Capitolo 28
Quando arrivò a Gerusalemme, era ormai mattina. Non aveva più un posto dove andare, aveva saldato il conto con i pochi soldi che aveva rubato dalla cassetta delle offerte, prima di comprare le armi. Ma il vuoto interiore che sentiva, e per la prima volta riconosceva di avere, lo spinse a cercare risposte dove il suo scudiero era solito trovarle. Quando entrò in chiesa di mattina, la trovò deserta. Avrebbe tanto voluto confessare tutto il dolore che aveva sparso per il mondo, ma padre Justin non era lì.
Passando di fronte alla statua del Cristo, anche lui segnato dal sangue, decise di mettersi in ginocchio. Unì le mani e incominciò a recitare tutte le preghiere che aveva imparato in latino. Pregare gli fece per la prima volta sentire sollievo dal vuoto che sentiva dentro. Lo aveva fatto un infinito numero di volte quando era in monastero, ma per la prima volta lo fece in maniera spontanea. Pregò per un'ora buona, quando, senza nemmeno accorgersene, passò dalla veglia al sonno, sdraiato di fronte alla statua del cristo.
Sognò. Era dentro la porta dell'inferno. Aveva in mano la sciabola di Khalid nella mano destra e una torcia nella sinistra, mentre scendeva le scale.
Quando arrivò in fondo, come era già successo, vide la sagoma di un cavaliere avvicinarsi verso di lui emettendo dei lamenti. Anche il modo di camminare era quello di un non-morto. Ma quando gli fu abbastanza vicino lo vide alzarsi la visiera dell'elmo. E con suo stupore, misto a terrore, vide il suo stesso volto, pallido e con le labbra bluastre. Era uno di loro.
Ma quando aprì nuovamente gli occhi, si ritrovò di fronte a se un volto sorridente.
«Se avessi saputo del vostro arrivo vi avrei preparato un letto...» disse padre Justin.
«Dove sono?» chiese Gabriel, non ricordando più nulla.
«Siete nella mia chiesa.»
Fu solo allora che Gabriel si guardò intorno e si rese conto di essere per terra, sul pavimento della chiesa. Fece uno scatto come per alzarsi ma sentì la sua tua girare come un vortice e ricadde. Padre Justin lo afferrò al volo e disse:
«Non avete un bell'aspetto.»
Prese una mano e la passò sulla fronte del cavaliere, poi disse:
«Mio Dio ma voi scottate, avere bisogno di riposarvi il prima possibile, vi porto da bere.»
Il prete si allontanò per ritornare poco dopo con una brocca d'acqua che Gabriel bevve avidamente.
«Venite con me...» disse il prete, nel tentativo di sollevare Gabriel, tenendolo per le spalle.
Quando fu in piedi incominciò a camminare lentamente, appoggiato al prete. Lo portò nella sua stanza personale, dove vi era un semplice letto di paglia di fronte ad una scrivania di legno. Gabriel cadde di peso sul letto e si mise sdraiato.
«Adesso riposatevi, passerò dopo.» E padre Justin si diresse verso l'uscita, ma prima che riuscisse a chiudere la porta Gabriel disse, con un filo di voce:
«Padre ho peccato.»
Il prete fermò la porta e guardandolo negli occhi gli sorrise:
«Siamo tutti dei peccatori, ma possiamo imparare tanto dai nostri errori, ed il signore è sempre disposto a perdonarci.»
