Il "primo" San Valentino
"Ascolta sempre il tuo cuore perché ha sempre ragione"
(Nicholas Sparks)
Serena si aggirava nervosa per la sua camera da letto. Aveva tirato fuori tutti i vestiti dal suo armadio, ma nessuno sembrava andare bene.
Sbuffando prese un abito in chiffon blu, se lo rigirò tra le mani. Era carino, ma non le sembrava adatto: niente le sembrava adatto per quel giorno. Urgeva un aiuto. Prese il cellulare e mandò un sms a sua sorella Giorgia con scritto solo "Help Me!".
Non passò neanche mezz'ora che il campanello di casa suonò. Serena si diresse in vestaglia ad aprire. Mancavano ancora diverse ore all'incontro con Cesare, ma si sentiva già come una scolaretta al suo primo appuntamento. Eppure lei era già stata sposata e aveva due figli.
Per fortuna quella settimana, la settimana di San Valentino, i ragazzi erano con il padre e Brigitte, la sua nuova giovane compagna, a sciare sulle Dolomiti, altrimenti non ce l'avrebbe fatta a gestire anche loro.
Aprì la porta, sicura che fosse Giorgia, sua sorella, e invece si trovò di fronte un gigantesco mazzo di rose rosse, dal quale spuntavano i capelli neri di Cesare, il suo Cesare.
Cacciò un urletto chiudendo di riflesso la porta, quasi a sbattergliela in faccia. «Che ci fai tu qui? Non è ancora l'ora!» disse.
L'uomo, per niente scoraggiato dalla reazione della donna, mise un piede in avanti per evitare che la porta si chiudesse definitivamente e rispose: «Serve un motivo preciso per andare dalla propria compagna il giorno di San Valentino? Ho solo seguito il mio cuore e lui mi ha portato qui da te!»
«Cesare, ma sono impresentabile...» disse la donna in tono lamentoso.
Lui rise di quell'affermazione e con le rose ancora saldamente in mano si fece spazio, entrando in casa. La baciò senza esitazione dicendole con tono malizioso: «Mia dolce Memole, è praticamente impossibile che tu sia orribile; ricorda comunque che ti preferisco senza trucco e soprattutto senza vestiti!»
Le afferrò con la mano libera la cintura della vestaglia e Serena sobbalzò per la sorpresa.
Cesare, da quando si erano rincontrati dopo venti anni, la notte della vigilia di Natale appena trascorsa, non aveva perso occasione per dimostrale quanto l'amasse e sopratutto quanto la desiderasse.
«Stavo aspettando mia sorella» rispose Serena, rimettendo a posto la cintura e sistemandosi la vestaglia, per poi prendere le rose che l'uomo aveva in mano e disporle in un bel vaso di cristallo.
«Avevo un po' di tempo per pranzo ed essendo già in zona ho deciso di venire a farti un saluto. Mi mancavi, Memole!»
Serena lo guardava rapita. Ancora non si capacitava del fatto che un uomo bello come Cesare Bacci, con un fisico invidiabile anche a quarant'anni, potesse aver scelto lei, Serena Alberti, da lui soprannominata Memole, una vecchia compagna di scuola, nonché migliore amica ai tempi del liceo, come donna della sua vita. Serena fissava con i suoi occhi nocciola quelli verdi tendenti al grigio di lui, che a sua volta non distoglieva lo sguardo da lei.
Da quando si erano incontrati di nuovo, Cesare aveva fatto di tutto per rendere chiaro a Serena che lui non l'avrebbe più lasciata andare. E così era stato: aveva persino acquistato un albergo nella sua città, dal momento che era un imprenditore alberghiero.
Cesare stava per baciarla ancora quando suonarono alla porta per la seconda volta.
Serena sbuffando andò ad aprire e si trovò di fronte una Giorgia molto trafelata che entrò in casa senza nemmeno guardarsi intorno e disse: «Scusa, tesoro, ho fatto il prima possibile. Che succede? Qual è l'emergenza, ha preso fuoco la casa?»
Solo quando fu nel salotto si rese conto che lei e la sorella non erano da sole. Appena inquadrò l'intruso con un gran sorriso celiò civettuola: «Cesare Bacci, che piacere vederti!»
L'uomo le sorrise di rimando; erano anni che non vedeva la sorella della compagna e se la ricordava molto bene, anche se nei suoi ricordi era solo una ragazzina dalle lunghe trecce che li infastidiva quando loro cercavano di studiare.
