Parte 4.

E attraverso in silenzio il vuoto che mi porto dentro.
Come se non avessi destinazione, come se non fossi destinato a nulla.
Ormai sono morto, qui in mezzo a queste persone finte.
La tristezza fa da sovrana nel regno dei disperati che disperandosi non si disperano più, quella sorta di apatia nel dire:" Se va male non me ne frega un cazzo, tanto ci sono abituato."
Serve da scongiuro per nascondere il timore che ormai tutto prenda una piega orribile.
Siamo soldati senza scure con scudi paure, lottiamo per dei sorrisi che sono armature finte.
Lottiamo per il nostro ego, è l'unica cosa di noi che non cediamo a nessuno, ce lo teniamo stretto.
Per amore lo perdiamo, lo mettiamo da parte, lo doniamo a chi siamo sicuri non ci ammazzi.
Eppure le spade, fendente dopo fendente lacerano la carne impolverata sotto un sole di ghiaccio, che ci osserva soffrire e che non ci tocca più.
Il rumore dolce del sangue trasparente che esce dalle fenditure delle nostre palpebre ci assorda nel dolore primordiale:
Quello di essere soli.
Si nasce unendosi e si muore soli, divisi.
Questa giostra sadica che alimenta le mie giornate non cessa mai e si alterna tra una speranza nascente e la sua morte prematura.
Esistono persone che con uno sguardo ti lasciano un segno che non va più via.
Le coperte di permafrost sono troppo gelide per la mia carne cotta, queste mura di cristallo sono troppo dure per la mia anima che vorrebbe volare e non tornare più.
Mai più.

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