Capitolo 4 - Patrick è qui

Che ora era a New York?

Charlotte era ancora furente. Ma erano le nove di sera e a New York era ancora pomeriggio: suo padre sicuramente si trovava nel suo ufficio, mentre beveva un espresso discutendo con suo fratello Richard.

Charles Cooper aveva settantasette anni ed era uno dei due soci fondatori dello studio legale Cooper e Grant, che si trovava a Londra. Si era trasferito a New York a 60 anni e aveva preso possesso della branch americana dello studio, una volta che Rupert Grant, il padre di Patrick, era morto.
A Londra aveva lasciato i due fratelli maggiori di Charlotte a gestire lo studio.
Richard era il più grande, ora viveva a New York, ed era quello che più di tutti riusciva a tenere testa a suo padre, con grande piacere di quest'ultimo, che si rivedeva nell'entusiasmo e nel fuoco dell'ambizione del figlio.
Christopher era invece taciturno, riflessivo e timido, il figlio di mezzo che si era abituato a far parte della tappezzeria.

Charlotte compose il numero, ma il telefono suonava a vuoto. Aspettò impaziente, mentre cercava di calmarsi e pensare a come intavolare il discorso.
Come avrebbe detto in modo elegante a suo padre che doveva obbligare Patrick Grant a lasciarla in pace?

Il telefono suonava ancora, mentre Charlotte lanciava la pallina di stoffa a Neri; il ticchettio delle sue unghie sul parquet era sovrastato solo dal respiro ansimante della ragazza.

Niente. Non rispondeva.
Lo sguardo di Charlotte fu attirato da una delle foto sul caminetto; raccolse la cornice in argento e cercò nel vetro trasparente la risposta alle sue domande.

C'erano lei e Josh, erano a San Antonio, a vedere una partita degli Spurs. Josh adorava il basket e a Oxford si era guadagnato una maglia nella squadra dell'università.
Nella foto erano seduti sugli scalini del palazzetto con due enormi birre in mano, e ridevano. Charlotte non ricordava chi avesse scattato quella foto, ma una cosa la ricordava. Josh stava cercando di uscire dal giro.
Gli occhi erano tristi, in contrasto con il resto della sua espressione e le mani tremavano. Quella vacanza era servita a distrarlo, ma non era bastata.
Una volta tornati a New York, Josh aveva ripreso le vecchie abitudini, e per lei non c'era più stato spazio.

Charlotte abbandonò l'idea di parlare con suo padre e si accasciò sul divano di fianco a Neri. Quella foto le aveva riportato alla mente anni di sofferenza.
Forse Josh non era quello che lei aveva voluto credere fino alla fine. Era sconsolata e voleva davvero parlare con qualcuno, ma non sapeva con chi. Chi avrebbe capito quello che stava passando?
Dionne aveva conosciuto Josh solo attraverso i suoi racconti. Suo fratello Richard era il migliore amico di Patrick e aveva cercato di far arrestare Josh un numero indefinito di volte da quando quest'ultimo aveva perso la strada.  Suo fratello Chris non era nemmeno da considerare. Si parlavano poco, e non avevano granché in comune a parte un pezzetto di DNA e grandi occhi azzurri.

Era confusa. Patrick sembrava sincero...però in un messaggio era molto semplice vestire i panni della brava persona...in fin dei conti però non era colpa sua se adesso su quel divano non c'era Josh, con lei?
Forse però i problemi di Josh lo avevano travolto e l'unica causa della sua morte era stato proprio lui stesso. Le tornò in mente la notte dell'arresto, ma decise di cambiare il corso dei suoi pensieri.

Maledizione basta pensò. Guardò il telefono e rilesse il messaggio. Senza pensare, attivò la chiamata e si mise all'ascolto, senza sapere bene cosa dire.

«Charlotte?» la voce di Patrick era calda, roca e arruffata, come quella di una persona appena svegliata da un sonno profondo. Charlotte si prese qualche secondo per scegliere il tono giusto. «Patrick, ho riflettuto un po' e....» esitò.
«Fammi indovinare» sospirò, sembrava che da disteso si fosse alzato a sedere. «Hai parlato con Charles?» disse il nome di suo padre masticando le parole, probabilmente si era messo una sigaretta tra le labbra.
«No, ti sbagli, non ho avuto bisogno di parlare con lui» mentì Charlotte, incuriosita da cosa stesse facendo Patrick in quel momento. Se lo immaginò ad ascoltare un po' di jazz, nel suo salotto da scapolo inglese, tra poltrone di pelle, librerie impolverate e fumosi tendaggi.

