Capitolo 15 - Riposa in pace Josh

Patrick diede dieci dollari di mancia al ragazzo dell'ascensore che gli aveva portato i bagagli fino al ventesimo piano, e fin dentro allo spazioso salotto dell'appartamento che Charles gli aveva messo a disposizione finché sarebbe stato a New York. 

La casa era enorme, aveva cinque camere da letto, tre bagni, una biblioteca e un terrazzo molto ampio, con vasca idromassaggio e solarium.
Patrick sapeva perfettamente che Charles aveva usato quell'appartamento per farci stare le sue numerose amanti, nel tempo, ma pareva che con l'avvento dei settant'anni avesse abbandonato ogni piacere fisico, a parte il tacchino arrosto che Angela, la sua cuoca, gli cucinava ogni domenica.

Si guardò intorno, sospirando mentre il giorno si faceva strada attraverso le finestre. L'atrio dava direttamente sul salone rettangolare che ospitava un divano a semicerchio da otto posti in velluto bordeaux, un pianoforte a coda, un paio di librerie e un angolo bar. Dava sulla spettacolare vista arborea di un Central Park innevato.

Si diresse verso la cucina open space, e aprì il frigo, dove Charles gli aveva fatto trovare provviste per la settimana. Sbuffò annoiato. Il viaggio lo aveva confuso, il tragitto in macchina dall'aeroporto, ancora di più.

Era stupito che Charlotte fosse lì con lui e attraente anche in un'occasione simile. Certo, sembrava stanca, ma i suoi occhi erano brillanti e la sua pelle luminosa e Dio, avrebbe davvero voluto baciarla sul sedile dell'auto, ma aveva paura che lei gli avrebbe tirato un ceffone.
Era un segno del destino che fosse lì, e sarebbe stato un idiota a non approfittarne e invitarla fuori.

Cercò di riflettere sul motivo per cui lui invece, era a New York.
Il corpo di Josh stava per venire spostato dal Cedar Grove Cemetery e, dato che il ragazzo non aveva parenti in vita, la salma stava per finire chissà dove.

L'ufficio del procuratore, che era in contatto con Charles, aveva sollevato la questione ai Cooper e adesso era arrivato il momento di fare qualcosa. Era stato Richard a volerlo seppellire lì, e Patrick ora si doveva occupare di farne sistemare i resti, per evitare che l'amico ne impedisse la sepoltura definitiva nella cappella della famiglia a Calvary.

Il fratello di Charlotte aveva insistito per gestire la cosa, ma alla fine Patrick l'aveva spuntata.
Ci teneva, pensava di doverlo a Josh, soprattutto ora che ci stava deliberatamente provando con la sua fidanzata.

Si sedette sul divano, accese il megaschermo del televisore per sintonizzarsi sulle ultime notizie, e si posizionò il PC sulle gambe. Cercò un indirizzo per qualche minuto e avvisò il concierge che avrebbe avuto bisogno di un taxi da lì a trenta minuti.

Poco dopo era sotto il getto della doccia idromassaggio all'interno di un'estesa salle de bain in marmo rosa. Vi trovavano posto un salottino in velluto grigio, due lavabi lucidissimi e neri, e uno specchio di due metri che rifletteva il corpo nudo e tonico di Patrick. Il profumo intenso e speziato del bagnoschiuma si fondeva a quello dei fiori freschi che trovavano posto sul tavolino in ottone al centro della stanza. Una finestra a tutta altezza, di cui Patrick non si era curato di tirare le tende, faceva entrare la luce.

Si posizionò davanti allo specchio, avvolto dal vapore, e con l'avambraccio ne lucidò una porzione. Gli addominali tonici, il petto liscio e muscoloso, le spalle ben delineate. Ogni tratto di pelle era ricoperto da goccioline che rapide scivolavano lungo le linee scolpite delle sue cosce tornite, delle natiche sode e poi giù, fino ai piedi.

Scosse la testa con vigore, per liberare i capelli dall'acqua, si asciugò e, sempre nudo, si diresse in cucina, dove prelevò una bottiglia di acqua dal frigorifero a doppia anta in acciaio.

Patrick era perfettamente conscio del suo aspetto, vedeva bene le occhiate interessate che le donne gli lanciavano per strada, nei negozi, in palestra. Non aveva problemi a mostrarsi e ad ammettere di essere attraente, ma non era quello su cui puntava.

