Capitolo 16 - Cena per due
Il capitolo seguente contiene scene sessuali esplicite
Charlotte rimuginava nervosa davanti allo specchio.
Erano le sei del pomeriggio, e mancava solo un'ora al suo appuntamento con Patrick.
Se ne era pentita, era in imbarazzo e non avrebbe voluto trovarsi lì. Ma questa volta era diverso.
Non c'entrava Josh.
Era un po' che ci pensava, veramente da quando aveva rivisto Patrick in quel bar con gli amici e aveva fatto finta di non averlo notato. Lui l'aveva osservata da lontano, e lei non aveva saputo come reagire.
Le era montata dentro tanta rabbia ma, non sapeva come, quando alla fine si erano rivisti davanti a un caffè mesi dopo, si era sentita lievemente attratta da lui.
Forse era proprio il ricordo di Josh che, invece di separarli, li univa in un malinconico chiedersi continuamente come sarebbe stata la loro vita se lui non fosse morto.
Adesso, cominciava a chiarirsi dentro di lei la consapevolezza di essere intensamente affascinata da Patrick.
Inorridiva al pensiero, visto tutto il tempo speso a odiarlo, ma dopo il loro bacio appassionato a casa di lui, non era più riuscita a toglierselo dalla testa.
Semplicemente non riusciva ad ammettere di essere passata dalla parte del nemico e si odiava per questo.
Ora si aggrappava disperatamente alla possibilità che lui, alla fine, davvero non c'entrasse niente con la fine di Josh.
Ormai era tardi per pensarci su, le conveniva buttarsi. Quella sera avrebbe chiuso il capitolo su Josh una volta per tutte. Anche suo padre era d'accordo e l'aveva sostenuta durante il pranzo qualche ora prima.
«Non pensarci più, Lottie. Abbiamo tutti sofferto così tanto - aveva sospirato - è ora di lasciarlo andare.»
«Tutto quell'odio finirà per consumarti» aveva aggiunto con aria di sufficienza suo fratello Richard.
Lei si era messa le mani tra i capelli coprendosi la faccia e aveva solo annuito. Era stanca.
Poco dopo si stava osservando allo specchio: aveva raccolto i capelli in una elegante e alta coda di cavallo, e aveva indossato un tubino verde scuro in velluto, molto aderente e a maniche lunghe, visto il gelo che regnava a New York.
Si affacciò alla porta del sontuoso studio di suo fratello Richard, giusto un piano sotto a quello dove, in quel momento, Patrick soffocava il nervosismo con gli highlights di basket.
Suo fratello stava leggendo il rapporto di un arresto indossando solo i boxer e una camicia bianca con il colletto sbottonato, la cravatta disordinatamente poggiata lì a fianco.
«Sì?» le aveva chiesto, infastidito per l'interruzione.
«Sto per uscire.»
Lui l'aveva fissata. «Non fare tardi» aveva sibilato riabbassando lo sguardo sul rapporto. «E per l'amor di Dio, Lottie - aveva esclamato in una smorfia di delusione - cerca di non ammorbare Patrick con le tue lagne!»
Lei gli aveva fatto una smorfia infastidita e due minuti dopo il campanello suonava per rivelarle un Patrick in grande spolvero dall'altro lato della porta d'ingresso.
Indossava una camicia bianca e un completo blu notte sotto un cappotto dello stesso colore, lungo. I capelli castani, morbidi, gli incorniciavano gli occhi color ambra che guardavano Charlotte sicuri e avvolgenti.
Nell'auto, Patrick le parlò della sua giornata, della riunione con Richard e Charles e del futuro dello studio, avvolgendola nel suo profumo muschiato.
Lei lo osservava, rapita dalla sua parlantina brillante, da quel sorriso aperto e da quegli occhi che non avevano paura di incontrare i suoi.
