Capitolo 10 - Discorsi tra ragazze
Dionne rimise a posto il tester di mascara. «Beh, mi pareva di aver capito che lo odiassi» si voltò verso l'amica. «Non riesco a starti dietro!» ridacchiò, cercando di non offenderla.
Charlotte si innervosì. Solitamente la sua miccia era cortissima ed esplodeva subito, ma non era colpa di Dionne se la situazione si era ribaltata nel giro di poche settimane.
«Insomma sì, lo odiavo, lo odio, cioè... - cercò le parole verso il soffitto - non è che lo odio. Ma di sicuro non posso far finta che la sera dell'arresto di Josh non ci fosse anche lui!»
«Parla piano, maledizione, ci guardano tutti» sussurrò infervorata Dionne, mentre afferrava le mani dell'amica che nel frattempo si agitavano, pericolosamente vicine agli espositori di make-up. Si avviarono verso la cassa.
«Sono duecentosettantacinque e cinquanta» gorgheggiò la commessa sorridendo e porgendo a Dionne il lettore carte. Dionne la guardò stranita. «Giuro che, se con tutto quello che spendo in cosmetici non mi sposa...» ringhiò mentre scuotendo la testa digitava i numeri del pin.
Charlotte le era a fianco e le teneva le buste del resto dello shopping, mentre nell'altra mano aveva il guinzaglio di Neri.
Dionne era la migliore amica barra collega barra confidente di Charlotte e si erano conosciute nella redazione del giornale con cui collaboravano, una mattina di maggio di tre anni prima. Era l'unica persona di cui si fidava, ma anche quella che la metteva più in soggezione, semplicemente perché a Dionne non fregava niente, di niente, mai.
Era un'esplosione di bellezza afrocamericana, aveva trentacinque anni e, come Charlotte, lavorava come giornalista, ma si era costruita una carriera nel campo della moda. Era capitata a Trieste per un congresso cinque anni prima, e ci era rimasta perché lì aveva conosciuto Ray, quello che adesso era il suo fidanzato e quello che cercava invano da anni di convincere a sposarla.
Uscirono dalla profumeria, Dionne scuoteva i lunghi capelli ondulati e posticci. Andava molto fiera delle sue parrucche, alcune delle quali valevano decine di migliaia di dollari.
«Quello che intendo, Lottie, è che non puoi credere a tutto quello che la gente ti dice - affermò mentre camminavano lungo l'ampio marciapiede - devi credere solo a quello che sai per certo.»
Charlotte aggrottò le sopracciglia. «OK, so per certo che lui era lì.»
«Perfetto, lui c'era» Dionne aprì la porta del bar ed entrò, seguita da Charlotte. «Ma come sai per certo che dietro a quell'arresto ci fosse la voglia di far fuori il tuo fidanzato?»
Si sedettero ad un comodo divanetto rosso e aprirono i menu.
Charlotte era sempre più confusa. Non aveva in mano nulla di certo. Aveva fatto delle supposizioni, negli anni. Ma come poteva verificare una cosa simile?
«OK non posso saperlo di sicuro....ma quel ghigno che aveva sulla faccia Patrick finché mettevano le manette a Josh...» Charlotte strinse i pugni.
«Calma ora. Non sto dicendo che Patrick sia un santo. Ma non puoi condannarlo. Sai come si dice, sei figlia di un avvocato.»
«Innocente fino a prova contraria» recitò Charlotte. «Parlerò con mio fratello appena sarà arrivato qui. Lo vado a prendere stasera.»
«Non tartassarlo di domande, ma se vuoi stare tranquilla, inizia da lui.»
Dionne abbassò il menu per guardarla negli occhi. «Non correre subito da papino.»
«Io non... - Charlotte fece una faccia offesa - corro subito da papino.»
Dionne le indirizzò un eloquente sguardo di sbieco che le fece spalancare la bocca.
«Ti sbagli, Didi...ok forse qualche volta ho chiamato mio padre per qualche problema che dovevo risolvere e...»
«Tipo quando ti si è bloccata la carta di credito?» Dionne ridacchiava. «O quando la lavanderia ha rovinato le tue lenzuola nuove? Accidenti Lottie, lo hai chiamato finché era a New York per chiedergli cosa dovevi fare con un ragno che avevi trovato dietro ad una tenda!»
