Capitolo 18

La rotta per Bisanzio fu lenta e triste. Tutti, tra gli uomini, avevano perso amici e si svegliavano ogni giorno con ancora una sensazione di violenza addosso. Non passarono nemmeno per il campo di battaglia, ma fu facile identificarlo anche a distanza per via di un numero enorme di uccelli che svolazzavano sopra di essi soddisfatti del macabro banchetto. Arrivarono a Bisanzio e furono accolti con gioia da un gruppo di altri superstiti che erano riusciti a mettersi in salvo diversamente. Il re francese era con loro, con la sua scorta decimata, intento a decidere sul da farsi, ma di Cesar non c'era inizialmente nessuna traccia. Quando fu sera, Gabriel si congedò e si diresse verso la chiesa del porto di Bisanzio. Entrò lasciando passare i raggi del tramonto attraverso la porta e trovò con sua enorme gioia, Cesar chino in preghiera davanti al crocifisso. Senza che si accorgesse di nulla si avvicinò allo scudiero intento a pregare, cercando di non fare rumore con le sue scarpe d'acciaio.

E fu proprio quando Cesar finì di ripetere:

«...e che il mio padrone possa tornare sano e salvo, esaudisci o Signore queste mie preghiere.» che Gabriel gli mise una mano sulla spalla.

Lo scudiero si girò, e come un'apparizione divina gli apparve Gabriel, davanti ai suoi occhi. La luce del tramonto alle sue spalle lo rendeva un'enorme ombra argentata. Cesar era sconvolto, per qualche istante non seppe che dire tanto era gonfio di gioia, ci pensò Gabriel a rompere il silenzio:

«Forse le tue preghiere sono già state esaudite.» disse Gabriel sorridendo.

«Signore ti ringrazio.» disse Cesar.

«Forse dovresti ringraziare i templari.» rispose Gabriel ridendo.

«Perdonatemi se non ho potuto fare niente di meglio che tornare a Bisanzio quando la situazione è degenerata...»

«Non preoccupatevi mio fido scudiero, non è combattere il vostro ruolo. Preferirei avervi vigliacco e vivo che coraggioso e morto.»

E così dicendo gli diede una pacca sulla spalla.

«Come avete fatto a mettervi in salvo?» chiese lo scudiero.

«Ho combattuto finché ho potuto, pensavo che sarei morto, ma il destino ha voluto che dei cavalieri di pattuglia venissero in nostro soccorso proprio prima della nostra disfatta totale...» e così dicendo i due uscirono dalla chiesa mentre Gabriel prese a raccontare con maggiori dettagli la sua disavventura.

«Dio sia lodato.» disse lo scudiero quando finì di ascoltare.

«Cosa hanno detto i francesi?» chiese Gabriel.

«Che avremmo radunato le nostre truppe nuovamente per raggiungere Acri via mare ed evitare così una nuova disfatta.»

«Non siamo in grado di sostenere un nuovo attacco con l'armata ridotta in questo stato, mi sembra una follia.»

«Credo che il re francese abbia reclutato dei mercenari per rifarsi delle perdite già subite.»

«Speriamo bene allora.» ed i due si incamminarono verso il nuovo accampamento.

«Signore, la vostra armatura necessita di essere pulita, è incrostata di sangue.»

«Già... lo farete mentre riposo domani mattina.»

E fu così che le armate superstiti, meno della metà di quelle che erano in partenza, furono rinforzate da mercenari locali delle etnie e religioni più disparate. Se ne accorse Gabriel quando giunse all'accampamento e fu alquanto perplesso. Alcuni di loro avevano visibilmente la fisionomia araba e Gabriel si chiese come potessero mai combattere assieme a loro. Fu Cesar a spiegargli che all'interno del mondo arabo vi erano divisioni religione non del tutto dissimili da quelle all'interno del mondo cristiano. Nei pochi giorni che rimasero assieme nell'accampamento Gabriel ebbe serie difficoltà a socializzare con i mercenari, passavano la maggior parte del tempo a bere e giocare a dadi, non esattamente il passatempo preferito di Gabriel che quando poteva, si toglieva l'armatura e se ne andava a cavalcare con Aguacero. Con i restanti superstiti invece aveva un buon rapporto, ma le disgrazie e la disfatta precedente avevamo messo sul volto di tutti un'ombra pessimista che li faceva essere raramente socievoli. E così, di lì a breve si imbarcarono per Acri. Gabriel fu estremamente scrupoloso durante il viaggio, specialmente in quanto reduce di un disastro navale. Si legò accuratamente con una cima prima di andare a dormire, mentre Cesar passò tutta la notte sveglio a pregare per il bel tempo. Paure a parte, il viaggio fino ad Acri fu particolarmente piacevole. La città era baciata dal sole e mostrava uno splendore diverso dalle città occidentali.

