3) Fighetto incazzato

Sono più di due giorni che l'enigmatico proprietario del Price Hotel si è come dileguato.
Non che io lo stia stalkerando, sia chiaro.
Da quando l'ho incrociato l'altro giorno in piscina, sembra sparito.
In compenso, però, sono riuscita a concentrarmi sul motivo del mio soggiorno in questo albergo di lusso, riuscendo ad acquisire qualche informazione in merito ad un certo affare che il Signor Riviera avrebbe in ballo qui a Las Vegas.

Secondo le voci che corrono in giro, la sua impresa immobiliare sarebbe nient'altro che una copertura ad attività di stampo criminoso.
È per questo che, nonostante il mio lato razionale mi abbia suggerito più e più volte di tenermi lontano da possibili risvolti negativi, la reporter che è in me non ci ha pensato due volte a salire a bordo di un taxi all'inseguimento del Signor Riviera. Più che inseguimento, per evitare di finire in qualche altro guaio con la legge, preferirei definirlo un pedinamento.
Anche perché non credo che sta volta mio padre verrebbe a pagarmi la cauzione. Probabilmente mi ha già rinnegata.

Mentre di tanto in tanto mi assicuro che il tassista non abbia perso di vista la berlina nera, riascolto attentamente la registrazione della telefonata di qualche ora fa tra il Signor Riviera e un uomo di cui ancora non ho scoperto l'identità. Con il suo marcato accento spagnolo, l'unica cosa che sono riuscita a recepire è un indirizzo. Che suppongo sia il luogo verso cui si stia dirigendo. Spero solo non sia un posto abbandonato e sperduto in mezzo al nulla dove potrebbero farmi a pezzettini e farmi sparire senza lasciare tracce.

Quando ripongo gli auricolari nella mia borsa, mi accorgo che abbiamo svoltato in una strada che conduce ad un quartiere residenziale.
Faccio fermare l'autista un paio di case indietro rispetto alla villa in cui sta entrando l'imprenditore spagnolo. Cerco di sporgermi per scoprire chi è la persona che ha voluto incontrarlo, ma, nel mio goffo tentativo di sporgermi dal finestrino, do una botta alla testa che mi costringe a rientrare nell'abitacolo e accasciarmi sul sedile. Ahia.
Con una smorfia di dolore mi porto una mano alla nuca, mentre al mio fianco, Pedro, il tassista, sembra non riuscire a trattenersi dallo scoppiare a ridere.
«Non un suono, o niente mancia» lo fulmino con lo sguardo.

Dopo non so quante ore di attesa, con Pedro impegnato a risvegliare i morti con il suo russare frastornante, sono ancora con gli occhi puntati sul portone dietro cui è sparito Rafael Riviera e con una penna in una mano e il bloc-notes nell'altra.

Un respiro frustrato lascia le mie labbra e sto per aprire lo sportello con l'intenzione di avvicinarmi e cercare di intravedere qualcosa da una finestra, quando vedo qualcuno uscire e allora riprendo la penna tra le dita.

Sul portico, Riviera è seguito da altri due uomini in completo elegante. Uno dei due cammina al suo fianco mentre percorre il viale verso la macchina che l'ha portato qui, l'altro, invece, con una mano a tenere la giacca grigia appoggiata sulla spalla, li segue a distanza con un'espressione abbastanza scocciata.

Allora, giunto davanti al suo autista che gli tiene lo sportello aperto, il Signor Riviera si volta a stringere la mano al primo dei suoi interlocutori, mentre l'altro lo saluta con un fugace cenno del capo prima di passarsi una mano tra i capelli e allontanarsi nella mia direzione per accendere una sigaretta.

E tra una boccata di fumo e l'altra, l'uomo che fino a pochi istanti fa era con il soggetto del mio scoop, si avvicina a lui. Guardo l'auto del Signor Riviera fare inversione e andare via, decidendo di non seguirlo e rimanere qui per scattare qualche foto ai suoi accompagnatori e riuscire finalmente a completare questo pezzo del puzzle.

Il più giovane dei due, a conferma della stizza  intravista nei suoi gesti, tira un'ultima profonda boccata di sigaretta prima di lanciarla sul marciapiede e calpestarla con violenza. Qualcuno qui è incazzato. Spero per lui che abbia una scorta di camomilla. O comunque di qualcosa di più forte che lo aiuti a calmarsi.

Quindi, si volta in direzione dell'altro, e, dal suo veemente gesticolare con le braccia e dalle spalle tese, capisco che stanno discutendo. Alla distanza a cui mi trovo, però, non riesco a capirne il motivo, e di sporgermi dal finestrino non ci penso proprio.
Quella botta la sentirò per giorni.
Ad ogni modo, suppongo che abbia a che fare con la ragione del loro incontro "d'affari".