Dionne mise in bocca un lembo del suo pancake e continuò, appoggiando un gomito sul tavolo e facendo assumere alla sua forchetta un movimento molto giudicante. «Devi imparare a prendere decisioni da sola. Prima c'era Josh e adesso corri da tuo padre ogni volta che ne hai l'occasione.» Abbassò la voce. «Io ti voglio bene, sai che è così. Ma vorrei vederti serena per una volta e non appesa alle scelte che qualche uomo fa al posto tuo!»
Charlotte aveva ancora la bocca spalancata e non sapeva cosa dire. Abbassò lo sguardo sul suo piatto di frittelle.
«Hai ragione - sussurrò - sono debole, cazzo» alzò lo sguardo. «Voglio essere libera, ma non so come si fa. Ogni mattina mi sveglio e Dio, ti giuro, lui è lì, Josh è lì, mi guarda maledizione, e mi dice che è colpa mia, se lui è morto, è solo colpa mia!»
Dionne le prese una mano dall'altra parte del tavolo. «Lo so che è dura, sai. Vedere il tuo ragazzo picchiato, ammanettato, sentirlo urlare, vederlo mentre lo trascinano via - abbassò gli occhi - e dopo tre mesi scoprire che è morto.»
Charlotte si stava innervosendo. In quegli anni, le persone che le erano vicine erano solo state in grado di dirle di stare calma. Stai calma, stai calma, stai calma. Ma nessuno le aveva mai detto come farlo.
«Didi, sono confusa, non so che devo fare. Con Patrick tra i piedi adesso...»
«Ascolta, lascia che ti dica una cosa.» Dionne si tirò su, incrociò le dita sotto il mento, il bel viso scuro disteso, lo sguardo intenso. «Ma non ti farà piacere sentirla.»
Charlotte la scrutò, cercando di capire dove quella conversazione sarebbe andata a finire. Decise semplicemente, per una volta, di ascoltare in silenzio. Era pronta alla perla di saggezza di Dionne. Si guardarono intensamente, mentre l'amica prendeva fiato e...
«Josh era uno stronzo!»
Charlotte rimase impietrita. Dionne riprese fiato, si sistemò il colletto della camicia, aggiustò il ciuffo di capelli bruni. Tossicchiò. Dopo qualche secondo scoppiarono entrambe in una fragorosa risata.
«Dio santo, Charlotte, non sei l'eroina di un romanzo vittoriano! Josh era un bastardo, ti ha tradita per anni, era sobrio un giorno a settimana, e negli altri sei cercava di diventare il nuovo Pablo Escobar! Che cosa ti aspettavi che succedesse?»
Dionne si asciugò gli occhi con un fazzoletto, soffocando le risate. «Hei, lo so, non dovrei ridere, ma è talmente assurdo!»
Charlotte era senza parole, mentre ridacchiava perplessa per l'imbarazzo della situazione. Il suo sorriso iniziò a spegnersi. «Caspita, hai ragione» sussurrò.
Dionne le prese una mano. «Senti, non è colpa tua se ci sei cascata. Cioè un po' sì, ma chi non ha fatto stupidaggini nella sua vita? Eri giovane e, diciamocelo, lui sembrava un surfista appena uscito dall'oceano. Era una specie di Dio, affascinante, bellissimo e scommetto che a letto era favoloso.»
Dionne si abbassò sul tavolo.
«Ma questo non basta per farne un santo Charlotte, proprio no - sospirò - Josh è morto solo perché pensava di essere onnipotente, perché vendeva la droga alla gente sbagliata, e pensava di non dover sottostare a nessuna regola, compresa quella di tenerselo nei pantaloni ogni tanto!»
«Didi!» Charlotte rise di nuovo, semplicemente perché tutto quello che usciva dalla volgare e diretta bocca di Dionne Ross era vero. «Cavoli devo andare, ho una call tra venti minuti» esclamò improvvisamente.
«Vattene pure, abbandonami qui da sola» piagnucolò Dionne, ma sorrise subito, facendole l'occhiolino.
Charlotte si avviò verso la porta del locale ed era già in strada quando Dionne saltò sulla sedia urlandole «Ricordati la cena!»
Charlotte le fece segno OK con la mano e si avviò verso casa. Tra poco il suo editore l'avrebbe chiamata per la riunione di uscita del pezzo. Si era completamente dimenticata della tradizionale cena di Natale da Dionne, il 24 Dicembre.
Iniziò a pensare a cosa avrebbe indossato e si ripromise di chiedere all'amica la lista degli invitati di quest'anno. Voleva essere preparata.
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