Molte delle strutture infatti, erano state costruite seguendo l'architettura araba, prima della presa dei cristiani. La città mostrava ancora qualche cicatrice degli scontri passati. Qualche palazzo era ancora visibilmente danneggiato, così come le mura, non in ottimo stato, ma di vita era un brulicare. Fu montato un nuovo accampamento, poco fuori le mura della città. Nei primi giorni, sopratutto per via della presenza dei mercenari, molto indisciplinati, regnò la confusione più totale. Finché qualche giorno dopo, un gruppo di mercenari si avviò verso la città e tornò diverse ore dopo particolarmente soddisfatto. Fu seguito da un altro gruppo e un altro ancora tanto che sopraffatto dalla curiosità, Gabriel decise di chiedere dove e in che modo passassero il loro tempo considerando che lui passava le sue giornate a praticare la spada con i superstiti della spedizione normanna all'accampamento. Gli rispose sorridendo un mercenario dall'aria e l'accento francese:

«Vi sono delle belle donne in città, perché non vieni con noi la prossima volta?»

Gabriel rispose in maniera innocente:

«Certo, vengo volentieri.» convinto che magari il mercenario si stesse riferendo a delle normalissime donne di sua conoscenza.

Quando la sera lo riferì a Cesar, questi per poco non scoppiò a ridere, ma non ebbe al tempo stesso il coraggio di dirgli nulla, tanto era imbarazzante per lui parlarne. E così un pomeriggio, Gabriel alzò leggermente il gomito per socializzare con un piccolo gruppo di mercenari e si diressero poi assieme verso un bordello. Vi era un omone dai lineamenti arabi armato di scimitarra all'ingresso che chiese a tutti gli uomini di depositare le armi, cosa che Gabriel fece volentieri in quanto ritenne molto poco appropriato presentarsi ad una dama con un pugnale al fianco in mano. E fu così che un mercenario tirò fuori delle monete dalla sua tasca e le porse all'uomo di guardia, prima di essere seguito dagli altri. Fu a quel punto che Gabriel, facendo lo stesso, rimase alquanto perplesso da quella strana usanza. I mercenari si diressero verso un corridoio largo un paio di metri con molte stanze ai lati il cui ingresso era coperto da una tenda. Alcuni dei mercenari si fecero avanti ed entrarono in una stanza spostando le tende. Incuriosito da una dolce fragranza di spezie miste a fiori che veniva dall'interno di uno dei vani bui, Gabriel decise di dare una sbirciata all'interno: una giovane ragazza, dagli occhi neri e la carnagione olivastra, era intenta a pettinarsi i capelli seminuda di fronte ad uno specchio di rame. Il cavaliere, che non aveva oltrepassato la tenda che con metà busto, rimase pietrificato ad osservare i suoi seni scuri al vento. La ragazza, accortasi della sua presenza e gradendo l'aspetto giovane e affascinante di Gabriel, forse abituata com'era a vecchi uomini di passaggio, smise di pettinarsi i capelli e si girò sorridendo verso di lui. Scostò la sedia e si alzò in piedi, coprendosi i seni con un vestito di lino leggero che lasciò intravedere comunque le sue forme. Fu in quel momento che qualcuno, un mercenario o la guardia stessa, spinse violentemente il ragazzo verso l'interno della stanza. Gabriel fece un volo tra le braccia della giovane prostituta e, divenuto rosso per l'imbarazzo, e prese goffamente a scusarsi in francese.

«Perdonatemi signorina sono mortificato» disse, ma la ragazza non rispose. Fece un passo indietro e disse ancora, sorridendo senza capire cosa stesse succedendo.

«Devo essere finito a casa vostra per un equivoco, vi prego di scusarmi ancora.»

Invece di essere spaventata, la ragazza fece un passo verso di lui e lo abbracciò, sfregando il suo corpo nudo e caldo sul petto possente del giovane, dicendo:

«Non parlo francese.»

