Capitolo 27

Era una notte senza luna. I due arcieri di guardia, nella torre di legno dell'accampamento dei mercenari, tesero l'arco verso una figura con un cappuccio in testa che sembrava essere disarmata e sostava con noncuranza davanti all'ingresso.

«Chi va là?» disse uno di loro, non riuscendo a distinguere nulla nella poca luce di una torcia che illuminava la solitaria figura.

«Voglio parlare con Khalid.» disse l'uomo col cappuccio.

«Voglio prima sapere chi siete? Perché lo cercate a quest'ora della notte?»

Gabriel si levò il cappuccio e mostrò il suo volto, guardando negli occhi i due arcieri di guardia, prima di fare un salto indietro nell'oscurità.

«Allarme! Allarme!» urlarono gli arcieri dalla torre, subito dopo aver scoccato due frecce a vuoto.

Dall'oscurità invece, partì una freccia che perforò il cranio di uno degli arcieri, che finì per cadere oltre il parapetto in un tonfo sordo. L'altro arciere, terrorizzato, scese giù dalla torre gridando. Gabriel, che lo aveva sotto tiro, con un semplice arco che aveva rimediato per pochi denari al mercato, lasciò volutamente che andasse a svegliare i suoi compagni, proprio come aveva pianificato.

«Vieni fuori figlio di puttana, sappiamo che sei qui!»urlò un mercenario dall'interno dell'avamposto.

Gabriel poteva sentire le loro voci, nascosto nell'ombra, ma non poteva vedere nessuno di essi. Con una freccia incoccata Gabriel teneva d'occhio la porta d'ingresso principale e la torre di legno. Nessun arciere si azzardò più a salire sulla torre ma un gruppo di cinque uomini tentò una sortita dalla porta principale.

Appena li vide uscire Gabriel lanciò la sua prima freccia e subito dopo la seconda, andando ad ucciderne due con un colpo alla testa e lasciando nel terrore i superstiti che rientrarono subito chiudendo la porta. Uno degli uomini che aveva appena ucciso stringeva ancora in pugno una torcia accesa, Gabriel si avvicinò senza fare rumore e la prese, poi girò attorno alla palizzata e quando fu sul lato di fianco all'ingresso gettò la torcia su un mucchio di legna e stoffe imbevute di pece che aveva precedentemente piazzato in quel punto. Da lontano, poté osservare il muro bruciare, mentre gli uomini all'interno sembravano darsi da fare per spegnere l'incendio. Nel giro di qualche minuto il muro fu dilaniato dalle fiamme e rivelò un'apertura di diversi metri che lentamente continuò ad allargarsi. Gli uomini allora, che avrebbero preferito attendere mattina, decisero di uscire nuovamente in piccoli gruppi.

Gabriel, con l'arco teso, bucò l'armatura a scaglie del primo che gli capitò a tiro, ma accortosi che erano almeno una decina decise di scomparire nell'oscurità. Rimase ad osservarle le loro torce muoversi nell'oscurità mentre era nascosto dietro ad un ulivo. Sembravano essere almeno una dozzina di uomini divisi in tre gruppi.

«Vieni fuori vile cane!» urlò uno di loro.

«Sei circondato, non hai scelta.» disse un altro.

Gabriel rimase in silenzio ad ascoltare il suo cuore battere e solo quando sentì tre uomini avvicinarsi lentamente al suo ulivo incoccò una freccia. Si girò da un lato dell'ulivo e scagliò la freccia andando a colpire l'uomo con la torcia, che cacciò un urlò di dolore, prima di accasciarsi a terra. Come un lampo riprese fiato ed incoccò una seconda freccia, stavolta esponendosi dalla parte opposta dell'ulivo. E così anche il secondo uomo cadde.

Il terzo, che sembrava aver identificato l'albero si fece avanti di corsa con la spada sguainata e lo scudo davanti al torace.

«Sei morto verme, sei morto!» urlò a Gabriel, correndo verso l'ulivo.

L'uomo fece uno scatto e finì dietro l'ulivo sferrando il suo colpo, ma, con grande disappunto, non tagliò che aria. Fu proprio mentre la sua spada era a terra che Gabriel, arrampicatosi poco prima sopra l'albero, gli sfilò l'elmo d'acciaio e gli tagliò la gola con un coltello da caccia che aveva comprato al mercato. L'uomo cadde a terra agonizzante e a breve fu immerso in una pozza del suo stesso sangue. Nel frattempo gli altri gruppi si erano allontanati mentre gli uomini alla palizzata erano finalmente riusciti a domare l'incendio, lasciando una voragine di almeno dieci metri scoperta. Gabriel sfilò l'armatura a scaglie dell'uomo che aveva ucciso e, con il suo sangue, si sporcò il braccio sinistro per simulare una ferita. Si diresse zoppicando verso l'avamposto mercenario, non prima di aver indossato anche un elmo. Si avvicinò all'avamposto gridando aiuto.

«Dov'è quel figlio di puttana?» gli chiese uno dei mercenari.

«Si è nascosto bene dietro un albero, andate a cercarlo, ha ucciso i miei compagni ed io sono ferito.»

«Avete sentito, andiamo a prenderlo.» disse uno di loro, ordinando ad altri uomini di uscire dall'accampamento, lasciandolo quasi completamente sguarnito. Fu allora che Gabriel rovesciò per terra un paio di torce, per meglio nascondersi nell'oscurità, e si diresse vero la tenda che sapeva essere quella di Khalid.

