Capitolo 22
Gabriel e Cesar erano usciti dalle mura di Gerusalemme a cavallo di Aguacero. Il cavaliere indossava la sua armatura più che per necessità, per prestigio. La ragione risiedeva nel fatto che stavano andando verso un avamposto mercenario a diversi chilometri dalla città. Gli erano state fornite le giuste indicazioni da uno degli ufficiali della milizia di Gerusalemme. Si ritrovarono di fronte a un avamposto che non era altro che una palizzata di legno, eretta per circoscrivere una serie di piccoli edifici all'interno, anche loro di legno. Vi era una torre, all'interno della palizzata, che superava l'ostacolo di un paio di metri e dentro di essa, vi erano due arcieri in cotta di maglia che quando videro il cavaliere aragonese arrivare si misero all'erta. Uno dei due urlò in diverse lingue parole incomprensibili, finché provando con il francese non disse:
«Chi siete?»
«Sono Gabriel De la Fuente.» urlò.
«Toglietevi l'elmo!»
Il cavaliere si tolse l'elmo e la guardia incalzò con molte domande.
«Da dove venite?»
«Da Gerusalemme.»
«La vostra patria?»
«L'Aragona.»
«Cosa volete?»
«Uomini.»
Fu questo il rapido botta e risposta tra l'arciere e Gabriel. Fu allora che il suo compagno, di guardia anche lui sulla torre, gesticolò qualcosa ad un uomo presumibilmente vicino all'ingresso.
«Attendete ora» gridò nuovamente l'arciere.
«Va bene» urlò Gabriel.
Rimase ad attendere almeno dieci minuti, in silenzio e sotto al sole, quando finalmente un cancello di legno, parte della palizzata, sufficientemente grande per far passare due carrozze si aprì di fronte a lui. Un gruppo di sei uomini armati, ognuno di un etnia diversa gli andò incontro mentre uno di loro disse:
«Da questa parte, ci occuperemo noi del vostro cavallo.»
Gabriel lasciò le redini di Aguacero a loro e li seguì facendosi scortare ad una delle tende.
«Qui potrai parlare con il nostro signore.» disse uno di loro.
«Ma prima dovrai posare la spada e il pugnale.» aggiunse.
Gabriel porse loro la spada dicendo:
«Non ho pugnali con me.»
«Ed il tuo servo?»
«Il mio scudiero non è armato.»
«Entrate allora.»
La tenda era incredibilmente grande e vi erano dei supporti di legno sui quali erano appoggiate le armi più disparate: lance, scimitarre, spade, balestre. Persino armi che Gabriel non aveva mai visto in vita sua. Al centro della tenda vi era un meraviglioso tappeto con decorazioni arabe.
Vi era un uomo sulla quarantina seduto sopra, sorridente sotto i suoi lunghi baffi. Con lineamenti pesantemente arabi e un pessimo francese diede a Gabriel il benvenuto a modo suo.
«Da miei uomini io sentire, tu cercare uomini in tempo di pace, strano ma interessante. Prego, prego, siedi qui cavaliere.» e così dicendo gli indicò un cuscino dove Gabriel si sarebbe potuto sedere persino con la sua armatura. L'uomo che stava seduto a gambe incrociate prese un cuscino a sua volta e ci si sedette sopra.
«Volere voi tè con menta?»
«No grazie, ma prendo volentieri dell'acqua.»
«Certo, certo, acqua.» e così facendo l'uomo batté le mani.
Un ragazzo giovane, probabilmente un suo servitore, entrò nella tenda e ricevette degli ordini in arabo, per tornare dopo appena un minuto con una brocca d'acqua. Nel frattempo Gabriel si era presentato col suo nome. L'uomo con i baffi di fronte a lui si presentò a sua volta, in modo alquanto singolare.
«Io sono Khalid, così ti devi chiamare me, ho titolo ma tu non chiamare mio titolo. Mio cognome essere troppo difficile per tua lingua.» e così dicendo disse il suo cognome che suonò effettivamente incomprensibile a Gabriel e fu grato di limitarsi a chiamarlo Khalid.