Voleva che a spiccare fosse la sua personalità, la cura che usava nel scegliere i suoi abiti, il fatto che fosse sempre ben rasato, e la sicurezza che metteva nel suo tono di voce, nella sua erre arrotata. Il suo senso dell'umorismo spiccato, il sorriso aperto che rivolgeva al presentarsi, la sua cultura, erano il suo punto forte. Se il tutto poi era contenuto in un involucro di indubbie doti estetiche dallo stile ricercato, tanto meglio.

Trenta minuti dopo era nel taxi, diretto al Cemetery board office di New York, che si trovava a Brooklyn. Sarebbe stata dura riuscire a convincerli di riportare il desiderio del defunto, ma, per Josh, ce l'avrebbe messa tutta. Era il minimo.

***

Quella notte di tre anni prima, Patrick dormiva profondamente nel suo letto. L'appartamento di New York in cui viveva era avvolto dall'oscurità. Meghan gli sfiorava una mano con un gomito, il respiro profondo e regolare.

Si vedevano da qualche settimana: lei, una giovane broker dai capelli scuri, stava facendo progetti per l'estate insieme, lui ancora non conosceva il suo cognome. Di sicuro, almeno lo aiutava a distrarsi dalla marea di casini che lo stava travolgendo.

Il suo amico Josh si era infilato in un giro da cui non riusciva a uscire: a una festa, aveva venduto della droga tagliata male al figlio ventenne di un membro dei Diablo's, una banda di malavitosi peruviani di Staten Island, e adesso il ragazzo era morto. Josh doveva sparire, ma Patrick non sapeva dove nasconderlo.
Poi, a Richard era venuta un'idea e Charles aveva dato la sua approvazione.

Il telefono sul comodino trillò.
Meghan si girò dall'altra parte con un lamento, mentre Patrick si sporgeva sopra di lei per afferrarlo.
«Pronto» bofonchiò.
«Siamo pronti, Signor Grant» confermò una voce metallica dall'altra parte.
«OK sto arrivando, datemi quindici minuti.»
Riagganciò sospirando, e si fece forza per alzarsi. Indossò i boxer, una camicia bianca e il completo scuro che avrebbe dovuto indossare l'indomani per un'udienza, si diede una veloce sistemata ai capelli, agganciò l'orologio e prese le chiavi dell'auto.

Quando arrivò all'elegante complesso residenziale dove viveva Josh, Patrick venne accolto dal responsabile delle forze speciali della polizia. Gli porse un giubbotto antiproiettile, ma lui rifiutò. 
«Non sparerà, glielo lo garantisco.»
«Il soggetto ci risulta imprevedibile, Signor Grant.»
«Non indosserò un cazzo di giubbotto antiproiettile, adesso me lo tolga dalla faccia.»
«Come vuole» brontolò l'altro. «Saremo in sede in tre minuti esatti, i miei uomini sono già pronti.»
«Avanti, non rendiamo tutto così ufficiale - rise - Josh non è pericoloso.»
«Seguiremo la procedura regolare, Signor Grant, comando io l'operazione. Le ricordo che se siamo qui, è solo per l'intervento del Signor Cooper. Quindi lei seguirà gli ordini che le darò.»
Il capo si allontanò, mentre Patrick scuoteva la testa. Accese una sigaretta, aveva due minuti e mezzo.

Pensava che l'idea di fare arrestare Josh senza avvertirlo di nulla, fosse grandiosa.
Se i Diablo's avessero saputo che l'amico era stato preso e non prevedeva di lasciare la cella per molto tempo, lo avrebbero lasciato in pace, o almeno gli avrebbero dato il tempo di riorganizzarsi e sparire.

Aveva insistito lui, per esserci, perché voleva essere sicuro che Josh fosse trattato con dignità, dalla polizia. D'altronde era pur sempre uno spacciatore, e l'unico motivo per cui ancora girava libero era che Charles aveva convinto i piani alti delle forze dell'ordine a chiudere un occhio sulle sue malefatte.

Patrick si rese conto ancora una volta di come l'amore di Charles verso Josh fosse davvero quello di un padre, il più autentico e drammatico verso un ragazzo che, per quanto ci avesse provato, non riusciva a trovare una strada dritta su cui incamminarsi, e continuava a inciampare.

Un altro agente gli si piazzò davanti.
«L'operazione durerà sette minuti. - affermò deciso - Le chiedo di restare indietro e di seguire religiosamente i nostri ordini.» Patrick rise alla parola religiosamente vista la quantità di imprecazioni che aveva sentito dire ai poliziotti negli ultimi cinque minuti e mezzo.
Annuì al poliziotto e gettò la sigaretta. Erano le tre e un quarto.