«Bene, belle signore, mi sa che sono di troppo. Amore, ci vediamo stasera, mando una limousine a prenderti alle venti. Mi raccomando, non tardare troppo!» e detto ciò l'uomo la baciò con impeto, incurante della sorella lì presente. Appoggiò una mano sulla porta e uscì, non prima di dirle malizioso: «Eh, Memole, non perdere troppo tempo con i vestiti: non penso che ti serviranno molto!»
Serena era bordeaux, non solo per il bacio che l'aveva già tutta scombussolata, ma anche per quelle parole che erano un'esplicita dichiarazione di intenti per la serata.
Giorgia fissava la sorella con gli occhi sgranati. Da quando l'aveva mandata forzatamente a quella vacanza sulle Alpi Serena era tornata che era un'altra, una donna nuova. Era partita come ex moglie tradita, fresca di divorzio, ed era tornata come una giovane adolescente innamorata.
Giorgia sapeva molto bene che Cesare Bacci era stato l'amore, anche se solo platonico, di sua sorella. Ricordava benissimo le giornate passate a guardarli di nascosto mentre studiavano, oppure ascoltando musica o anche solo osservavano le nuvole e il cielo azzurro in silenzio. Aveva invidiato tanto il rapporto che c'era fra sua sorella e quel ragazzo.
Non aveva mai capito perché a quei tempi lei avesse preferito la compagnia di quello che ora era il suo ex marito, Roberto Reni, invece che tentare la felicità con Cesare.
Da quando la sorella le aveva detto che l'aveva incontrato la notte di Natale, Giorgia non stava più nella pelle dalla gioia e sperava veramente che quello fosse per lei un nuovo inizio. Quello del miglior tempo della sua vita.
Serena la distolse dai suoi pensieri sbuffando. «Meno male che sei arrivata! Non so se avrei resistito ancora a lungo se avesse continuato a stare qui!»
La sorella ridendo le disse: «Sere, quell'uomo è bello come un Dio nordico. Punto! Nessuno gli resisterebbe a lungo, ma tu non crederai mica di essere fuori pericolo? Hai solo rimandato di qualche ora l'inevitabile. Cesare non mi sembra disposto a concederti molto tempo con i vestiti addosso né stasera né altre sere in generale, se vuoi sapere come la penso! Allora, su, qual è l'emergenza?»
Serena, bofonchiando sulle parole della sorella, si diresse verso la camera, lamentandosi di non avere un vestito da mettersi per la serata.
Arrivate nella stanza, Giorgia guardò sconsolata la distesa di abiti che si trovava sul letto. Cercò con pazienza certosina in tutto quel mucchio di roba per vedere se c'era qualcosa che potesse andare bene per l'occasione. Alla fine tirò fuori un abitino rosso con lo scollo a barca in raso: era perfetto!
Prese dei sandali gioiello argento e una pochette dello stesso colore con uno scialle che la madre aveva regalato alle sorelle per i loro compleanni, identica per entrambe, alcuni anni prima.
Serena, senza parole, guardava la sorella. Come faceva Giorgia a trovare sempre la cosa giusta da mettere? Già, non se ne ricordava mai, ma lei in fondo era una stilista e sapeva bene come abbinare capi e accessori per ogni occasione.
Le sorelle Alberti, pur avendo tre anni di differenza, sembravano quasi gemelle, sia per l'indubbia somiglianza fisica, sia per il rapporto stretto che si era creato tra di loro con gli anni. Soprattutto da quando Cesare era andato a studiare all'estero e Sere era rimasta sola a crescere i figli di Roberto, anche prima di divorziare effettivamente da lui.
Giorgia dal canto suo avevo aspettato a sposarsi, insicura del suo rapporto con Giovanni, l'uomo che l'aveva aiutata a diventare stilista e con il quale aveva vissuto per diversi anni. Ormai entrambe erano separate dai primi mariti e avevano dei nuovi compagni.
Serena finì di vestirsi con l'aiuto di Giorgia e per l'orario previsto da Cesare era pronta. Aveva raccolto i capelli in una coda alta lasciando alcune ciocche laterali, naturalmente si era fatta la ceretta e aveva indossato delle calze leggere nere. Sapeva benissimo che l'uomo adorava i collant neri e per l'occasione aveva pensato di osare con delle autoreggenti.
Con la sorella aveva parlato tutto il pomeriggio di quell'incontro, ma non aveva avuto il coraggio di confessarle che era molto nervosa principalmente perché quello sarebbe stato il loro "primo" San Valentino. Certo, ne aveva vissuti altri, però quello aveva un'importanza particolare per lei.