La cena al Per Se fu un'esperienza unica. Il ristorante dello chef Thomas Keller a Columbus Circle regalava una splendida vista su New York e aveva fatto da sfondo alle loro chiacchiere complici, allusioni divertenti e aneddoti interessanti. Ma ormai erano al dolce, e ancora quei muri non avevano sentito nominare Josh.
Fu Patrick il primo a sollevare la questione, davanti a un articolato dessert a forma di sfera.
«E' inutile fare finta di niente, Lottie. So che vuoi delle risposte e io sono qui per dartele.» Le sfiorava una mano, e la guardava malinconico.
«Sono pronta.»
«Vorrei davvero che tra noi non ci fossero più dubbi.»
Charlotte annuì.
Patrick le spiegò che Charles, suo padre, aveva promesso al padre di Josh, un vecchio cliente che si era ammalato ed era morto poco dopo, che si sarebbe preso cura del figlio. Così gli aveva pagato quegli studi che Josh aveva poi abbandonato, e lo aveva affiancato a Richard e a Patrick, quest'ultimo entrato a far parte del trio all'università.
Le raccontò la verità dietro l'arresto, che era tutto un piano nato dalla mente di Richard per proteggere Josh. Le narrò di come, quella notte, lui stesso si fosse prodigato per far stare Josh in una cella da solo, garantendogli il massimo del comfort possibile, e di come avesse allungato una mazzetta agli agenti di turno perché si assicurassero che il ragazzo avesse tutto ciò di cui aveva bisogno.
Josh era disorientato, ma si era calmato all'alba, quando Patrick gli aveva spiegato che sarebbe stato fuori di lì in un attimo e che si sarebbe occupata di tutto la famiglia di Charlotte. A partire dalla sua difesa, in carico a Christopher, arrivato da Londra per l'occasione.
«Purtroppo non siamo riusciti a controllare l'intera operazione. Tuo fratello Chris era molto provato dai problemi che stava avendo in famiglia, e Richard era assorbito da una serie di cause importanti, per cui era dovuto restare a Londra» la osservò sospirando.
«Tuo padre aveva provato di tutto, ma il procuratore Scott non aveva voluto sentire ragioni. Non siamo riusciti a comprarlo, né a fare di più. Purtroppo lo hanno trovato morto in cella, circa tre mesi dopo - appoggiò la tazzina - Il colpevole? Purtroppo lo stesso Josh.»
Charlotte spalancò gli occhi, senza parole. Non aveva mai immaginato che Josh potesse uccidersi. Riuscì solo a chiedere «Ne siete sicuri?»
«Purtroppo aveva abbandonato ogni speranza di uscire, ed era tornato a farsi in cella. Andavo a trovarlo, gli avevo pagato un'assistenza psicologica in carcere, ma non è servito.»
Abbassò lo sguardo. «E' bastata una dose mal tagliata. D'altronde - aggiunse torvo - chi di spada ferisce...»
Charlotte era incredula. «Come mai non avete costretto Scott a ripagare in qualche modo la memoria di Josh?» Pensava che forse si potesse ancora fare qualcosa.
«E' morto due anni fa, Charlotte. Cancro ai polmoni.»
Lei si accasciò sulla sedia, esausta per quella confessione. «Perché non mi avete mai detto nulla? Perché non sono mai riuscita a sapere dove si trovasse?»
«Non volevamo che andassi a trovarlo, ti avrebbe distrutta, e Charles ha spinto perché non accadesse. Speravamo di tirarlo fuori da lì in tempi brevi, ma cazzo...tre mesi sono volati - sospirò - ci ha presi alla sprovvista.»
A Charlotte sembrò aprirsi un mondo davanti, la nebbia che avvolgeva il ricordo dell'arresto ora era sparita, e le aveva rivelato il vero volto di Patrick. Provava ora solo una gran pena per Josh. Ma finalmente comprendeva la ragione dietro tutto quel dolore, quel segreto. La rabbia aveva lasciato il posto a una profonda tristezza e un senso di vuoto.
Patrick la osservava per leggerne le emozioni.
«Stai bene?»
