Capitolo 7

«Tutto bene?» chiese Gabriel preoccupato. La ragazza girò la testa di scatto, cacciò un urlo e poi si mise una mano davanti alla faccia. Gabriel poté vedere solo per un istante il suo volto pallido ricoperto da lacrime fresche.

«Cosa ci fai qui?» chiese Gabriel, ma non ebbe risposta.

«Forse il mio francese non è comprensibile?» chiese ancora. Fu allora che Gabriel, pensando di aiutarla, si diresse verso casa a chiamare aiuto. Non fece che pochi passi che sentì la ragazza dire:

«Ti prego non farlo, lasciatemi in pace.»

«Ah allora non te l'hanno mangiata i topi la lingua.» E di nuovo la ragazza non disse nulla ma riprese anche a singhiozzare. Gabriel rifletté qualche minuto fissando compassionevolmente quel volto rigato dalle lacrime, provava un immensa pena per quella ragazza e avrebbe voluto fare qualcosa per aiutarla. Gli venne allora un'idea:

«Vuoi andartene da qui non è vero?»

La ragazza smise di colpo di piangere e guardando il giovane con gli occhi rossi e ricoperti di Lacrime disse:

«Si!»

«Allora alzati in piedi e aspetta un minuto.» e così dicendo Gabriel le tese la mano. La ragazza afferrò la mano di Gabriel e solo allora lui si accorse di quanto fosse sottile e fredda. Gabriel osservò anche il suo vestito da festa, era molto sporco di un misto di lacrime e terra da renderlo molto sgradevole alla vista.

«Non te ne andare da qui.» disse Gabriel. E la ragazza con un ultimo singhiozzo, annuì. Gabriel entrò di corsa e slegò Aguacero, ormai con la sella pronta e lo portò fuori la stalla tenendolo per le redini. Quando la ragazza lo vide arrivare rimase a bocca aperta, Gabriel montò sul cavallo e con un colpo di briglia lo fece avvicinare a lei.

«Non avere paura» disse Gabriel ma la ragazza impaurita fece un passo indietro.

«Avvicinati e metti un piede dentro la staffa.»

La ragazza fece come gli venne suggerito e Gabriel con uno sforzo la aiutò a sollevarsi tenendola per il braccio.

«Dove mi aggrappo?» chiese la ragazza che, seduta in bilico di fronte alla sella, ebbe paura di cadere.

«Non preoccuparti...» disse Gabriel prima di dare un colpo di sperone al cavallo.

«Ci penso io.»

Ed Aguacero partì alla volta di una lunga strada polverosa che aveva ormai percorso dozzine di volte. Cavalcò veloce per qualche chilometro, poi per rendere il viaggio più confortevole, mise il cavallo al passo. Non ci fu alcun dialogo durante il percorso, solo Gabriel disse un «Ci siamo quasi, qualche minuto e ci fermeremo.» Entrò con Aguacero al passo in un bosco poco fitto di vegetazione e fermò il cavallo di fronte ad un piccolo fiumiciattolo di acqua limpida. Gabriel scese per primo senza allontanarsi dal punto in cui toccò terra, si girò immediatamente per evitare che la ragazza potesse cadere e le mise le mani sui fianchi. Con grande sforzo ma al contempo aiutato dalle leggerezza della fanciulla, l'aiutò a scendere delicatamente e a poggiare i piedi esili sul prato.

«Vieni qui.» le disse e tenendola per il braccio, l'accompagnò nei pressi del fiumiciattolo.

«Inginocchiati come me.» disse ancora Gabriel inginocchiandosi di fronte all'acqua. La ragazza seguì il suo consiglio e si inginocchiò al suo fianco. Gabriel prese una manciata d'acqua e se la gettò sul volto, provando un enorme sollievo. Poi girò la testa ridendo e incrociò lo sguardo della ragazza che lo scrutava impacciata.

«Dai anche tu.» le disse, ma la ragazza non disse nulla.

Fu allora che Gabriel prese iniziativa e le gettò dell'acqua sul volto. Lei fece come per lamentarsi ma non fece in tempo a farlo che un altra manciata d'acqua le bagnò il volto.

