papà» indirizzò uno sguardo eloquente calcando con la voce la parola papà verso Patrick che se ne stava impalato di fianco al divano. «Volevo sentire come stavi» mentì.
«Beh sono qui con Richard, stiamo parlando del fatto che non sappia assumere personale decente» in sottofondo Charlotte sentì suo fratello brontolare. «Comunque stiamo bene. Tu come stai tesoro?»
«Bene papà. Stavo per andare a dormire.»
«Quando uscirà il tuo prossimo lavoro?»
«E' previsto per febbraio, ma sai come vanno queste cose...»
«Stai tranquilla, quella gente di cui scrivi è tutta morta, non si risentiranno se il tuo pezzo uscirà un po' in ritardo.»
«Grazie papà. Ora vado, buonanotte.»
«Buonanotte piccola.»

Charlotte riattaccò. Patrick era ancora in piedi con in mano i cocci della tazza rotta.
«Mi...mi dispiace».
«Non preoccuparti per la tazza» si affrettò a dire Charlotte. Non osava avvicinarsi a lui.

«Devo andare» Patrick si affrettò verso la porta, lasciando i cocci sul tavolo.
Arrivò all'entrata e si fermo di colpo come se avesse avuto un'illuminazione.
«Che stupido!» tornò indietro, prese il cappotto e senza infilarlo camminò in fretta verso la porta. Si voltò, guardò Charlotte che era rimasta impietrita, ancora in fondo, nel salone, fece per dirle qualcosa, ma non ci riuscì. Aprì la pesante porta in legno e in un attimo fu fuori.

Charlotte lo spiò dalla finestra correre via, nella notte. Lui non si voltò indietro.
Salì in fretta sulla Porsche Panamera nera che aveva lasciato davanti al portone in sosta vietata e sgommò via.

Lei non sapeva cosa pensare. Si voltò verso il salone e vide che Patrick aveva dimenticato il berretto e la sciarpa.

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