4) Vacci piano, Playboy
L'incontro è terminato da poco meno di un'ora con l'inaspettata vittoria del Signor Price. Il suo avversario, dopo il primo colpo che è riuscito ad assestargli, non è più stato in grado di sfiorarlo nemmeno con un dito. E io, per mia fortuna, non ho più avuto nessun contatto di alcun tipo con lui. Anche perché da quando ha preso lui il controllo della situazione, non ci è voluto molto prima che la campanella annunciasse il termine dell'ultimo round e il vincitore venisse dichiarato.
Non che lui abbia dato l'impressione di essere particolarmente entusiasta della sua vittoria. L'unica cosa di cui è sembrato essere soddisfatto è stato ammirare il modo in cui ha conciato l'altro tipo. Una cosa da film horror. Mi sono sentita male per il poveretto.
Dopo ciò che ho visto, mentirei se dicessi di non aver sviluppato un leggero timore nei confronti di quell'uomo.
E la cosa peggiore è che soggiorno nel suo hotel. Un hotel che mi è costato una buona parte dei risparmi dei miei genitori e a cui non intendo e non posso rinunciare. Non fino a quando non avrò raggiunto il mio scopo.
La verità è che le possibilità che ho di evitarlo sono pari a zero. L'unica alternativa minimamente accettabile che mi rimane al trasferirmi al motel di motociclisti, è fare finta di niente e comportarmi come un'ospite come gli altri.
Semplice. Niente di più facile. O almeno, così dovrebbe essere.
Una volta riscossi i profitti della mia misera puntata, mi acquatto in un angolo all'esterno dell'edificio, nel disperato tentativo di mettermi in contatto con un taxi che possa riportarmi in albergo al più presto.
Non vedo l'ora di sedermi davanti al mio computer a studiare il materiale raccolto e cercare di mettere un po' di ordine ai pochi tasselli che ho in mano.
Ma, più di tutto, non vedo l'ora di farmi un bel bagno e togliermi di dosso quest'odore di stantio. Mi sento come nonno Jo dopo una partita al bingo con i suoi amici pensionati.
Puzzo di fumo misto ad alcool e sudore.
Non emano esattamente la più femminile delle fragranze, ecco.
Dopo interminabili minuti di attesa finalmente ricevo risposta dall'altro capo del telefono, anche se, purtroppo, la voce gracchiante e assonnata dell'operatrice non fa che aggiungere punti al mio impareggiabile record nella classifica di persona più sfigata sulla faccia della Terra.
La mia voglia di andare a fare l'autostop o di prendere in prestito l'arrugginito carrello della spesa del barbone qui all'angolo sale alle stelle.
Quaranta minuti.
Quaranta minuti ad aspettare un taxi in mezzo al nulla circondata da una banda di trogloditi violenti e con un barbone con il primato nel lancio della bottiglia di birra a pochi passi da me.
Perfetto. Davvero, davvero perfetto.
E, come se non ci mancasse altro a questa indimenticabile serata, un tizio dall'inconfondibile aroma di alcolici scadenti e sudore rappreso sulla sudicia canottiera bianca che avvolge il suo addome sporgente, nel barcollante tentativo di raggiungere la sua auto mi viene addosso. Sicura di trovarmi con la faccia spiaccicata al suolo e con i vestiti ricoperti di breccia e fanghiglia, sto per lanciare l'ennesimo insulto all'universo.
A trattenermi dal farlo è la sensazione di calore diffuso che mi pervade quando noto le dita di Ethan Price sfiorarmi l'avambraccio lasciato scoperto dalla giacchetta di pelle e la parte bassa della schiena.
Presa coscienza della sua soffocante vicinanza, indietreggio con velocità fulminea fino a scontrare la fredda parete contro cui ero appoggiata fino a poco fa. E di colpo, mi sembra anche di tornare a respirare.
«Stai bene?» la sua voce rauca mi distrae dall'immagine delle sue nocche arrossate. Guardo dappertutto, eccetto la sua faccia.
Il torace scolpito coperto da una comune maglietta nera a cui si abbinano dei semplici quanto illegali pantaloni di tuta grigi.
Mi giro di lato per impedirgli di vedermi strozzarmi con la mia stessa saliva.
«Ehm...sì, grazie.» mi schiarisco la voce, agitata e al contempo infastidita da questa situazione. Mi sta venendo il tic alla gamba.
Ci manca solo che mi riconosca. Allora non servirebbero di certo i miei per rinchiudermi in un pozzo insieme a Samara, perché ci penserei io a fiondarmici a capofitto.