«Credo di sì» era frastornata.
«Andiamo via da qui.» Patrick infilò la carta di credito nel piccolo taccuino con il conto che il cameriere aveva portato nel frattempo, e, alzatosi, si avvicinò a Charlotte per scostarle la sedia.
La aiutò a infilarsi il soprabito che nel frattempo una giovane cameriera aveva portato e la strinse in un fugace abbraccio. Lei si sentì lusingata da quel segno di attenzione.
Nell'ascensore del ristorante restarono in silenzio, a riflettere ognuno sulla prossima mossa.
«Lottie, forse non è la sera adatta...ma - Patrick esitò - ti andrebbe di...»
«Sì, Pat - gli sorrise - mi piacerebbe bere qualcosa con te.»
***
Venti minuti dopo, Charlotte si riscaldava davanti al caminetto dell'appartamento dove alloggiava Patrick.
Si guardò intorno, l'arredatore di suo padre aveva fatto un buon lavoro, certo. Ma quella casa sarebbe stata meravigliosa anche vuota: la neve illuminata dai lampioni ricopriva i prati di Central Park, e lei li guardava dall'alto, estasiata, mentre qualche stella brillava nel cielo nero sopra Manhattan.
Patrick la distolse da quella visione, offrendole una flûte di champagne dorato. Si era tolto la giacca e il papillon e adesso le stava davanti con il colletto della camicia sbottonato.
«Scusami, mi sono messo un po' più comodo. Quel coso - indicò il papillon sul tavolo da pranzo - mi soffocava.»
Risero, brindando a loro due, e alla fine di quell'anno imprevedibile.
Dopo aver sorseggiato lo champagne, Patrick le sfilò il bicchiere dalle mani con delicatezza, lo appoggiò sulla mensola del caminetto e la accompagnò lentamente sul divano, senza mai toglierle gli occhi di dosso.
«Se non mi ricordo male - sussurrò calmo - avevamo un discorso in sospeso, io e te.»
«Non ricordo» mentì Charlotte.
«Vorrà dire che ti rinfrescherò la memoria.»
La baciò lì, sui cuscini del divano. Prima, con piccoli tocchi sulle labbra, e poi con più trasporto, accarezzando saggio la lingua di lei. Anni di attesa si liberarono in quel bacio appassionato, ma Patrick si ripromise di dosare le sue energie per quello che sarebbe venuto dopo.
Charlotte gli sbottonò la camicia, sfilandogliela e scoprendo i muscoli tonici e il busto atletico di Patrick. Lui tirò giù la zip del vestito e glielo sfilò insieme ai collant.
Seminudi, si fermarono a guardarsi intensamente, sfiorandosi.
«Sicura?» chiese lui, con il respiro affannato, pregava che lei dicesse sì e sanasse quel tormento che lo affliggeva da anni.
Lei annuì, lo baciò di nuovo a fior di labbra e gli passò le dita con fare affettuoso tra i capelli.
Si spostarono nella camera da letto, illuminata solo dalla luna che entrava dalla finestra.
In piedi, lui le slacciò il reggiseno, mentre lei gli sbottonava i pantaloni. Erano guidati dall'istinto che li spingeva a baciarsi, a toccarsi ovunque.
Le mani di Patrick cercarono il punto più nascosto di Charlotte e sapienti si fecero strada; le dita affusolate vinsero la resistenza di lei, che dopo un'iniziale incertezza, si fece convincere dai suoi movimenti esperti.
Il corpo di Charlotte era uno scorrevole invito ad andare oltre, un caldo e viscoso sì, urlato sottovoce, mentre le unghie lasciavano segni sulle spalle di lui. Patrick la sollevò di peso, i bicipiti contratti e il petto pulsante.
Sul letto, i loro corpi divennero uno solo, le loro bocche invocarono il nome dell'altro, in un sussurro che si portava dentro l'attesa insopportabile degli sguardi sfuggiti, delle parole non dette e dei baci non dati in tutto il tempo che era passato tra loro.