Lo sentì soffiare nel ricevitore e si convinse che stesse fumando.
In una risata, Patrick rispose «Come no. Comunque, volevi dirmi qualcosa?» sembrava curioso.
 «Maledizione» sussurrò.
«Come dici?» tossì lui.
«No, nulla. Pensavo che se ti interessa ancora possiamo farlo» lo disse tutto d'un fiato. Non era un esame, maledizione. Perché lui la metteva così in soggezione?
«Farlo?» ridacchiava
«Non fare l'idiota ti prego. Intendo che possiamo parlare - ora era davvero pentita di averlo chiamato - di Josh.»
Si mise un mano a coprirsi gli occhi imbarazzata. Si vergognava della scenata che gli aveva fatto al bar, non era da lei. Era decisa a fare ammenda, nonostante tutto.
«OK, OK, sì, facciamolo» soffiò lui di nuovo. «Quindi verrai al Mistral domani?» aveva abbassato la voce improvvisamente. Ora sussurrava.
«Sì. Certo.» Charlotte sentì una voce in lontananza. Una ragazza forse?

«Non...io non volevo disturbarti. Non...oddio non credevo che... »
Patrick rise «Tranquilla. Una mia amica è passata a riportarmi un libro. Se ne stava andando.»
«OK ci vediamo domani» sbottò.
«Ehi, non penserai che...»
«Che? » sussurrò Charlotte estremamente a disagio.
«Che io e Amanda...» Patrick rise. «Mi ha davvero portato un libro, Charlotte. Non hai interrotto nulla» sembrava molto divertito.
«Ascolta Patrick, vediamoci domani e diamoci un taglio.»
«Perché non ora?»
Charlotte trasalì. «Ora? Non credo proprio che sia il caso.»
«Avanti, ho una bottiglia di vino e un vassoio di formaggi francesi che ti posso portare.» Alzò la voce «Ci vediamo Amanda!» Charlotte sentì la porta chiudersi in lontananza.
«Avanti, ora anche l'elemento di disturbo se n'è andato» rise di nuovo. «Allora che ne dici?»
«Patrick non...maledizione cosa ti dice il cervello?»
«Senti, tuo padre si fida di me, puoi farlo anche tu» fece una pausa. «Ci sarà quella belva pelosa che vive con te, ti farà sentire più sicura.»
Charlotte ci pensò su, guardando Neri.
Lui per tutta risposta le andò incontro scodinzolando e infilando la testa sotto la sua mano. Erano le dieci e trenta e fuori faceva freddissimo. Ma voleva tanto togliersi i dubbi che aveva.
«Ti mando l'indirizzo» se ne pentì subito.
«OK, uhm...ci vediamo tra mezz'ora. Non cambiare idea» e riattaccò.

Charlotte si chiese cosa diavolo fosse appena successo. Come fosse possibile che fosse passata in un'ora dall'odiare Patrick Grant, al correre in bagno per farsi una doccia perché sarebbe stato lì a breve?
Non aveva troppo tempo per pensarci, ma un brivido di agitazione le corse lungo la schiena. Non conosceva bene Patrick, era solo amico di suo padre e di suo fratello, eppure gli aveva appena dato l'indirizzo di casa sua. Una casa dove viveva sola.
«Vuol dire che dovrai pensarci tu, nel caso succedesse qualcosa» affermò rivolgendosi a Neri, che la guardava scodinzolando, percependo la tensione nell'aria.
Charlotte decise di fidarsi del giudizio della sua famiglia, almeno per quella sera, e accogliere Patrick senza condizionamenti.

Abbassò le luci. Le rialzò. Le abbassò di nuovo. Cosa diavolo stava facendo? Non era un appuntamento romantico!
Immaginò che fosse un incontro di lavoro, ma non servì, era ancora nervosa.

Mentre agganciava l'orologio d'oro, suonò il campanello al piano di sotto e Neri abbaiò in modo forsennato, correndo verso la porta fino quasi ad andare a sbatterci contro.
Charlotte corse al piano inferiore dove si trovava l'atrio e si fermò davanti allo specchio dell'ingresso per riprendere fiato.
Il campanello suonò di nuovo e Charlotte guardò nello schermo del videocitofono. Rimase di sasso quando lo vide.

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