Per evitare il verificarsi di questo pessimistico scenario, cerco di inventarmi su due piedi una scusa che possa permettermi di prendere le distanze dalla sua presenza oppressiva: «I-io devo andare, il mio taxi sta per arrivare» indico con fare impacciato un punto indistinto alle sue spalle.
Ma neanche il tempo di fare un passo, che soffoco un urlo in gola, quando la sua mano, ricoperta da piccoli tagli in totale contrasto con il leggero strato di abbronzatura, torna a circondarmi il polso: «Non credo che questo sia il posto migliore in cui vagare per una ragazza a quest'ora» il suo tono di voce pacato, ora privo di qualsiasi cenno della rabbia che gli ho visto sfogare questa sera, mi provoca un brivido di freddo lungo la spina dorsale.
Per quanto vorrei allontanarmi convinta delle mie parole, guardandomi intorno, non posso dargli torto. È pieno di uomini violenti senza scrupoli.
Anche se, mi ricorda una vocina in un angolo remoto della mia testa, lui non è tanto diverso da loro.
«Vorrà dire che lo aspetterò qui», mi siedo sul piccolo gradino, senza dargli la soddisfazione di ammettere che abbia ragione.
Per ingannare l'attesa, gingillo da un'app all'altra sul cellulare aspettando che se ne vada. Ma quando alzo gli occhi, scopro con mia tremenda sorpresa che è ancora piantato davanti a me con le braccia incrociate al petto e il borsone da palestra stretto tra le sue caviglie.
Si può sapere che problemi ha quest'uomo? Perché la mania di grandezza, rientra sicuramente tra questi.
«Posso fare qualcosa per te?» alzo gli occhi al cielo, palesemente stizzita.
Non risponde, gli occhi ridotti a due fessure mentre sembra volermi risucchiare l'anima.
«Mi farai venire il mal di pancia se continui così», sono le mie parole a farlo riscuotere dal suo stato di trance.
«Quanto tempo manca per il taxi?», si schiarisce la voce, ignorando completamente la mia precedente affermazione.
Lo scruto con attenzione per cercare di capire dove voglia andare a parare. Questo mio gesto però sembra infastidirlo, perché si avvicina bruscamente nella mia direzione.
«Allora?» continua imperterrito, le vene del collo sul punto di implodere.
Vacci piano, Playboy.
Con la speranza che questo possa aiutarmi a togliermelo dai piedi, sblocco il telefono per monitorare la posizione del mio taxi.
Un lamento isterico fa per uscire dalle mie labbra, quando con spiacevole sorpresa leggo quasi quindici minuti di attesa in più rispetto a quando ho controllato l'ultima volta.
«È a tre minuti da qui. Quindi, sentiti pure libero di andartene. Non ho più bisogno delle tue prestazioni da bodyguard.» mento spudoratamente, cercando di non fargli intercettare il mio sguardo e cogliermi in fallo.
Per un attimo sembra crederci.
Ma giusto per un attimo.
Infatti non mi dà neanche il tempo di reagire che il mio telefono si trova tra le sue mani. E uno sbuffo divertito, seguito da un leggero ghigno, mi confermano di essere stata stata smascherata.
«Tre minuti. Certo.» distoglie per un attimo l'attenzione dallo schermo per spostarla distrattamente sul mio viso. Nel compiere questo gesto, il ciuffo di capelli neri ancora umidi gli sfiora le palpebre.
Mi chiedo, come può un uomo essere dannatamente provocatorio e irritante al tempo stesso?
Sto per rispondergli a tono e protendermi per riacciuffare il mio telefono, quando è lui a farlo di sua spontanea volontà per poi darmi le spalle.
Lo guardo perplessa mentre si allontana.
Boh.
Vabbè.
«Allora, hai intenzione di seguirmi o restare lì impalata a fare da bersaglio al vecchio Fred?» gli esce più come un ordine che come un'offerta di aiuto.
Vorrei tanto dirgli che dopo aver scoperto di cosa è capace, preferirei di gran lunga la compagnia del senzatetto alcolizzato qui all'angolo, che condividere la sua stessa aria. Figuriamoci intrappolata in macchina insieme a lui.
Eppure, in men che non si dica, realizzo di star correndo verso la sua auto, sbattendomi la portiera alle spalle e appiattendomi contro il sedile in quella che pare una frazione di secondo.
Un attimo dopo, una bottiglia di vetro si schianta a pochi centimetri dal cofano.«Vecchio a chi? Razza di idiota!» sono le ultime parole che sento prima che Ethan metta in moto.
E per un istante mi sembra anche di vederlo sorridere.
📰📰📰
Siamo in viaggio da quasi venti minuti. Venti minuti di immobilità totale.
