Capitolo 29


Padre Justin aveva appena finito di distribuire del cibo ai bisognosi di Gerusalemme che rientrando in chiesa trovò Gabriel intento a pregare.

«Mi stavo giusto domandando dove foste finito.» disse il prete.

«Chiedo scusa se me ne sono andato senza preavviso, ma vi sono grato per l'ospitalità.»

«L'importante è che ora stiate bene, Cavaliere.»

«Ho bisogno di un favore padre.»

«Ditemi.»

«Vorrei far recapitare questo sacchetto alla madre del mio scudiero Cesar, e so che voi lo avete già aiutato in passato con la corrispondenza.»

E così dicendo Gabriel porse un sacchetto pieno di monete d'oro al prete.

«Non sapevo che il vostro scudiero fosse un uomo così fortunato. Ma non vi preoccupate perché nelle mani dei miei pellegrini qualunque valore è al sicuro.»

disse il prete con aria preoccupata.

«Perché sembrate triste padre Justin?»

«Purtroppo è successa una disgrazia.»

«Volete parlamene?»

«Si, certamente. Qualcuno, non so se malintenzionato o bisognoso, ha rubato dalla cassetta delle mie offerte qualche giorno fa.»

«Era una grossa cifra?» chiese Gabriel.

«Forse non per un cavaliere come voi, ma per me lo era. Avrebbe dovuto sfamare i bisognosi e gli orfani nelle prossime settimane, mentre adesso non so nemmeno cosa offrire loro.»

«Che storia triste, deve essere stato sicuramente un malintenzionato.»

«Cosa ve lo fa pensare?» chiese il prete.

Gabriel fece un sorriso, poi disse:

«La mia è solo un intuizione padre, ma si dia il caso che sia venuto qui proprio per fare un'offerta.»

«Quale giornata fortunata per me. Anche una piccola offerta sarà bene accetta.»

«Mi sono permesso di lasciarvi qualcosa in un baule, che ho messo di fronte alla vostra stanza.»

«Un baule?»

«Vi sono alcuni oggetti che non mi sono utili e di cui non conosco il valore, ma magari voi potete scambiarli per qualcosa da dare ai bisognosi.»

«Che Dio vi benedica cavaliere, qualunque offerta voi abbiate fatto.»

«Vi auguro una buona giornata padre.» disse Gabriel prima di uscire a passo svelto dalla chiesa.

Come svegliatosi da un brutto sogno, si era liberato dalla stessa ricchezza che lo aveva così condizionato sin dalla prima adolescenza. Provò una gioia illimitata nel sentire che la ricchezza era finalmente in buone mani. Una gioia di gran lunga superiore alla sensazione di potere che quel tesoro poteva conferire a chi, a differenza sua, non aveva ancora capito che qualunque ricchezza non avrebbe potuto fare altro che regalare una gioia effimera. Gabriel non vide mai l'espressione del volto di padre Justin quando aprì il baule, perché lasciò Gerusalemme subito dopo, ma non prima di aver fatto un'altra visita.

«Avanti.» disse Françoise quando Gabriel bussò sulla sua porta, nel bordello.

«Ancora voi? Ma non mi avevate promesso di non tornare mai più qui da me? Che altro volete?» chiese a Gabriel quando lo vide aprire la porta.

«Non sono venuto per restare.» rispose, prendendo un sacchetto pieno di pietre preziose e gioielli: tutto quello che gli era rimasto del tesoro.

«Sono venuto per darvi questo.» e così dicendo fece un passo verso di Françoise che lo guardava con aria confusa, allungando il braccio con il sacchetto in mano.

«Cosa c'è dentro?» chiese Françoise prima di aprirlo.

«La vostra libertà.» rispose Gabriel.

Nell'istante stesso in cui Françoise vide il contenuto del sacchetto, Gabriel era uscito ed aveva già chiuso la sua porta. Françoise cadde in ginocchio e si lasciò andare ad un pianto sommesso; fu colpita da tanta generosità e ringraziò il Signore di un tale dono, fissando il cielo con la testa fra le mani. Si avvicinò in lacrime alla finestra per poter osservare Gabriel allontanarsi dal bordello. Anche lui pianse una lacrima: per aver donatoo, almeno ad un'altra donna, quello che ad Eméline non era riuscito a dare.

Gabriel, che senza armatura né spada, non possedeva altro al mondo che un flauto ed il suo cavallo, lasciò Gerusalemme una sera d'inverno. Si diresse verso nord-ovest, intraprendendo il lungo viaggio verso casa che avrebbe fatto via terra con il suo fedele amico, non potendosi permettere un passaggio via nave. Pensò che come tetto avrebbe avuto le stelle e come tavola la generosità degli alberi da frutto che avrebbe incrociato durante il suo cammino, ma ebbe molto di più. Pochi giorni dopo la sua partenza, addormentatosi sconsolato a digiuno vicino ad un cespuglio, fu svegliato da un pastore che, sebbene non parlasse la sua lingua, mosso dalla compassione, gli offrì del pane ed un pezzo di formaggio, nonostante fosse chiaro che Gabriel non avrebbe potuto ricambiarlo che con un sorriso.

Gabriel non si sentì in imbarazzo per aver accettato del cibo in quel modo e si stupì di come persino persone che hanno poco da offrire possano essere molto generose. Durante il suo viaggio gli capitò ancora ed ancora di ricevere favori e gentilezze da perfetti sconosciuti che in lui, adesso che si era tolto la spada e l'armatura, rinunciando allo status di cavaliere di cui il padre andava tanto fiero, vedevano solo un giovane vagabondo degno di compassione.

Quando arrivò in Francia erano passati diversi anni ormai e percorrendo una stradina di montagna vide una famiglia di contadini, due adulti e tre bambini. Disperati fissavano il loro carretto rovesciato sul ciglio di un dirupo.

«Cosa vi è successo signori?» chiese Gabriel.

«Una disgrazia ragazzo mio! Abbiamo perso il controllo del carretto ed il nostro asinello è scivolato giù per la scarpata, ed ora non sappiamo come trasportare i pochi beni che abbiamo e che dovremmo vendere al mercato.»

Gabriel, impietosito, smontò Aguacero e prese in mano le sue redini. Dopo il lungo viaggio il suo cavallo era ormai divenuto stanco e vecchio, non più adatto alle veloci cavalcate di un tempo.

«Non ti dimenticherò mai Aguacero, compagno di mille sventure...» disse sussurrando all'orecchio del cavallo mentre gli accarezzava per l'ultima volta il muso.

«Adesso vai, perché il tuo posto non è più accanto a me.»

Disse ancora prima di donarlo alla famiglia contadina, che incredula lo ringraziò con tutte le benedizioni che un uomo possa ricevere. Gabriel raggiunse, dopo qualche anno, la strada polverosa di casa sua. Tante cose erano cambiate dalla sua partenza, il colore dei campi sembrava non essere più lo stesso e persino la lingua dei braccianti sembrava diversa. Il suo volto, coperto da una lunga barba e segnato da qualche ruga, lo avrebbe reso ormai irriconoscibile anche ai suoi familiari. Yago era morto, poco dopo la sua partenza.

La sua famiglia non avrebbe certamente rifiutato di offrire un letto di paglia in una stalla ad un povero mendicante.

Finito di scrivere nei primi giorni del 2014

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