«Adesso bevi.» disse Gabriel mettendo le mani a forma di conca e portando l'acqua del fiumiciattolo alla bocca della ragazza. Aiutandosi anche con le sue mani la ragazza bevve da quelle di Gabriel.

«Va meglio adesso contessa?» chiese Gabriel mentre stava bevendo. Finito di bere la ragazza si asciugo la bocca con il braccio e annuì.

«Però ti prego, non chiamarmi contessa.»

«D'accordo, ma non so il tuo nome.»

La ragazza cercò di darsi una sistemata ai suoi capelli dorati e disse:

«Mi chiamo Eméline...e tu sei il fratello di Julio vero?»

«Mi chiamo Gabriel e sono un de la Fuente, il fratello di Julio.» rispose Gabriel sorridendo.

«Mi sembra tutto un incubo.» disse Eméline con uno sguardo cupo e poi aggiunse «a volte penso che dovrei farla finita.»

«Perché dici questo?» disse Gabriel.

«Ma sono appena una bambina e loro hanno già scelto il destino, per quale motivo mi chiedo? Voglio solo essere felice.» concluse con voce tremante la frase Eméline che gli occhi si bagnarono.

«Beh, piazzata assieme a mio fratello proprio non ti invidio. Lo sopporto a malapena io da quindici anni, figuriamoci tutta una vita.»

Eméline cominciò nuovamente a singhiozzare. Gabriel si sedette più vicino a lei e le diede una carezza.

«Dai, forse con te non sarà così terribile.»

«Tuo fratello è un ubriacone, non mi ha nemmeno rivolto la parola, io non lo voglio questo matrimonio, voglio essere libera capisci? Libera!.»

Gabriel non seppe cosa rispondere, era un quesito che nemmeno lui riusciva a comprendere. Parlò allora del suo di dramma.

«Beh se ti può consolare almeno non ti sbatteranno dentro un monastero appena compirai la maggiore età.»

«Forse avrei preferito un monastero a tuo fratello, almeno potrei starmene da sola.» esclamò Eméline singhiozzando, e poi disse ancora.

«Non sono che una bambina, ti prego Gabriel, scappiamo via e andiamo dall'altra parte del mondo!»

«Per fare cosa?»

«Non lo so, ma io qui non voglio stare.»

«Non so se sia una buona idea, troverebbero il modo di trovarci e sarebbero guai allora.»

«Chi se ne importa.» rispose Eméline smettendo di singhiozzare e pulendosi il volto con le lacrime.

«Moriremmo di fame perché io non so cacciare e tu sei già magrissima così.»

«Non è vero che sono magra.» rispose arrabbiata Eméline.

«Si che lo sei, Aguacero non si è nemmeno accorto che siamo saliti in due sopra di lui.» Eméline si girò a guardare stupita il cavallo ed indicandolo chiese.

«Aguacero è il suo nome?»

«Si.»

«In effetti con tutte quelle macchioline nere sembra proprio un acquazzone.»

Aguacero si era messo a brucare l'erba vicino a loro dal momento in cui si erano fermati, ma appena sentì il suo nome drizzò le orecchie continuando a brucare avidamente.

«Se mio padre ci trova qui, saremo in tre a fare una brutta fine, io te e il cavallo.»

«Oh no, non vorrei che succedesse nulla al cavallo, ma non ti preoccupare, ho detto ai miei genitori che dormivo e chiudendo la stanza a chiave sono uscita dalla finestra.»

Gabriel si fermò a riflettere e poi disse.

«Sei in gamba per essere una femmina Eméline.»

«Grazie Gabriel!» rispose entusiasta.

I due rimasero a parlare della loro vita per diversi minuti, quando si furono detti abbastanza e il silenzio li travolse a Gabriel venne un idea.

«Dimmi Eméline, ti piace la musica.»