Patrick entrò dentro di lei, delicato, ma deciso a non perdere un solo attimo. Il respiro di Charlotte accelerò nell'accoglierlo, e per un attimo si guardarono, come per assicurarsi che non fosse un sogno, e in quel momento lui si fermò. «Stai bene?» le chiese.
Lei, in risposta, cercò le sue labbra con le sue e lui riprese, sempre lento, ma continuo, regolare, senza fermarsi mai.
Charlotte, gli occhi socchiusi, si mordeva il labbro per il dolore fisico così tanto atteso, di avere un uomo, di nuovo, dentro di lei. Una lacrima le rigò il viso. «Non fermarti» sussurrò.
La linea sinuosa della schiena di Patrick si muoveva al ritmo dettato solo dal desiderio, le natiche seguivano la forma del corpo di Charlotte, come se non dovessero lasciarla andare più.
L'eco dei loro respiri all'unisono si ripeteva nei movimenti cadenzati. Lento, ma inesorabile, Patrick aumentò il ritmo. Ora non riusciva più a seguirla, vedeva solo il culmine del suo desiderio e vi si avvicinava sempre più velocemente.
Premette il viso contro il cuscino, sopra la spalla di lei, per soffocare i versi di piacere che ormai non riusciva più a controllare. Lei gli mise le mani tra i capelli, tirando a sé con le cosce i suoi fianchi, istigandolo a usare tutte le energie di cui disponeva. Non riusciva a trattenere il suo mugolio, ora sempre più forte, in accordo con i colpi di lui.
Il mondo intorno a lei d'improvviso esplose in mille sfumature, mentre anche Patrick raggiungeva un orgasmo così puro e intenso, da sconvolgerlo in tutto il corpo.
Rimasero abbracciati senza dire niente. Quello che fino ad allora avevano solo immaginato, lei, sognandolo nella vergogna della colpa, lui nella speranza di un evento irrealizzabile, era accaduto. Avevano fatto l'amore.
Supini, le lenzuola stropicciate, lei sfiorava il petto di lui con una mano, ansimante.
«Charlotte, è stato...» iniziò lui incerto.
«...fantastico!» azzardò lei. Scoppiarono a ridere entrambi.
Charlotte sospirò. «Devo andare» disse alzandosi e tirando a sé il lenzuolo.
«Scusa, dove?»
«Te lo ricordi quello alto, biondo...è mio fratello - ironizzò - Sto da lui questi giorni» iniziò a cercare la biancheria sul pavimento.
«Puoi restare a dormire qui...»
«Stai scherzando vero? - sorrise, guardandolo - Richard sa che sono uscita con te. Se non torno si farà tutti i pensieri del mondo.»
Si sedette sul bordo del letto, accarezzandogli i ciuffi, spettinati e bagnati di sudore. «Non voglio sorbirmi il suo sguardo accusatore domattina a colazione.»
«Come vuoi. Quindi ti rivedrò domani sera alla festa?» le aveva preso una mano e la baciava delicatamente, accarezzandola.
«Uhm, sì..un paio di amici mi hanno chiesto di esserci.»
Lui si alzò, per recuperare i boxer da terra. Si avvicinò a lei dopo averli indossati e le prese il viso tra le mani per baciarla sulle labbra.
«Un'altra tacca sulla mia pistola» la prese in giro.
«Hai tante qualità, Pat, ma non sei simpatico - gli sorrise - Buona notte.»
Poco dopo Charlotte entrava di soppiatto nell'appartamento buio e silenzioso di Richard, decisa a non farsi sentire. La porta della stanza di suo fratello era chiusa e da sotto, una flebile luce illuminava la moquette del corridoio. In punta dei piedi Charlotte si avviò verso la sua stanza per infilarsi nella doccia.
Avrebbe lavato via l'odore di Patrick dal suo corpo, mentre si chiedeva se non fosse il caso di lavarne via anche il ricordo.
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