In pochissimo tempo e senza emettere un fiato, l'intera squadra si trovò davanti alla porta di Josh. Un poliziotto esperto scassinò la serratura elettronica con uno strumento a fusione e qualche secondo dopo, Patrick era in fondo al gruppetto di poliziotti in tenuta d'assalto che presidiava la camera da letto. La porta si spalancò.

«Oh no.»
Restò di sasso davanti a quello che vide: quella era Charlotte, cazzo!
Non doveva assolutamente essere lì. A quanto sapeva, i due si erano lasciati, e l'informatore che pedinava Josh sapeva che il ragazzo sarebbe stato solo quella notte. L'ira di Charles non avrebbe avuto limiti.

Il suo stupore fu interrotto dalle urla della ragazza, mentre il prigioniero, ignaro dello scopo dell'operazione, invocava a gran voce un avvocato.

Sei minuti dopo, Patrick sbarrava la strada a una disperata Charlotte. Era nuda, e la sua pelle bianca riluceva al chiarore della luna che entrava dalle tende scostate.
Patrick non riuscì a dirle niente, a parte di non muoversi. Cercò di abbracciarla, per coprire il suo seno, ma riuscì solo a prenderle i polsi e a farla sentire in trappola.

«Lasciami subito!» gli ordinò lei.
Lui la girò su se stessa stringendola, la sua schiena premette contro di lui. La sentiva fremere, dimenarsi, scossa da violenti singhiozzi. I capelli lunghi e biondi, umidi di lacrime, profumavano di lavanda e vaniglia e lo inebriarono di piacere.

Tentò un'ultima volta di abbracciarla, resistendo all'impulso di portarla via con sé. Charlotte si accasciò sul pavimento, e lui la accompagnò perché si appoggiasse al muro del corridoio.
«Ti prometto che non gli succederà nulla. Ci prenderemo cura di lui» le sussurrò all'orecchio.

Silenzio.
Patrick uscì dalla porta dell'appartamento e, nel socchiuderla, vide Charlotte per l'ultima volta, in ginocchio, sul pavimento, distrutta. Non piangeva più e fissava il vuoto.

Doveva chiamare Richard e farla recuperare subito, pensò, mentre si avviava con la sua auto alla stazione di polizia di Brentwood, per finalizzare l'arresto di Josh, in qualità di suo avvocato.
Il fratello di Charlotte e Richard, Christopher, avrebbe preso in mano le pratiche del rilascio su cauzione per ritardarle il più possibile, e permettere a Josh di trovare una sistemazione.

***

«Quindi, mi scusi, lei non è un parente, giusto?» l'impiegata di mezza età dell'ufficio sepolture lo stava facendo ammattire, fissandolo da sopra le lenti a mezzaluna.
«Per la quinta volta, no. Sono un amico, ho solo preso in carico le sue volontà.» Lei lo guardò con una smorfia sospettosa, masticando a bocca aperta una Big Babol.
«Ascolti - guardò la targhetta sul petto di lei - Juanita, sono un avvocato. Ho i documenti della sepoltura, lei deve solo firmare il rilascio della salma.» Si sporse in avanti. «Avanti, Juanita, non vorrà far spedire il mio amico chissà dove, vero?»
«Qui dice che Richard Cooper ha chiesto un trasferimento al Woodlawn Cemetery - lesse da sopra le lenti degli occhiali - è lei, Richard Cooper?»
Patrick decise di tentare, era intontito. «Sì, sono io. Ho lasciato i documenti in hotel, perché ora vivo in Italia, molto lontano da New York. » Premette la pronuncia su New York. «Vorrei solo sistemare il mio amico nella cappella della mia famiglia a Calvary, entiendes
Funzionò.

«Fermo, fermo, non serve che stia qui a blaterare. Ho capito. Ecco il documento firmato, Signor Cooper. Ci farà avere i suoi documenti in seguito, per la verifica. Potrete disporre della salma  come preferite, ma dovrete occuparvi di tutto voi, e la pratica...»

Patrick aveva sconfitto il drago. Ora Josh poteva essere spostato definitivamente nella cappella dei Cooper e forse, pensava, il suo spirito li avrebbe finalmente lasciati in pace.

Quel pomeriggio avrebbe dovuto vedere Richard e Charles per una noiosa riunione sul gruppo di studi legali. Poi quella sera, avrebbe finalmente portato Charlotte a cena.
Era la sua occasione e non doveva sprecarla, lei non gliene avrebbe data un'altra.
Si accese una sigaretta e attraversò a piedi la strada a passi lunghi, per entrare in un piccolo parco innevato.

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