«Da dove vieni tu cavaliere?»
«Vengo dall'Aragona.»
«Ah, in alto tu vivere. Tu conoscere passato? Guerriero d'Islam, per poco non prendeva tutta Francia.»
«Avete ragione, ma è stato molto tempo fa.»
«Ah, bene, spero voi apprezzare guerriero arabo.»
«Solo se non lo devo affrontare.» rispose Gabriel pensando alle passate battaglie.
Khalid scoppiò a ridere, poi disse.
«Bravo, bravo giovane, tu piacere me anche se tu essere Nazzareno. Tu venire qui che c'è tempo di pace, quindi tu devi avere cose interessanti da dire.»
E fu così che Gabriel incominciò a raccontare la sua storia, per poi arrivare a parlare del tesoro per il quale voleva arruolare un manipolo di mercenari. Khalid rimase a lungo in ascolto catturato dalle parole di Gabriel e annuiva tenendo gli occhi sgranati verso il cavaliere aragonese meravigliato dalla sua storia. Temeva che, come aveva fatto a sua volta, l'uomo di fronte a lui scoppiasse a ridere pensando si trattasse di uno scherzo, ma così non fu. Quando ebbe finito, Khalid non disse nulla ma batté le mani per far entrare nuovamente il servitore. Disse qualcosa in arabo e il servitore tornò con una coppa contenente del te alla menta. Khalid si bagnò le labbra e i baffi nella coppa, poi fece un sorso e solo dopo aver deglutito ruppe il silenzio.
«Che storia meravigliosa Gabriel. Tu piacere me molto. Tu intraprendante... mio errore, intraprendente. Che coraggio.»
«Potete aiutarmi?» chiese Gabriel.
«Certo, io sono tuo amico, sono guerriero come te, io aiuto i guerrieri che aiutano me.»
«Cosa volete in cambio?» chiese Gabriel.
«Voi dite di avere tesoro, se voi avete tesoro tanto grande perché non dividere con noi?»
Gabriel ci pensò un attimo, avrebbe dovuto dividere quel tesoro e per un attimo gli sembrò impossibile accettare.
Khalid, accortosi della perplessità di Gabriel disse:
«Amici aiutare amici, no?»
«Si...» rispose sconcertato Gabriel.
«E poi mercenari avere sete di vino e donne, perché non pagare qualcosa subito per loro? Loro volere una moneta d'oro ciascuno, loro essere convinti che tesoro c'è e che va cercato. Se troveranno tesoro, ridaranno monete, no problema amico.»
«Ci devo pensare.»
«Pensa pure amico mio, noi stare qui per te.»
Il cavaliere rimase ancora più sconvolto, non solo avrebbe dovuto dividere l'intero tesoro ma adesso gli venivano chieste più della metà delle monete che aveva con se in garanzia, e questo lo preoccupava maggiormente. Avrebbe significato avere poco tempo a disposizione per rimanere a Gerusalemme, e rischiare tutto inseguendo questa voce, che comunque aveva avuto un riscontro nella realtà. Per un momento, immaginò di tornare in patria con quelle ricchezze da sogno con se. Forse si sarebbe potuto comprare un possedimento dieci volte più grande di quello di suo fratello. Avrebbe stupito il padre, e lo avrebbe fatto felice. Avrebbe potuto attirare nuovamente le attenzioni di Eméline su di se, adesso che forse sarebbe diventato un partito assai migliore del fratello.
In fin dei conti, pensò, se tanto l'alternativa sarebbe stata spendere in vizi e piaceri tutti quei soldi per tornare a mani vuote, tanto valeva rischiare, sarebbe stata solo una questione di tempo. Abbastanza convinto per le condizioni disse:
«Accetto l'offerta.» tendendo la mano a Khalid, che fece un sorriso enorme con i suoi denti gialli e tese la mano per stringere quella di Gabriel a sua volta.
«Inshallah cavaliere!» disse il capo dei mercenari.
«Ma partiremo il prima possibile.» precisò.
«Quando tu volere, noi partire, anche stanotte.»
Gabriel tirò fuori il denaro e con un sacchetto molto leggero tornò a Gerusalemme assieme al suo scudiero.