Vi era un uomo, piazzato fuori di guardia, che non seppe nemmeno che a colpirlo a morte era il cavaliere aragonese, piombatogli addosso di sorpresa. Quando Gabriel entrò nella tenda, dove la sola luce che c'era era una candela su di un candelabro d'oro massiccio, trovò Khalid che stava freneticamente raccogliendo tutti i suoi averi dentro una grossa sacca. Era così intento a salvaguardare le sue cose che non si accorse nemmeno che Gabriel, dietro di lui, si era sfilato l'elmo per farsi vedere ed era rimasto con la spada sguainata. Sporco di sangue, e con un'armatura che non gli apparteneva, Gabriel spense la candela con un soffio e prese in mano il candelabro d'oro.

«Chi va là?» urlò Khalid preso alla sprovvista.

Ma Gabriel non rispose.

«Chi venire qui? Guardie! Aiuto!»

Ma nessuno rispose. Nell'oscurità poteva sentire il capo dei mercenari ansimare e gemere in preda al terrore. Gli sarebbe bastato il solo udito per capire quale fosse la sua posizione e lo sentiva ancora trafficare nel tentativo di mettere i salvo i suoi averi. Facendo il minimo rumore si avvicinò al sacco dove Khalid metteva il bottino delle sue razzie. Quando l'uomo, brancolando nel buio, si avvicinò nuovamente per prendere il sacco e scappare, prima ancora che riuscisse ad uscire dalla tenda Gabriel disse:

«Non dimentichi qualcosa Khalid?»

Un brivido di terrore colpì il fuggiasco che lasciò a terra il bottino e incominciò a colpire a casaccio attorno a lui con la sua sciabola, urlando:

«Ma tu essere morto nazz...»

Ma Gabriel interruppe il flusso di parole, piombandogli alle spalle al momento giusto per strozzarlo con tutta la sua forza aiutato dal candelabro d'oro. Nel tentativo di afferrare il candelabro per allentare la presa Khalid gettò a terra la sua arma. Ma Gabriel, che era più giovane e più forte di lui non mollò, finché non sentì di averlo soffocato a morte.

Prese la sciabola di Khalid, ma non toccò nulla delle sue ricchezze, uscì dalla tenda e, ripiombando nell'oscurità, si diresse verso le scuderie. Non trovò nessuno di guardia e all'ingresso c'era il suo Aguacero, già sellato e pronto a partire, felice di tornare con il suo amato padrone.

«Non ti hanno fatto del male vero?» gli chiese Gabriel prima di montargli sopra.

Aguacero rispose con un nitrito.

«Andiamo ora!» disse dando un colpo di sperone. Il cavallo uscì dalla stalla a tutta velocità e finì addosso ad un gruppo di mercenari che avevano pensato a loro volta di prendere un cavallo.

Uno fu scaraventato per terra dalla stazza di Aguacero, l'altro decapitato dall'arma che si era appena procurato e con un sol colpo, rovesciò la testa anche dell'uomo che sopraggiungeva immediatamente dopo. Fermò Aguacero e ripartì nuovamente alla carica di due uomini che stavano scappando in preda al panico. Li uccise con avidità con una sciabolata alla schiena. Uccise i vivi esattamente come si era occupato dei non-morti. Una fine altrettanto crudele fecero i mercenari usciti fuori a cercare proprio lui. Solo alcuni riuscirono a scappare in preda al terrore. Si videro piombare addosso Aguacero nell'oscurità ed uno di loro gridò:

«E' indemoniato!»

Ma era solamente Gabriel, con il fuoco della vendetta dentro al cuore. E non fu l'unico fuoco della notte. Uno dopo l'altro trascinò i cadaveri in una caserma di legno dell'accampamento. Fu un lavoro stancante e quando finì sentì il dolore impadronirsi delle gambe e delle sue forti braccia . Del bottino di Khalid non toccò nulla, ma cosparse ogni edificio con la pece che aveva trovato dentro l'armeria e, prese le dovute precauzioni per non rimanerne coinvolto, diede fuoco alla sua macabra opera.

Nell'oscurità della notte si alzò al cielo un rogo enorme che Gabriel ammirò da lontano, sopra una collina. Il fumo si alzava sopra le roventi fiamme, e formava una colonna che scompariva nel cielo. Si poteva annusare, anche a così tanti metri di distanza, l'odore di tutti quei corpi che adesso venivano cremati. Il calore del fuoco era talmente forte che dovette allontanarsi ulteriormente nella notte, ma il calore non fu sufficiente ad asciugare le lacrime che scorrevano sul suo volto. Si sfilò l'armatura e la gettò a terra assieme all'arco. Adesso che la sua vendetta si era consumata sentiva solo un enorme vuoto nella sua vita. Un vuoto che, forse, c'era sempre stato, da quando aveva lasciato, tanti anni prima, la sua dimora natale. Tutto quello che aveva fatto, pensò, era cercare di riempirlo. Ma in questo processo, aveva trascinato con sé degli uomini che adesso, erano tutti morti. Smise anche di sentirsi così fiero di sé come aveva sempre fatto. Divenne silenzioso nel guardare quelle fiamme, e non fu solo perché ormai non aveva più nessun amico con cui poter parlare. Com'era diverso, da bambino, era bello fantasticare sulle sue avventure di cavaliere ascoltando i racconti di suo padre. Com'era diverso ora che la notte era un misto di freddo e calore, schizzi di sangue e fango.

Solo Aguacero era rimasto lì con lui. Lui che osservava il fuoco a sua volta con i suoi grandi occhi neri. Lui che c'era stato sin dall'inizio. Sfilò il flauto dalla sua custodia e intonò una melodia triste e Aguacero rispose con nervosismo.

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