1) Senza respiro
«Ti rendi conto di averci rovinati?!» mi sbraita contro mio padre dall'altro capo del telefono. «No, Theresa, non ti azzardare a difenderla!» si allontana dall'altoparlante, chiaramente rivolto a mia madre.
«Lo sapevamo entrambi che ci avrebbe condannati a trasferirci sotto un ponte! È questo quello che succede quando i figli non ti danno retta e-» decido di porre fine alla conversazione e lasciarmi cadere a peso morto sul materasso della mia stanza mentre un sospiro infastidito fuoriesce dalle mie labbra. Perché deve essere tutto così dannatamente complicato? Perché non potevo nascere nei panni di Anna Wintour? A quest'ora sarei seduta accanto a Kim Kardashian a commentare una sfilata di Louis Vuitton e non nella città del peccato a dare la caccia ad un criminale e a lamentarmi della mia miserabile vita, distesa sul letto di un hotel che mi ha quasi fatto prosciugare i conti dei miei genitori.
E tutto solo perché una vocina nella mia testa continua a ripetermi che questa è la mia ultima chance per conquistare un minimo di soddisfazione nella vita.
In fondo, mio padre ha tutte le ragioni del mondo per avercela con me. Non ne ho mai combinata una buona. Dovunque io vada e qualsiasi cosa io decida di fare, sembra che la sfiga non voglia saperne di lasciarmi stare.
E io ci provo, ci ho provato dannatamente tante volte ad essere la figlia perfetta. Ma, ehi, non tutti possono avere questa fortuna.
Non tutti sono come mia cugina Jennifer e amano spiattellare ai quattro venti quanto la loro vita sia perfetta, con il lavoro perfetto, il fidanzato perfetto e l'aspetto di una modella appena uscita da una rivista di moda. E di certo non tutti sanno essere odiosi come lei. Eppure, è proprio per questo che è da quando eravamo ancora nelle culle che i nostri genitori ci hanno messe in competizione.
Per questo motivo sono qui, oggi.
Se tutto andrà a buon fine, sarò io a poterle finalmente sbattere in faccia il mio successo.
📰📰📰
Qualche ora dopo, con un mal di testa nauseante causato dalla miriade di pensieri e preoccupazioni che non sembrano intenzionati a darmi pace, abbandono l'idea di concedermi un sonnellino e, con la grazia di un elefante e il portamento di uno zombie zoppo, mi dirigo verso il mio bagno privato.
Le piastrelle bianche e la luce che penetra dalla finestra mi costringono a pararmi gli occhi con la manica del mio maglioncino nero mentre mi appresto ad abbassare le tapparelle. Meglio.
Mentre la vasca si riempie di acqua calda, mi avvicino al lavandino per darmi una sciacquata al viso, sperando che questo mi dia un po' di sollievo. Tuttavia, quando osservo il mio riflesso, lo specchio mi restituisce l'immagine del mio volto pallido, gli occhi verdi contornati da un bel paio di borse e occhiaie viola e i capelli castani arruffati. Afferro una ciocca e la fisso irritata. Ovviamente, non potevo avere dei capelli setosi come quelli delle pubblicità di shampoo. Mia cugina Jennifer, sì, invece, guarda un po' tu la casualità!
A questo pensiero mi sfugge l'ennesimo sbuffo, quindi decido di dare le spalle allo specchio e abbandonare ogni strato di indumenti sul pavimento.
Il contatto con l'acqua calda mi libera, almeno temporaneamente, da ogni angoscia e non so per quanto tempo resto con gli occhi chiusi a godermi il silenzio che mi circonda.
Questo senso di pace e tranquillità, purtroppo, non dura a lungo, perché l'immagine di Natalie con il suo stupido sorrisino vittorioso fanno capolino nella mia mente.
Quello stronzo di Mark.
Non vedo l'ora di vedere la tua bocca spalancata quando ti consegnerò lo scoop del secolo e ti renderai conto di aver commesso un enorme sbaglio. Solo perché, al contrario di qualcun altro, non mi sono lasciata mettere addosso le tue mani da poppante, con tanto di dita a forma di salsicce.
Mi vengono i brividi al solo pensiero.
Una volta uscita dal bagno, mi rendo conto che fuori è già calato il sole. Un brivido di freddo mi pervade, quando un leggero vento penetra dalla porta finestra che dà sulla piscina e mi solletica le gambe lasciate scoperte dall'accappatoio. Sto per chiuderla e spostarmi sul letto per approfondire le ricerche per il mio articolo, quando, con la coda dell'occhio, intravedo due figure avvolte nella penombra.
Il mio lato razionale mi suggerisce di lasciar perdere e di approfittare della situazione e concedermi un po' di meritato riposo visto che, molto probabilmente, non avrò mai più l'occasione di soggiornare in un hotel a quattro stelle, ma la mia natura di ficcanaso mi spinge ad uscire sul balcone per cercare di captare qualche informazione. Mi sento la protagonista di un film di spionaggio.
Nascosta in un angolino per evitare di farmi scoprire, socchiudo leggermente gli occhi per cercare di mettere a fuoco, ma i due uomini sono troppo distanti per riuscire a distinguerne i volti. A parte loro, la piscina sembra deserta, se non per qualche ubriaco che di tanto in tanto fa capolino dal salone delle feste.
Non passa molto che i due interlocutori si separano, salutandosi con quella che sembra essere una stretta di mano. Solo quando passano sotto il mio balcone strozzo un urlo e mi rannicchio in un angolo per evitare di essere vista. Il Signor Riviera.
Mi porto una mano al petto e cerco di darmi una calmata tra un respiro profondo e l'altro.
Quando il mio battito cardiaco torna alla normalità, mi rimetto cautamente in piedi e mi concedo un'ultima sbirciata della zona piscina, sicura di essere ormai fuori pericolo.
Niente di più sbagliato.
Perché se prima ho avuto la prontezza di schivare qualsiasi tipo di sguardo dai due uomini, questa volta resto paralizzata.
Senza respiro.
Poco lontano da me, vicino ad uno dei lettini, l'uomo con cui mi sono scontrata questa mattina mi inchioda sul posto. I suoi occhi scuri ridotti a due fessure, mentre studiano ogni centimetro del mio corpo dal basso verso l'alto, soffermandosi con una fermezza felina sui miei. E non distoglie lo sguardo nemmeno mentre soffia fuori dalle labbra rosee e carnose del fumo di sigaretta.
Mai vista tanta risolutezza in un uomo.
Sarà che sono abituata ad essere circondata da tipi come il mio capo. Ma una cosa è certa: anche dopo che calpesta la sigaretta sotto la suola della scarpa e rimette la giacca nera prima di sparire all'interno dell'hotel, l'ultima occhiata che mi lancia, accompagnata da un sorrisetto furbo che tenta di nascondere, mi lascia impietrita.
Quando riprendo a respirare il mio corpo viene pervaso da una scia di brividi. Non so se causati dal vento che si è alzato o da come mi sia sentita messa completamente a nudo dall'intensità di quel fugace sguardo.
Anche qualche ora dopo, mentre mi trovo a letto con le dita che digitano freneticamente sulla tastiera del mio portatile, questa sensazione non è ancora andata via.
E non mi abbandona neppure quando mi addormento.
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