Fu sentendo quella risposta che cadde in un sonno profondo. Quando si svegliò non vi era nessuno attorno a lui. Gabriel si sentì di nuovo in forze, come se avesse dormito per una giornata intera, e guardando fuori dalla finestra, si accorse di essere nel giusto: era di nuovo giorno. Padre Justin era sicuramente stato nella sua stanza: aveva messo del pane e dell'acqua sulla tavola. Realizzò subito che il cibo era stato portato per lui e quando finì di mangiare si sentì nuovamente pieno di energia. Sul muro vide appoggiata la sciabola di Khalid che doveva aver lasciato li Justin, dopo averla trovata per terra. Fu allora che si ricordò dello strano sogno che aveva fatto, ed ebbe un'inspiegabile consapevolezza in quel risveglio. Capì che il non-morto che aveva visto nella grotta, era quello che lui sarebbe potuto diventare se fosse morto lì nel tentativo di recuperare il tesoro. Sarebbe stato così attratto da quella ricchezza che avrebbe passato lui stesso l'eternità li dentro, solo per difendere da morto il tesoro che tanto aveva bramato in vita. Prese allora la spada, mettendosela sul fianco ed uscì dalla chiesa per saltare subito in sella ad Aguacero. Cavalcò attraversando la steppa, nel fresco del mattino e senza armatura, così come aveva fatto tante volte nella sua casa in Aragona.
Arrivò di fronte alla porta dell'inferno, scese le scale con una sciabola nella mano destra e una torcia accesa nella mano sinistra. Percorse il primo tunnel e quando sentì i primi lamenti si rese conto di non avere più paura dei non-morti. Più che paura infatti, sentiva un'enorme compassione per quelle anime che inseguendo la chimera del tesoro sino a perdere la vita, avevano finito per inseguirla anche dopo la morte, rimanendo ancorate ad un corpo eterno e decadente. Quando uno dei non-morti si avvicinò a lui, Gabriel chiuse gli occhi e disse:
«Possiate finalmente trovare la pace.» prima di decapitarlo con una sciabolata.
Subito un altro si fece avanti e Gabriel iniziò a volteggiare come in una danza, prima di colpire anche il secondo e concedergli la grazia.
Certo, era una danza di morte. Ma pur sempre una danza. Andò avanti per ore, e anche se i non-morti sembravano non finire mai, le sue braccia non divennero mai stanche. Anzi, colpo dopo colpo la sua anima divenne sempre più leggera, come se liberando quelle anime dalla schiavitù eterna in realtà liberasse anche lui stesso, un passo alla volta. La nebbia che tanto terrorizzava i mercenari, si fece meno densa sino a scomparire del tutto. Subito dopo aver graziato quello che sembrava essere l'ultimo non-morto vide l'ingresso di un secondo tunnel, stavolta illuminato da una luce rossastra. Si rimise la spada sul fianco, e si diresse, senza timore, dentro il tunnel. Si accorse solo allora che, quella luce rossa, veniva proiettata da due piccoli ruscelli di lava posti ai lati del tunnel. Persino il calore del luogo sembrava indicare che si stesse dirigendo verso il centro della terra. Quando arrivò in fondo al tunnel si accorse che la lava aveva origine da sotto una parete. Di fronte a lui, poté vedere finalmente il tesoro più prezioso che aveva mai visto in vita sua.
Un baule, di grandi dimensioni, stava aperto e mostrava di essere pieno delle più meravigliose ricchezze: monete d'oro, pietre preziose dai colori più vivaci incastonate nei gioielli più disparati. Gabriel si avvicinò al baule senza toccare nulla, pur senza conoscere l'esatto valore del contenuto di esso, poté immaginare che sarebbe stato in grado di comprare un regno almeno cento volte più grande di quello del padre. Probabilmente pochi principi o re sulla terra avrebbero potuto vantare di un tesoro del genere, e sembrava essere lì tutto per lui. Persino le decorazioni del baule stesso erano in oro massiccio. Ma la sua curiosità di scoprire di più sul tesoro fu superiore a tutto il resto, così si mise ad ispezionare le decorazioni del baule. Vi era il disegno di un drago alato e di alcuni misteriosi cavalieri.
Fu proprio mentre stava osservando questi dettagli che sentì, sulla sua spalla, un odore acre che accompagnava un' aria calda e umida, che si muoveva intermittente. Quando si girò per vedere di cosa si trattasse il suo terrore fu enorme. Il calore proveniva dalle fauci di un essere alto almeno una volta e mezza il cavaliere, con i denti affilati e le corna. Era qualcosa che non aveva mai visto, persino durante le battute di caccia contro gli orsi più grossi.
