Il Principe e l'Antenato
Nella terra dura e fredda
giaci principe crudele.
Lance e ossa vegliano
il tuo sonno greve.
Ma quando il tuo sangue
più non regga la corona;
e Walpurga ti sia
terra straniera:
furia saranno le tue lacrime,
tetro il tuo mattino.
Gli occhi desti
nello sguardo ferino.
A mezza voce e con le labbra appena schiuse, Bogdan pronunciò l'antico monito che di padre in figlio era giunto sino a lui. Era una formula quasi spontanea, nel rimirare l'arazzo che coronava la sala del trono. Su di esso era ritratto l'antenato, che con sguardo sprezzante e cipiglio fiero cavalcava verso la battaglia, in testa ad un esercito di cadaveri impalati. La stretta treccia bianca garriva al vento, lasciando scoperte le orecchie puntute. Il corpo asciutto era avvolto dalla scura pelliccia di warg... la stessa che ora pesava sulle spalle incerte del suo ultimo discendente. Forse per un curioso automatismo, Bogdan si portò le mani ai lati della testa, sfregando fra le dita le punte tozze e smussate delle sue orecchie. Cos'era rimasto di quella fiera e antica stirpe, che per dieci secoli aveva regnato sulle terre maledette di Walpurga? Solo e soltanto lui, un relitto dalla pelle grigio stinto e i cui capelli giallastri scendevano lungo la schiena, in ciocche scomposte. Lui, sterile e tanto cagionevole da sembrare sempre sul punto di spezzarsi.
In un moto di amarezza strisciò lontano dallo sguardo severo del suo avo, sporgendosi con il viso oltre la piccola finestra affacciata ad ovest del castello. L'aria fresca della sera gli baciò le guance come per accoglierlo a quello sterminato panorama: il dedalo di alberi dalle chiome nere e contorte; l'anello montuoso del Nibelhung, nel cui intrico di grotte e gallerie si sussurrava fossero celate creature grottesche. E infine Rocca del Corvo, eretta come un decadente gioiello sulla natura selvaggia. Dalla cima dell'altopiano sopra il quale era stata costruita, si levava verso il cielo notturno con le sue torri simili a dita ossute e per artigli cupe guglie ricurve. L'oscurità celava allo sguardo il cortile, ma esso era ancora vivido nei ricordi da bambino di Bogdan: lo chiamavano il Boschetto delle Ossa. Secondo le leggende, l'antenato aveva stabilito che i suoi nemici in vita vegliassero gli infiniti giorni della sua morte. L'odore dolciastro della decomposizione, che da tempo aveva abbandonato quei luoghi, pure rimaneva come un sottofondo al profumo di muschio e terriccio.
Con un movimento controllato, Bogdan si distaccò dal davanzale, facendo scricchiolare le proprie giunture. Troppo a lungo aveva indugiato nelle ombre del passato e l'ora si era fatta ormai tarda. Con passo lento lasciò la sala del trono, non prima di aver rivolto un cenno di ossequio all'arazzo. Lungo i corridoi le colonne di pietra disadorna sembravano rivolgergli un saluto, oscillando nella luce delle torce. Le guardie di pattuglia, armate di tutto punto, chinavano il capo al suo passaggio, pronunciando ossequiosi "maestà" con voce appena appena udibile pur nel totale silenzio.
Risalì le scale a chiocciola, con la mano destra che strisciava contro la parete. Il fiato di tanto in tanto gli si fermava a metà della gola e allora il principe si arrestava, cercando di carpire un respiro più lungo con la bocca, prima di ripartire. Una volta nei propri quartieri, infilò la porta che dava sulla camera da letto: eccole lì, le sue personali quattro mura. Le uniche in cui poteva dismettere i panni del principe e rindossare quelli di un elfo comune. Con un gesto si sfilò la cappa di warg, affrancando le spalle del suo peso. Tirò un sospiro di sollievo e ripose le vesti, insieme alla spada ornamentale. Nudo si abbandonò fra le lenzuola cremisi, pregando dentro di sé che il sonno venisse al più presto per lenire gli acciacchi e i dolori della carne.
Troppo tardi Bogdan scorse le ombre di seta purpurea e i volti celati da maschere intarsiate. La fredda luce della luna baluginò sulle lame serpentine, che scavarono nella carne alla ricerca del sangue... del suo sangue. Un tempo nessun essere mortale avrebbe mai osato levare le armi contro un principe di Walpurga, pur se nudo e disarmato. Ma quei tempi erano lontani, quei tempi erano dimenticati.
Il principe morì da disgraziato, proprio come aveva vissuto, e soltanto i corvi resero omaggio al suo cadavere, gracchiando in coro mentre seminavano ombre e piume nere. Innalzandosi in volo dai merli del castello, sino alla rocca che portava il loro nome.
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