Capitolo 20
E fu così che il cavaliere e il suo scudiero cavalcarono per diversi giorni e diverse notti. Cominciarono i primi freddi, ed entrambi accusarono il brusco calo di temperature durante la notte che li costrinse ad accendere per molte notti, un fuoco per addormentarsi vicino ad esso. Senza sapere di essere particolarmente lontani da Gerusalemme, entrambi avvisarono una particolare energia nell'aria. Era una sensazione diversa, come la sensazione di essere in una parte del mondo molto lontano da casa. I volti delle persone che videro nei villaggi erano così diversi. Donne coperte col velo, forse addirittura cristiane, abituate ai costumi locali da tanti anni ormai. Gabriel si sentiva felice, aveva mangiato della carne affumicata e suonato il suo flauto sotto ad un ulivo, poco prima di rimettersi in marcia.
Fu allora che vide, di fronte a lui, la città santuario. Come una visione, era apparsa illuminata dai raggi del tramonto, di un arancio che si andava a confondere con i colori chiari delle case oltre le mura.
«Siamo arrivati mio signore, finalmente arrivati.» disse Cesar, seduto dietro di lui sul cavallo.
«Ce l'abbiamo fatta Cesar, finalmente.» Attorno alla città vi erano delle continue ronde di uomini e cavalieri, e un via vai di mercanti, da ogni parte del mondo e con i prodotti più disparati, che superavano quelli di tutte le altre città che Gabriel avesse avuto modo di visitare. Messosi dietro al carro di un mercante, sotto le imponenti mura, venne interrogato da una delle guardie all'ingresso.
«Chi siete?» chiese in latino.
«Sono Gabriel de la Fuente.»
«Da dove venite?»
«Dall'Aragona.»
«Trasportate merci?»
«No, nulla se non i nostri oggetti personali.»
La guardia, che giudicò estremamente valide le risposte che aveva ricevuto, fece cenno di passare ai due nuovi arrivati. Passando attraverso le vie principali, gremite di persone, avvolti nel chiasso di così tante lingue diverse, rimasero confusi ed estasiati, lasciandosi cullare dalla magia di una città che sembrava essere al centro dell'universo.
«Adesso capisco perché tanta pena.» commentò Gabriel. Le genti erano vestite in modo superbo, Gabriel aveva visto più indumenti di seta in cinque minuti dal suo ingresso a Gerusalemme che in tutto il resto della sua vita. E la seta non era nulla in confronto agli altri tesori che così tante persone sembravano sfoggiare. Fu Cesar a svegliare Gabriel da quella sorta di ipnosi dicendo:
«Prima di andare a dormire, mio signore, vorrei poter visitare una chiesa per ringraziare il buon Dio della sua grazia.»
Gabriel annui, prima di chiedere indicazioni in francese su dove potesse trovare una chiesa. Un passante dall'aria gentile gli indicò una strada che percorse subito dopo assieme al suo scudiero. Era un piccolo vicolo tra alcuni palazzi, e sbucò in una piazza molto piccola e semi-deserta. Li si erigeva una chiesa, di uno stile completamente diverso da quello a cui Gabriel era abituato. Eppure Cesar lo assicurò trattarsi di una vera chiesa cristiana, con tanto di campana e crocifisso. Probabilmente, la struttura originale doveva appartenere a un tempio romano, adoperato successivamente in chiesa con la conversione al cristianesimo. Entrarono insieme, la chiesa era buia, umida e silenziosa, in netto contrasto con la città al di fuori. Ci misero diversi minuti per abituarsi all'oscurità.