Estraggo il telefono dalla tasca per filmare la scena e riuscire ad inquadrare meglio i loro volti. Magari, in questo modo, riguardandolo in hotel con qualche miglioramento, qualcosa riuscirò a capirla.
Così, con la dovuta cautela, protendo il braccio fuori dal finestrino aperto e zoommo la scena.
Quello che fino a poco fa stava fumando mi dà le spalle, quindi non riesco ad intravederne il viso, il suo interlocutore, invece, nel suo elegante abito blu scuro, è un uomo di mezza età dall'aspetto molto curato. Un'espressione di sconforto attraversa il suo viso, nel momento in cui l'altro si allontana con grandi falcate da lui per montare in una decappottabile grigio lucido.

Non so per quale motivo, immagino per il mio innato spirito di curiosità, scuoto bruscamente la spalla di Pedro, che, in tutta risposta, per poco non sfonda il tettuccio del taxi.
«Non lo farò più mi amor, te lo giuro!» urla ancora intontito dal suo pisolino. Ma quando si accorge della mia presenza al suo fianco, distoglie lo sguardo e si sfrega la nuca, visibilmente in imbarazzo.
«Mi scusi, signorina. Non lo dirà al mio capo, vero? Ho una famiglia a cui pensare. Una moglie, tre niños e -»

«Pedro, con tutto il rispetto per il tuo lavoro e la tua famiglia, l'unica cosa che voglio è che tu segua quella macchina.» punto il dito sulla vettura ormai lontana.

«Quindi non parlerà con il mio ca-», «No Pedro, non parlerò con il tuo fottutissimo capo! E adesso segui quella macchina!» al che lui non se lo fa ripetere un'altra volta e sgomma alla Fast & Furious nella direzione che gli ho indicato. E mentre ci allontaniamo, dallo specchietto retrovisore scorgo l'uomo in completo blu ancora in piedi sul marciapiede con il telefono all'orecchio e quella che, ai miei occhi, sembra un'espressione preoccupata.

📰📰📰

Al termine del nostro inseguimento tra le strade trafficate di Las Vegas, dopo essersi assicurato non so quante volte che non lo avrei fatto licenziare, Pedro mi lascia a poche auto di distanza da quella inseguita.
Mi guardo intorno, e quando constato di trovarmi in mezzo al nulla, in un vicoletto buio e fin troppo silenzioso, mi rendo conto che il sole ormai è calato già da un pezzo.

Il rumore improvviso di vetri rotti a terra e qualche imprecazione senza senso a poca distanza da me, mi fanno sussultare. Al che, senza pensarci due volte, mi fiondo nell'edificio in cui ho intravisto entrare il contatto di Riviera.
E quando mi trovo all'interno di un vecchio magazzino in mezzo ad una calca di persone evidentemente ubriache e anche loro su di giri, mi stringo nelle spalle, indecisa se tornare nel vicolo e rischiare di prendermi una bottigliata in testa, o restare qui e rischiare di essere schiacciata viva.
Non faccio in tempo a decidere che un armadio tatuato mi si pianta davanti.

«Su chi vuoi puntare?» estrae fuori una pila di soldi.
«C-come?» chiedo, colta alla sprovvista.
«Su quale dei due pugili vuoi scommettere?» indica un punto alle sue spalle.
Mi alzo sulle punte dei piedi e mi sporgo un po' di lato prima di intravedere un ring.
Oddio. Sono finita ad un incontro di box clandestino.

«Allora?» alza la voce il tipo, piuttosto spazientito.
«N-non lo so. Sto soltanto cercando una persona.» dico con una risata nervosa.

Lui, ad ogni modo, mi rivolge un cipiglio stizzito per poi aggiungere: «Senti, bella, puoi essere qui per qualsiasi cazzo di motivo tu voglia, ma chi vuole restare deve pagare.» va bene, ma calmati.

Nell'afferrare il mio portafoglio, sento il telefono squillare. Tiro un sospiro di sollievo quando scopro trattarsi di Mel.
Nonostante il contesto in cui mi trovo, decido comunque di rispondere alla mia migliore amica, nella speranza di trovare un po' di conforto nelle sue parole. Prima di farlo, alzo un dito in direzione dell'armadio per dirgli di aspettare un attimo, quindi gli do le spalle per appartarmi in un angolo un po' più isolato.

"Hey, hey! Come te la passi nella città del peccato?" ammicca dall'altra parte del telefono, facendomi spuntare un sorriso sulle labbra.

"Non c'è che dire. Mi sono innamorata di un motociclista a capo di una banda, ci siamo sposati e sono rimasta incinta. Ah, e stavamo giusto occultando un cadavere prima che tu mi interrompessi." ribatto con sarcasmo, appoggiando la schiena contro la fredda parete scrostata.

