PARTE 10

Ho sempre guardato la vita come una molteplicità di eventi, situazioni.
Sin da piccolo non sono mai riuscito a pieno a vivere esperienze che mi abbiano reso realmente felice, soddisfatto.
Mi sono sempre accorto che io su di me ho sempre avuto una maledizione.
Sin da piccolo sono sempre stato condannato a vedere da vicino e a vivere parzialmente quelle esperienze che potessero rendermi felice, senza mai raggiungerle realmente o in modo completo perché la mia felicità avrebbe portato il malessere d'altri.
Volevo degli amici, così tenevo gatti, pulcini, paperelle con me, io ci giocavo, ma loro erano prigionieri e puntualmente morivano sotto la mia faccia.
Così ho smesso di mangiare carne, ho sacrificato la soddisfazione del mio palato per la loro felicità o comunque il loro benessere.
La storia ora che sono adulto si ripete.
Vorrei essere felice con qualcuno e sulla mia strada ho trovato chi potrei portare con me, ma ovviamente, ha già qualcuno con cui stare insieme.
Quindi adesso la mia felicità ancora una volta verrà in parte accantonata.
Perché per essere felice a pieno dovrei far soffrire qualcun altro e così la mia mente inizia a star male, io sono empatico. Odio far soffrire gli altri.
Per loro è facile, hanno la strada già bella che spianata.
È brutto rischiare di sentirsi in colpa solo perché si ama qualcuno.
È brutto sentirsi in colpa solo perché se si sta con quel qualcuno poi c'è un qualcun altro che sta una merda.
Forse dovrei pensare un po' piú a me, e accettare il fatto che se certe cose accadono è perché devono accadere.
O forse dovrei in qualche modo accettare le cose così come sono.

La notte è scura e cala come un sipario sulla mia voglia di fingere un sorriso.
Come un manto la tristezza mi ricopre, senza lasciar trasparire null'altro che crepe.
Questa sensazione di solitudine quasi infantile mi fa sentire freddo.
Il mio corpo trema come una foglia d'inverno.
I miei occhi ormai sono come grondaie che gocciolano dolore.
Se potessi strozzare tutto ciò non lo farei.
Odio strozzare le cose.
Vorrei smetterla, smettere di sentire freddo, di essere freddo, smetterla di rannicchiarmi all'angolo come un angelo senz'ali.
Ma tutto ciò che mi resta è il pavimento gelido su cui sono raggomitolato.
A volte penso a tutte le persone che mi hanno abbandonato e nel mio cuore cala il vuoto.
Sono vacuo, senza colori, sono ombre, sono linee, sono contorni, ma sono evanescente.
Adesso che sto diventando di gesso vorrei una mano che mi accarezzi e mi faccia sentire umano.
Un cuore che mi ama, che mi dice che sono suo.
Degli occhi che mi guardano come non guardano nessun altro.
E invece sono vacuo, con le labbra viola e i contorni sbiaditi.
E invece sono gesso, e un giorno sarò polvere.
Ho freddo, ma non fuori, dentro.
Ho l'inverno dentro di me.
Come un cane randagio al canile che vede passare ogni giorno una persona che lo accarezza, ma poi va via con un altro cane.
È un po' come quei crisantemi che nascono per abbellire le lapidi.
Un po' come quelle stelle troppo grandi per avere pianeti nelle loro vicinanze.
Mi sento fatto di ombre, contorni, linee nere e lacrime.
Mi sento vacuo, senza vita o comunque con quel poco che ne rimane.
Pian piano vanno via tutti e un giorno con loro andrò via anche io.

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