Per tanto tempo aveva fantasticato come sarebbe stato trascorrere un San Valentino con Cesare, il suo Cesare, e adesso che era arrivato il momento le tremavano le ginocchia. Sembrava una cosa stupida, perché lui le aveva già detto più volte "ti amo", ma lei si sentiva ancora insicura di quell'amore che aveva agognato per tutta la vita.
Una lussuosa limousine bianca arrivò puntuale all'ora prestabilita e Serena fu molto stupita di non trovarvi dentro Cesare ad aspettarla. L'autista la fece accomodare e la macchina partì subito, inghiottita nel buio della sera. Il tragitto fu breve ma allo stesso tempo lunghissimo. La mente di Serena vagava davanti a scenari apocalittici: perché lui non era venuto a prenderla? Forse quelle rose erano un addio?
Tutte stupidaggini che si dissolsero come neve al sole quando la macchina si fermò e la portiera fu aperta proprio da Cesare, il suo Cesare.
L'uomo era fasciato in un impeccabile completo nero, con camicia bianchissima e cravatta rossa. Le fece un elegante baciamano aiutandola a uscire dall'auto, dicendole semplicemente: «Sei splendida!»
La prese quindi per un fianco stringendola a sé e la accompagnò verso l'interno di una lussuosissima villa. Il viale era tutto illuminato da candele e loro si diressero in quello che doveva essere il giardino d'inverno. Non c'era nessuno, se non loro due e un tavolo tondo, intimo, con al centro delle candele rosse, le posate molto chic e un cameriere che garbatamente li salutò appena li vide.
Cesare spostò la sedia e la fece accomodare. Serena era in una bolla di felicità, come la sera di Natale, quando erano andati a mangiare alla baita, anche se ancora non si erano detti "ti amo".
Cesare fece un cenno al cameriere, che portò lo champagne, così iniziarono la cena fra vecchi e nuovi ricordi. Tutte le volte che erano insieme iniziavano a parlare del loro passato, del tempo che avevano trascorso insieme da adolescenti e di quello che non si erano detti allora; delle giornate che avevano passato a leggere, di quelle in cui credevano che non si sarebbero più rivisti e di tante altre cose.
A un certo punto a una battuta Serena rise. Cesare, allora, guardandola dritto negli occhi nocciola le disse: «Sai, Sere, quando ho capito che mi ero perdutamente innamorato di te?»
La donna lo guardò attenta, come per dire che lei non lo sapeva. Lei era innamorata di Cesare sin da quando i suoi occhi grigi si erano incontrati con quelli nocciola di lei, dal giorno in cui lui le aveva detto "Ciao, posso sedermi accanto a te?". Era il primo giorno di scuola delle superiori e Serena aveva appena quattordici anni.
«Mi sono innamorato di te quando ti ho sentito ridere per la prima volta. Erano passati solo alcuni giorni di scuola e tu, parlando con Romina, una nostra compagna, hai riso. Io ho visto la scena e ho pensato subito che sarebbe stato bello se quelle stesse risate te le avessi causate io, per sempre. Poi però siamo diventati migliori amici e tutte le volte che pensavo "voglio di più" mi dicevo che non era il momento per dirti che ti amavo. Avevo una paura folle che questo avrebbe comportato la fine della nostra amicizia. Sono stato un codardo... Se l'avessi fatto probabilmente i figli che adesso hai con Roberto sarebbero i miei e tu forse non avresti dovuto subire l'onta di un divorzio.»
Serena non aveva perso un attimo del discorso a cuore aperto di Cesare. Aveva gli occhi lucidi. Sapere che anche lui l'amava da così tanto tempo era quasi un fulmine. Come se la freccia di Cupido, che l'aveva colpita tanti anni prima, quando l'aveva conosciuto, si fosse di nuovo conficcata nel suo cuore.
Gli prese dolcemente la mano e gli rispose: «Non possiamo, tesoro, sapere che cosa ci avrebbe riservato la vita se avessimo fatto scelte diverse. Però posso dirti che questo sarà il primo San Valentino di tanti. Insieme io e te, Cesare, se lo vorrai. Qualcuno di molto saggio ha scritto di ascoltare sempre il proprio cuore perché questo ha sempre ragione. Beh, è vero, e anche se con vent'anni di ritardo, noi l'abbiamo fatto e per questo non dobbiamo avere paura, non più!»
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