"Bello, almeno tu ti diverti. Io invece sono costretta a sgobbare in questa tavola calda di merda." in sottofondo il rumore di piatti che si scontrano.

"Tavola calda di merda ti tua proprietà, se ci teniamo a precisarlo." le ricordo.

"Hai ragione. Quasi quasi ti raggiungo, sai?Magari commettiamo qualche peccato insieme, che dici?" ridiamo all'unisono al suono delle sue parole, e per qualche istante mi dimentico di trovarmi in questo sfascio.

"A proposito, cos'è tutto questo fracasso?"
La voce della mia amica in sottofondo, mentre mi guardo intorno per cercare di individuare un uomo in tenuta elegante che stoni in mezzo a questa calca di persone.

"Sono ad un combattimento illegale." ribatto con nonchalance, concentrata a studiare le facce intorno a me. In tutto ciò, Armadio mi sta ancora alle calcagna, con una faccia che sembra suggerirmi quanto vorrebbe essere lui il pugile in questo momento per prendere a cazzotti me e il mio telefono.

"Come?!" un urlo stridulo dall'altro capo del telefono mi costringe ad allontanarlo dall'orecchio e, proprio in quest'esatto istante, intercetto il mio obiettivo.

"Già. Ora devo andare."
"Gin, aspetta, se trovi qualcu-
Michael, piantala di dirmi di abbassare la voce, ti ricordo che sono io il capo, qui!" sento la sua voce in lontananza prima di riagganciare e riporre il cellulare nella borsa.

«Quello chi è?» mi rivolgo al tipo tatuato, cercando di sormontare le urla che rimbombano in questa topaia che per poco non cade a pezzi, mentre gli indico un punto lontano da noi.
In effetti, ricordatemi per quale diamine di motivo, nel bel mezzo della notte, in una città sconosciuta circondata da altrettanti estranei, non me la sono ancora data a gambe levate?

«Il fighetto incazzato, dici?» non so perché mi fa sorridere divertita quando lo dice. Lui, d'altro canto, non si scompone nemmeno di un millimetro.
Ma sono tutti così...seri, in questa città?
«Sì, proprio lui.» rispondo, cercando di ricompormi.

Nel frattempo, la folla si è radunata intorno al ring e anche noi siamo riusciti ad avvicinarci.
Così, quando sento Armadio pronunciare il suo nome e guardando una foto ingrandita che sono riuscita a scattargli poco fa mentre si sistemava le fasciature intorno alle nocche, mi si gela il sangue nelle vene.
«Si fa chiamare con qualche stupido nomignolo che non ricordo mai, come tutti i pugili qui, ma lo sanno tutti che si tratta di-».

«Ethan Price», concludo io, in un sussurro impercettibile.
Ecco scoperto come sfoga la sua frustrazione. Altro che camomilla.

Con gli occhi ancora puntati nell'angolo in cui si trova, tiro fuori una banconota da cento e la passo all'uomo davanti a me senza nemmeno guardarlo. Lui me la strappa dalle mani, per poi, non prima di avermi fulminata con lo sguardo, allontanarsi borbottando qualche insulto sottovoce.

Non faccio nemmeno in tempo a insultarlo io di rimando nella mia mente, che lo squillo di una campanella attira la mia attenzione verso il ring. Il pubblico, se così si può chiamare, si è accalcato tutto intorno per urlare cose incomprensibili ai due sfidanti che stanno cercando di avvicinarsi l'uno all'altro per sferrare il primo colpo.
Nel fare ciò, intercorre una breve frazione di tempo in cui gli occhi glaciali di Ethan Price si posano su di me senza riconoscermi.

Fiuh, menomale. Almeno questa l'ho scampata.

O, perlomeno, l'ho pensata così fino al momento in cui, una frazione di secondo dopo, non arriva alle mie orecchie un sordo tonfo accompagnato da imprecazioni inferocite miste a fischi di apprezzamento.
E quando alzo il capo per cercare di capire cosa sia appena successo, trovo l'imperscrutabile proprietario del Price Hotel al tappeto con lo zigomo sinistro sanguinante.
E i suoi occhi saldi su di me.

•••
Lo so, lo so. Sono scomparsa.
Di nuovo.
Spero, però, che con questo capitolo sia riuscita a farmi perdonare almeno in parte 🥺

Purtroppo, tra impegni universitari, casa e famiglia, non ho proprio avuto la testa per scrivere nelle scorse settimane.
Comunque, d'ora in avanti, mi auguro di riuscire a rimanere costante con almeno un aggiornamento a settimana, anche perché oggi me ne sono venute di ideuzze... :)

Lasciate una stellina o un commento se vi va, che mi fa sempre piacere sapere cosa ne pensate 🥰

Alla prossimaa ❤️

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