«Oh si, adoro la musica.» rispose Eméline. Gabriel tirò fuori dalla custodia in pelle il suo strumento musicale. La giovane rimase ammutolita, al fianco di Gabriel, ascoltandolo suonare. Non solo dal flauto usciva una melodia meravigliosa ma anche il cavallo ne sembrava contagiato e cominciò ad avvicinarsi a loro. Eméline ne rimase completamente sbalordita, cominciò a battere le mani a tempo di musica ridendo e dopo pochi minuti, quando fu stanca di battere le mani, appoggiò dolcemente la testa sulla spalla di Gabriel che continuò a suonare imperterrito. Solo dopo una mezz'oretta, quando smise di suonare, Gabriel si accorse che la ragazza si era addormentata. Gabriel lasciò scivolare lentamente la sua testa tra le ginocchia per farla stare più comoda ma lei non si accorse di nulla e continuò a dormire. Solo allora vide che il suo viso, che sino ad un ora prima era così pieno di preoccupazioni, cosi poco consone ad una ragazza della sua età, si mostrava adesso sereno e luminoso. Gabriel tirò un sospiro di sollievo, anche se nel suo cuore sapeva che presto sarebbero cresciuti velocemente.

«Gabriel.» disse Eméline aprendo gli occhi.

«Dimmi.» rispose lui.

Tirò su il suo esile corpo e mettendosi seduta a fianco a Gabriel lo strinse forte a sé con tutta la forza che aveva a disposizione. Gabriel si sentì in imbarazzo e non disse nulla, limitandosi a strofinarle la schiena con le mani.

«Forse è ora che andiamo.» disse disse lei dopo essere rimasto nel suo abbraccio per qualche minuto.

«Credo sia il momento.» rispose lui. Si alzò prima Gabriel e tese la mano alla ragazza per aiutarla a mettersi in piedi, poi dopo essersi avvicinato ad Aguacero, montò sul cavallo.

«Metti un piede nella staffa, dai che ce la puoi fare.» Eméline cominciò a ridere nel buffo tentativo di centrare la staffa. Gabriel con l'energia della sua giovinezza e le tante ore che aveva dedicato all'allenamento, la tirò su con tutta la forza, sollevandola delicatamente cingendole le braccia. Eméline sorrideva ancora mentre Aguacero partiva sulla via del ritorno. La notte stava scendendo lentamente e l'oscurità li avrebbe nascosti agli occhi indiscreti. Trovarono solo un paio di braccianti addormentati ubriachi per terra che non fecero caso a loro né al cavallo che andava al passo. Gabriel lasciò Aguacero legato a un albero e preferì avvicinarsi al palazzo a piedi con Eméline che lo seguiva. Fecero molta attenzione a non essere visti da nessuno e si avvicinarono proprio sotto la finestra da dove la ragazza era sfuggita poco prima. La finestra era molto bassa e grazie al piccolo aiuto di Gabriel, Eméline riuscì a risalire. Una volta dentro la ragazza si affacciò alla finestra, poco di fronte a Gabriel.

«Gabriel?»

«Dimmi.» Gabriel si sentì afferrare la testa e spingere contro le sue labbra per pochi istanti.

«Grazie.» rispose Eméline per poi scomparire nel buio. Gabriel sorrise nel buio e rimase ancora a guardare la finestra vuota per qualche secondo. Fu allora che si voltò e furtivo ma non troppo, saltò in sella al suo cavallo e lo riportò nella stalla. Entrando, diede un'occhiata nella penombra per vedere se Yago fosse stato lì ma non vide nulla, tirò un sospiro di sollievo. Sapeva di non aver mantenuto la sia promessa. In fondo pensò, non contava niente per lui quel povero mendicante.

Legò Aguacero e gli diede la buonanotte con due pacche sulla zampa. Il cavallo rispose nitrendo dolcemente. La mattina, una carrozza di legno arricchita di rifiniture dorate, si portò via la famiglia Duval, assieme ad Eméline. A svegliare Gabriel fu proprio il rumore della carrozza che veniva trainata sulla strada. La guardò uscire dalla finestra, non sapendo quando e se sarebbe tornata, pensando a quanto curioso fosse stato il loro incontro che gli aveva messo addosso felicità e tristezza contemporaneamente. Una scorta di sei cavalieri, tutti ricoperti da un armatura scintillante con l'elmo legato al fianco del cavallo scortavano la carrozza. In una scia di polvere sparì dietro un uliveto.


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