Capitolo 26

Si risvegliò, persa la cognizione del tempo, sul pavimento della prima grotta, avvolto nell'oscurità e nel silenzio. Ancora confuso da quanto accaduto si alzò in piedi e si accorse che sebbene fosse molto dolorante, non aveva ferite gravi. Risalì con cautela le scale, facendo caso ad ogni rumore che potesse provenire da fuori, ma non sentì nulla. Si affacciò con la testa fuori dalla grotta e, accortosi che il sole stava tramontando, non vide nessuno attorno a lui. Guardò attorno alla buca d'ingresso e non trovò la spada che aveva gettato a terra prima, sicuramente era stata rubata dai mercenari.

Ma fu proprio nel tentativo di cercarla che vide quello che gli fece cacciare un profondo grido di dolore mista a rabbia: il cadavere del suo scudiero ed amico Cesar. Corse verso di lui, come se correre in quel momento avrebbe fatto la differenza e, mettendosi in ginocchio lo guardò in viso e prese a singhiozzare riuscendo a malapena a respirare. Il suo collo era aperto ed una pozza di sangue enorme giaceva attorno a lui.

«Perdonami... perdonami... è tutta colpa mia...» disse con difficoltà mentre le lacrime gli scendevano sul volto.

«Io non dovevo farti venire qui... tu dovevi andartene...» disse ancora, mettendo il suo corpo in una posizione più dignitosa per un morto e si gettò su di lui in lacrime.

Gabriel aveva visto morire tanti uomini nell'arco della sua giovane vita, aveva ucciso mariti, fidanzati e figli senza alcun rimorso. Ma la vista del suo scudiero, morto nel tentativo di proteggere il suo signore sino all'ultimo istante, lo fece sprofondare in un abisso indescrivibile di dolore e rimorsi.

«Tu che nemmeno avresti voluto il tesoro...» disse piangendo.

E Gabriel pianse tutte le lacrime del mondo, pianse disteso su di lui, pianse ancora rimettendosi in ginocchio mentre il sole tramontava.

«Adesso forse avrai la risposta a tutte le tue domande sul Padre eterno, adesso che forse puoi parlare con lui... ma non doveva andare così... non doveva...» disse Gabriel disperato. Ancora in lacrime prese il cadavere e mettendoselo sulle spalle lo portò con se non molto lontano.

Scavò una buca a mani nude nella terra friabile, ma non andò molto in profondità. Fu però in grado di ricoprire il corpo con delle foglie ed infine con della terra. Ci impiegò diverse ore e finì nel cuore della notte a fare una rudimentale croce con due bastoncini trovati li vicino. La posizionò sopra il mucchietto di terra, come avrebbe sicuramente voluto Cesar, ed esausto si sdraiò affianco alla tomba, guardando le stelle, in maniera completamente impassibile. Sentiva la morte nel cuore, la morte di ogni desiderio, di ogni sentimento.

Lui che aveva sempre trovato la grinta di andare al di là dei suoi limiti e di ambire a qualcosa di molto più di quello che la vita gli offriva adesso non desiderava più nulla. Rimase sdraiato in quello stato finché non incominciò a schiarirsi il cielo. Si alzò in piedi e si guardò intorno nel tentativo di cercare il suo cavallo, poi incominciò a camminare nella speranza di trovare qualche indizio. Fu dopo diversi minuti che trovò un altro cadavere: quello di Ayman, morto ad appena quindici anni. Camminò verso di lui: la sua pelle era scura e liscia, sembrava sorridere e scherzare anche nella morte. Decise, sebbene non fosse un cristiano, di donare una sepoltura altrettanto dignitosa anche a lui e lo ricoprì di terra.

Nel farlo e nel pensare a quanto vigliacchi e senza scrupoli fossero stati quei mercenari ad uccidere un bambino, una nuova sensazione si affacciò nella sua vita. Un fuoco, dapprima lieve come quello di un camino, che andava via via crescendo mentre ricopriva quell'anima innocente con la terra brulla di quel luogo misterioso: il desiderio di vendetta. Sapeva di non avere più nulla. Non aveva denaro, si era liberato spontaneamente dell'armatura del padre e gli erano stati rubati il suo amato cavallo e la sua spada. Non aveva nemmeno più i mezzi per sostentarsi un sol giorno di più, figuriamoci se ne aveva per reclutare altri mercenari. Ma camminando nella fredda mattina verso Gerusalemme, la sua mente incominciò ad elaborare un piano così sofisticato che Gabriel pensò essere opera del diavolo stesso. Attraversate le mura della città, andò verso una fontana per sciacquare il sangue secco sulle sue mani e la terra che aveva addosso, poi si diresse verso la chiesa dove Cesar era solito andare. Come Gabriel aveva sperato era deserta. Si avvicinò alla cassetta di legno delle offerte e la colpì.

«A buon rendere padre.» disse tra sé e sé.

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