«Cosa avete trattato signore?» chiese Cesar.
«Il loro servizio.» rispose Gabriel.
«Non avevano un aria particolarmente rassicurante...»
«Sono mercenari, non devono rassicurarmi, solo combattere per me, e lo faranno.»
«Bene mio signore, siete saggio e farete la scelta giusta.
Vorrei andare in chiesa prima di tornare nella mia stanza, volete accompagnarmi? C'è una persona che desidera conoscervi.»
«Vi accompagno volentieri, e sono curioso di sapere chi vuole conoscermi.»
«Possiate perdonarmi, mio signore, ma vorrei che fosse per voi una sorpresa. Vi garantisco non c'è nulla di male in quello che faccio.»
«Sono pochi i pensieri cattivi che covate Cesar, come potrei non fidarmi di voi?»
E così facendo il cavaliere entrò nuovamente in chiesa assieme al suo scudiero.
La chiesa era deserta e non v'era nessuno ma Cesar tranquillizzò Gabriel dicendogli che qualcuno si sarebbe presentato. Cesar si mise in ginocchio a pregare di fronte ad una statua della madonna mentre Gabriel, sotto pressione per il rischio dell'impresa che si era accollato cominciò a camminare nervosamente in giro per la chiesa osservandone ogni dettaglio quando sentì una voce, pronunciare in perfetto francese:
«Ho sentito tanto parlare di voi monsieur de la Fuente.»
Gabriel si girò e si trovò di fronte ad un prete, quasi calvo, dall'aria molto amichevole e con un enorme sorriso sulla bocca.
«Mi domando quale grande impresa ho commesso per essere così famoso.»
«Voi no Gabriel, ma vostro padre si...»
A sentire quelle parole il cavaliere drizzò le orecchie.
«Conoscete mio padre?»
Il prete torse la testa e mostrò il collo con una cicatrice che arrivava sino alla mascella.
«Ma voi...» disse Gabriel non riuscendo a capire.
«Ci siamo già incontrati.» disse il prete togliendogli ogni dubbio.
«Qual'è il vostro nome, posso saperlo?»
«Justin... Padre Justin.»
«Perché siete tornato in Terrasanta padre?»
«Perché ho deciso di tornare per curare le mie ferite, quelle che nemmeno il migliore unguento può curare.»
«Cosa fate?»
«Passo le mie giornate nella preghiera, e mi occupo di sfamare, quando posso, i poveri e i bisognosi di Gerusalemme... avete in tal proposito, qualcosa da offrire loro?»
«Mi piacerebbe padre, ma non ho a sufficienza per me stesso in questo momento.»
«Capisco...» disse il prete alquanto deluso, poi chiese:
«Avete bisogno di confessarvi? C'è qualcosa agli occhi di Dio che dovreste rivelare?»
«Sebbene abbia partecipato a diverse battaglie e abbia ucciso molti uomini, non ho alcun rimorso, ho ucciso coloro che avrebbero ucciso me. Ma non ho altro da confessare.»
«Capisco. Sappiate allora che se volete, sono sempre a vostra disposizione, a qualunque ora del giorno e della notte.»
«Vi ringrazio.»
«Avete scritto a vostro padre? Posso occuparmi io di fargli recapitare una vostra lettera.»
«Non scrivo a mio padre da tempo, ma non ne sento il desiderio al momento.»
Padre Justin annuì.
«Vi auguro una buona serata padre.»
«Anche voi, signor cavaliere.»
E così dicendo uscì, seguito da Cesar che era rimasto a pregare in disparte per non disturbare i due.
«Che prete meraviglioso.» disse lo scudiero.
«L'ho trovato molto amichevole.» rispose Gabriel.
«Si è occupato personalmente di far recapitare alcune lettere a mia madre, ha detto che i suoi pellegrini viaggiano più velocemente di un qualunque servizio postale.» disse Cesar ridendo della battuta.
«Non l'avete mai incontrato prima di venire a Gerusalemme?»
«No mio signore, mai. Voi invece?»
«Si, in strane circostanze.»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top