La sua forma era antropomorfa ma possedeva una pelliccia di animale e delle enormi zanne. Prima ancora che Gabriel potesse fare una mossa, il grosso mostro alzò il suo braccio anteriore e scaraventò il povero Gabriel ad un lato della grotta.
«Come osi disturbare Ashtarot?» urlò la bestia con una voce che infondeva terrore puro. Gabriel, caduto in terra cercò di rialzarsi dolorante e sguainando la spada si preparò ad affrontare la bestia, convinto ormai di voler andare fino in fondo. Due grosse fauci si avvicinarono verso di lui. Provò a colpirlo con una sciabolata ma i suoi colpi volavano silenziosi fendendo l'aria. La bestia era tanto grossa quanto agile. Con un colpo di zanna fece rotolare via la sciabola di Gabriel e la gettò nuovamente in terra.
Ma Gabriel, che ormai non aveva più molto da perdere, si rialzò in piedi e a mani nude si preparò ad affrontare un nuovo attacco. Sebbene sapesse che quelli avrebbero potuto essere gli ultimi istanti della sua vita, non scappò. La bestia partì nuovamente alla carica e lo sfiorò con le corna mentre Gabriel correva a mettersi al riparo. La belva si voltò ed afferrò Gabriel per il collo con le sue zanne. Il cavaliere si sentì sollevare e cercò disperatamente di liberarsi. Persino quando la belva fece un orribile verso con la bocca mostrandogli i denti, Gabriel rimase saldo nel cercare di combatterla. Ma tutti i suoi sforzi furono inutili, vista la superiorità di stazza della bestia. Questi, tenendo Gabriel per il collo, lo fece oscillare al di sopra di un canale di magma e, pronto a lasciarlo da un momento all'altro gli disse:
«Eserciti interi, i migliori guerrieri che esistono in superficie, tutto io ho fermato. Ma tu, misera pulce, speravi veramente che ti avrei lasciato portare via il tesoro?»
«Non sono venuto...» cercò di dire Gabriel con il poco fiato che aveva ancora.
«Non sono venuto per il tesoro...»
«Bugiardo! Tu menti!» disse la bestia, gettando il cavaliere a terra e liberandolo finalmente dalla sua presa. Gabriel, che sapeva comunque di non avere scampo, non provò nemmeno ad alzarsi.
«Uccidimi se vuoi... falla finita... ma il mio corpo non tornerà nuovamente ad alzarsi come quei poveri miserabili che ho liberato. Se sono venuto fin qui da solo, è perché mi sono liberato della mia avidità.» disse il cavaliere come se avesse voluto pronunciare le sue ultime parole da uomo fiero. La belva, lo scrutò con sguardo curioso e smise di mostrare i suoi denti. Si sedette sulle zampe posteriori in maniera composta.
«Tu non sei come gli altri, in te alberga la nobiltà...» disse la bestia, poi aggiunse.
«Per anni ho vegliato su questo tesoro, per anni ho visto uomini venir attratti da esso come mosche sullo sterco, per anni li ho uccisi e ho gettato su di loro una maledizione. Ma sei arrivato tu, fino in fondo alla grotta e al tuo cuore, ed io non posso che inginocchiarmi dinanzi al tuo coraggio. Io riesco a leggerti nella mente Gabriel, so chi sei e so perché sei qui. E' mio compito mettere alla prova la tua onestà e non ho bisogno di altro. Il tuo cuore ormai è puro e non esiste demone in grado di corromperlo. Non c'è più bisogno di me allora, non c'è più bisogno di questa grotta. Ma il tesoro rimane, Gabriel, e potrai farne ciò che vorrai.»
E così dicendo la bestia sparì in un baleno.
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