Nel frattempo Cesar si sedette e prese a pregare. Gabriel si sedette accanto a lui e lo ascoltò ripetere le preghiere in latino che anche lui conosceva bene. Prima di uscire Cesar si avvicinò ad una scatola di legno con su inciso "offerte". Non avendo libera gestione del denaro che i due si erano divisi chiese a Gabriel il permesso di lasciare un'offerta. Gabriel storse il muso, il denaro che possedevano era alquanto limitato secondo il suo punto di vista e avrebbe preferito non farlo. Così Cesar, a malincuore, ma senza darlo a vedere, uscì dalla chiesa assieme a Gabriel. Si era fatta ormai notte e, stanchi, trovarono una taverna pulita, ma particolarmente economica, dove avrebbero passato la notte in città. Nessuno però si accorse che la finestra della loro stanza dava su di una delle piazze più trafficate della città. L'indomani Gabriel fu svegliato presto da un vociare di mercanti. Era mattina presto ma le piazze si erano già ricoperte di gente in cerca di affari. Stanco com'era, e per nulla motivato ad alzarsi presto, visto che da tempo ormai non dormiva su di un letto vero, si girò sul fianco opposto e si immerse nuovamente in un dolce sonno. Cesar ne approfittò per andare a pregare, cosicché quando il suo padrone si svegliò che era l'ora di pranzo, trovò il suo letto vuoto senza preoccuparsene molto. Gabriel scese allora verso l'ingresso della locanda e, stanco dei cibi semplici a cui si era sacrificato durante le sue imprese, ordinò della cacciagione locale. Una cameriera coperta con il velo gli portò un gustoso agnello condito con miele e spezie.
Dapprima Gabriel si dimostrò diffidente, ma quando addentò il suo pasto rimase colpito dalla raffinatezza del gusto di cui era dotata la cucina mediorientale. Gustò anche, per la prima volta in vita sua, un piatto di datteri, il cui sapore l'aveva estasiato. Fu estremamente felice di aprire il sacchetto delle monete per pagare quel meraviglioso pasto. E fu proprio dopo mangiato, che ripensando all'avventura con le donne che aveva avuto ad Acri, che gli venne voglia di averne altre a Gerusalemme. Chiese discretamente al locandiere dov'era il bordello più vicino e il locandiere, che ne certamente un assiduo frequentatore, gli indicò con precisione il più vicino. Si avviò per i vicoletti della città e raggiunse il posto che gli era stato indicato. Pagò quanto doveva all'ingresso e si diresse all'interno. Il bordello era gestito in maniera diversa da quello che aveva visitato precedentemente. Tutte le donne, stavolta, erano radunate in una stanza, dove era possibile scegliere quella che rispecchiava più di altre i propri gusti. Già diversi clienti erano presenti al suo interno ma quando entrò lui fu accolto da un bisbigliare femminile in risposta all'esaltazione del suo fascino. Si guardò attorno e vide che la maggior parte delle prostitute erano molto meno giovani di lui e decisamente poco attraenti. Si sedette allora in disparte su di un grosso cuscino ricamato con trame orientali e gli fu portato del te. Fu allora che incrociò lo sguardo di una ragazza, di etnia araba, che trovò discretamente attraente. Senza dire nulla la ragazza, accortasi dell'interesse suscitato, si alzò in piedi e si sedette al suo fianco, accarezzandolo sul viso.
«Da dove vieni bel cavaliere?» chiese la ragazza con una buona pronuncia francese.
«Da una terra lontana.» disse Gabriel, che mai avrebbe voluto rivelare dettagli veri in un posto del genere.
«Cosa ti ha spinto a venire qui, le donne forse?»
«Questo è da vedere.» rispose Gabriel in tono provocatorio.
«Le tue donnine francesi dalla pelle pallida non ti soddisfano vero?» gli sussurrò la prostituta all'orecchio, cosa che lo fece ulteriormente eccitare.
«Alcune non sono così male. Ma non so ancora quali donne preferisco.»
«Vuoi che ti aiuti io a capirlo?»
«Vediamo se ci riesci...»
La prostituta lo prese per mano e lo portò in una delle stanze private dove passarono un'ora molto piacevole. Tornò alla taverna che era sera tardi e non volle dire nulla a Cesar dei suoi spostamenti. Fu la mattina dopo, svegliato dal chiassoso viavai sotto la sua finestra, che decise di fare due passi nel mercato. Sbucando nella piazza principale rimase a bocca aperta ammirando lo spettacolo che gli si apriva davanti agli occhi: mercanti dai lineamenti più disparati erano radunati dietro ai loro banchi. Le stoffe più pregiate, le spezie più delicate, profumi di fiori che non aveva mai sentito in vita sua. Gabriel si fece due passi, ed ebbe difficoltà a camminare tra la confusione dei banchi e non percorse un passo senza sentir urlare in lingue diverse, innumerevoli elogi alle merci esposte. Fece diverse volte il giro intero della piazza, avvolto da quell'entusiasmo, per poi andare a finire nell'ingresso opposto.