Gabriel, piacevolmente imbarazzato, cominciò a parlare latino e aragonese, nella speranza di farsi capire ma senza riuscire a spiegare il suo disguido. La prostituta allora cominciò a spogliarlo della sua veste e passò le sue labbra sul suo petto baciandolo ripetutamente, mentre faceva scorrere le mani sul suo sesso. Fu allora che il cavaliere, che per anni aveva vissuto di castità, senti un brivido di piacere e non riuscì più a trattenersi. La giovane prostituta, probabilmente praticava da una vita intera questo mestiere, sapeva bene come comportarsi per donare piacere ai suoi clienti e Gabriel in diverse occasioni perse completamente il controllo, cosa che raramente faceva normalmente, da persona estremamente determinata qual'era. Fu un esplosione di eccitazione per entrambi, e quando finì, rimasero ancora avvinghiati sul letto. Per un attimo, gli era parso di dimenticare tutto: il suo nome, le battaglie, la famiglia... e giacque di gusto accanto a lei che rimase ad accarezzarlo, senza dire una parola, per qualche minuto. Avrebbe potuto rimanere in quella posizione per un lungo tempo. Fu allora che, come un brusco risveglio dopo un sogno, l'omone di guardia infilò la testa oltre la tenda ed urlò, in un pessimo francese:

«Adesso vattene.»

Il cuore di Gabriel sembrò scoppiare tanto era lo spavento, scattò in piedi, rovesciando su un lato il corpo addormentato della prostituta, e cercò di rivestirsi velocemente, ma lo fece in maniera molto maldestra. Solo prima di uscire lanciò un ultimo sguardo alla ragazza che rispose con un sorriso, sicuramente con la triste consapevolezza che mai più gli sarebbe ricapitato un cliente così affascinante, nonostante anche Gabriel avesse addosso, come tutti i suoi compagni, quel puzzo inconfondibile della battaglia. Trovò tutti i mercenari fuori dal bordello, intenti a rinfoderarsi la loro rispettiva arma. Tutta l'eccitazione e la frenesia che avevano all'ingresso era ora svanita, camminavano infatti lentamente e senza parlare molto. Gabriel che era tornato nuovamente alla normalità si sentì adesso quasi in imbarazzo per quello che era appena successo, quando rivide Cesar non proferì parola e tenne lo sguardo basso. Lo scudiero però aveva intuito sin dal principio cosa sarebbe successo e, ritenendola una cosa perfettamente accettabile, non chiese mai spiegazioni a Gabriel né fece mai alcuna allusione a quello che era accaduto. Cosa che Gabriel apprezzò molto. Prima di addormentarsi, si immaginò nuovamente di dormire assieme alla giovane prostituta, traendone una sensazione piacevole. Si convinse, nel dormiveglia, che l'indomani ci sarebbe sicuramente tornato. Ma la mattina vi fu una triste sorpresa: l'intera armata fu svegliata e radunata per la partenza. Vi fu un portavoce del re francese a comunicare, nello stupore e delusione di tutti, che l'obbiettivo non sarebbe più stato riconquistare Edessa, motivo per cui tutti i cavalieri li presenti si erano arruolati, ma conquistare Damasco.

Il motivo era strategicamente sensato: Edessa sarebbe stata troppo esposta dagli attacchi da oriente e con un armata così malridotta non sarebbero stati in grado di tenerla. Damasco invece era più vicina e di conseguenza più facilmente difendibile. Ma c'era un problema enorme, come spiegò Cesar a Gabriel, ovvero la città era si, in mano ai musulmani, ma erano musulmani d'Egitto, diversi da quelli d'Oriente, che avevano collaborato con gli europei durante la presa di Gerusalemme. Gabriel era nuovamente in shock, di nuovo questi compromessi andavano ad insinuarsi nella mente del giovane cavaliere che non riusciva a comprendere la politica dietro certe scelte. Per un attimo Gabriel andò su tutte le furie, nulla di quello che gli stava accadendo assomigliava ai racconti del padre con i quali era cresciuto sognando i cavalieri. Qui c'erano solo compromessi, politica e guerre fratricide. Per un attimo perse la testa e si convinse di poter parlare di persona al re francese. Presto però si rese conto che non era la stessa cosa che parlare con il suo defunto amico duca Altavilla. Il re lo avrebbe fatto addirittura imprigionare per un affronto del genere.

«Persino la vostra famiglia pagherebbe le conseguenze di un atto talmente sconsiderato mio signore.» gli disse Cesar cercando di farlo ragionare.

Quando si fu calmato, Gabriel si mise in disparte e suonò con il suo flauto greco una melodia particolarmente triste. Mentre le note si spargevano nell'aria pensò a quello che sarebbe successo se avesse disertato scappando via di nascosto. Quale giustificazione avrebbe potuto portare a casa, cosa avrebbe mai potuto raccontare al padre che sembrava così speranzoso nei suoi confronti. Per quelli come lui, fratelli minori, sembrava non esserci alcun posto nel mondo. Ovviamente non fu l'unico a sentirsi in quel modo. L'intera armata era assolutamente delusa e avrebbe volentieri disapprovato l'assalto a Damasco. Ma la decisione ormai era già stata presa. E l'armata smontò le tende per partire la sera stessa, attraverso il tiepido autunno arabo.

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