Il Signor Price è così impassibile e composto al mio fianco, che ho paura che anche solo un mio piccolo respiro potrebbe farlo polverizzare davanti ai miei occhi.
Tuttavia, questo non mi impedisce di distogliere cautamente l'attenzione dal panorama fuori dal finestrino e lanciargli qualche occhiata fugace di tanto in tanto.
È un uomo così rigido. Anche senza il suo impeccabile completo elegante a fasciargli il corpo, sembra uscito da una rivista di moda.
La mascella tesa e le mani perfettamente salde al volante, lo fanno quasi sembrare una statua di cera.
«Cosa stai facendo?» rompe il silenzio con un misto di sorpresa e parsimonia.
«Sto verificando una mia teoria».
Arrivata a questo punto non mi interessa di quale potrà essere la sua reazione.
«Ed è necessario tastarmi per farlo? Vorrei farti notare che sto guidando. Ci terrei ad arrivare a destinazione a bordo della mia auto e non sulla barella di un'ambulanza con accusa di tentato omicidio-suicidio» puntualizza.
«Hai ragione, scusa.», ritorno al mio posto.
«Ad ogni modo non mi è servito. Non sono ancora riuscita a capire se tu sia anche solo lontanamente umano.» riporto l'attenzione sulle luci che illuminano il deserto del Nevada, le braccia conserte sotto al seno.
«È a questo che ti è servito punzecchiarmi? Per sfatare la mia umanità?» un cenno di perplessità nella sua voce solitamente risoluta.
«Già.» e per capire se il tuo fisico sia davvero così statuario come sembra, ma questo non glielo dico.
Altro che di cera. Quest'uomo è stato scolpito da un blocco di solido marmo da Michelangelo in persona.
Lui mi sbeffeggia di rimando, accingendosi ad accedere una sigaretta.
Tra un tiro e l'altro, con la mano protesa fuori dal finestrino, torna a concentrarsi sulla strada.
Quando ad un certo punto lo vedo imboccare una direzione completamente diversa da quella da cui ricordo di essere passata stamattina, avverto una spiacevole sensazione di vuoto al centro del petto.
Un attimo. Dove mi sta portando?
Ora che ci penso, non ricordo neppure di avergli detto dove andare. E il suo volto imperscrutabile non mi rassicura affatto.
Che abbia capito chi sono? O ha semplicemente visto la mia destinazione quando mi ha strappato il telefono dalle mani?
Questa volta preferisco tacere. La stanchezza ha la meglio sul mio spirito di sopravvivenza. Tanto, avrò la mia risposta a breve.
Per mia fortuna, pochi minuti dopo posso tirare un sospiro di sollievo quando lo vedo sostare davanti all'entrata del suo hotel.
Resto in silenzio anche quando me lo ritrovo ad un palmo di distanza, mentre cerca di avvicinarsi il più possibile al mio finestrino già aperto per richiamare l'attenzione di uno dei concierge.
Un ragazzo con indosso un'uniforme rossa fa per aprirmi la portiera, ma neanche il tempo di fare un passo che viene preceduto dal suo capo.
«Accompagna la signorina alla sua stanza. E assicurati che abbia qualsiasi cosa possa servirle.» ordina prontamente prima di arretrare.
Slaccio la cintura e rivolgo un sorriso di cortesia al portiere, quindi faccio per scendere dalla vettura quando un tocco freddo e leggero mi sfiora da sopra le calze.
«Al contrario di te io una cosa sono riuscito a capirla. La tua è una cattiva abitudine. Anche se oggi, sei andata decisamente oltre il semplice osservare.» segue una breve pausa. «Che non si ripeta più. Non nel mio hotel. Non con i miei clienti e soprattutto non con me. Sono stato chiaro?» mi ammonisce a denti stretti, alludendo all'appostamento dell'altra mattina al bar.
Annuisco in modo frenetico, incapace a mettere insieme una sola sillaba. Lui lo coglie come un segno a tornare al suo posto e lasciarmi lo spazio sufficiente per uscire.
Ci pensa il suo impiegato a richiudere la portiera alle mie spalle. Io resto con gli occhi puntati sul marciapiede sotto di me, ancora scossa dagli avvenimenti di questa serata, fino a quando il rombo dell'auto di Ethan Price è sufficientemente lontano da lasciarmi accompagnare all'interno della struttura.
Sono nella merda.
•••
Povera Ginger, non gliene va bene una.
Nella vita reale credo saremmo ottime amiche ahaha
Se vi va, fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto 🥰
Vi ringrazio per il vostro supporto.
Siete speciali ❤️
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