Disorientato e con il sole di mezzogiorno che batteva sulla sua testa imboccò una strada, pensando fosse quella giusta per la taverna. Ancora convinto di essere sulla strada giusta, a poca distanza dal mercato, girò un angolo ed inciampò su di un signore che si era apparentemente seduto in mezzo alla strada.
«Chiedo scusa.» disse Gabriel, cercando di rialzarsi, ma nessuno rispose.
Solo allora vide che l'uomo tendeva il braccio teso e la mano aperta verso Gabriel come se stesse mendicando. Era un uomo vecchio, dai lineamenti arabi, sulla cinquantina d'anni, senza un braccio. Gabriel fece un espressione schifata di quella visione e fece un passo indietro. Si accorse, girando la testa, che l'intera via era piena di mendicanti, almeno un centinaio, tutti incuriositi dalla sua presenza. Gabriel passeggiò curiosamente ma dovette persino tapparsi il naso tale era il cattivo odore nella via. La maggior parte erano uomini anziani, ma trovò alcuni ancora giovani. Camminò, senza rispondere alle loro richieste di un offerta finché non sentì qualcuno dire in francese:
«Una moneta, una sola moneta, e che Dio vi benedica.»
Si girò in quella direzione e trovò un uomo seduto a terra, senza una gamba, e dalla provenienza sicuramente europea. Un uomo che per l'età sarebbe potuto essere suo padre.
«Chi siete?» chiese Gabriel.
«Sono un povero mendicante, il mio nome non importa, datemi una moneta che ho fame.»
«Perché state tutti in questa via?»
«Ci cacciano qui durante le ore di mercato, non vogliono che infastidiamo i clienti.»
«Dove avete perso la gamba?»
«Quando ero giovane come voi...» disse il mendicante prima di tossire, poi continuò:
«... quando ero giovane persi questa gamba nell'assedio per liberare questa città...»
«E come è possibile che vi siete ridotti a mendicare, cosa ne è stato dell'oro di Gerusalemme?»
«Ah... i miei compagni mi considerarono un peso e l'oro fu diviso solamente tra i miei superiori, io ero soltanto un fante.»
Gabriel rimase senza parole a sentire la storia di quel mendicante, come prima cosa, pensò trattarsi di un caso unico e sfortunato, ma scoprì di sbagliarsi facendogli ulteriori domande.
«Siete francese?»
«Si, provenzale.»
«Quanti altri francesi vi sono a chiedere l'elemosina?»
Il mendicante si girò e indicò un paio di sua conoscenza, anche loro menomati e intenti a chiedere denaro ai passanti, poi si girò nuovamente verso di lui dicendo:
«E altri ancora nelle vie di questa zona, sono tutti coloro che non hanno potuto fare ritorno in patria e non possiedono nulla.»
«E vi aiuta qualcuno?»
«C'è un prete, in una vecchia chiesa qui attorno, che quando può ci sfama, ma è tutto.»
Impietosito, Gabriel tirò fuori una moneta di rame dal sacchetto, ma i mendicanti che aveva attorno, assistendo alla scena si avvicinarono come avvoltoi su di lui e inscenarono una pietosa commedia per avere quella moneta. Fu infastidito da quello che stava avvenendo e se ne andò a passo svelto, rimettendo la moneta nel sacchetto. Quell'incontro gli aveva dato un senso di smarrimento. Aveva visto uomini morire in battaglia, alcuni feriti gravi che sarebbero stati mangiati moribondi dagli avvoltoi, ma non si era mai posto il problema della fine che avrebbero fatto i menomati ed i nullatenenti. Gli sembrava così triste e così vergognoso vivere di stenti che forse al posto loro avrebbe preferito sicuramente la morte. Tirò un sospiro di sollievo quando, dietro un passaggio, vide di nuovo i colori del mercato. Vide diversi banchi ricoperti di gioielli, con clienti pronti a comprarne e pensò a quanta ricchezza ci fosse nelle mani di pochi uomini, in contrasto a quanto aveva appena visto della miseria.
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