CAPITOLO 4 - CORTONA

Cortona

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«Come ti senti?» la voce di suo padre gli giunse lontana, ovattata. Lapo cercò di rimettersi in piedi, ma non ci riuscì. «Un po' frastornato e con un gran mal di testa.»

«Allora faresti meglio a riposare ancora un po'.»

Annuì, esausto.

«Avremo tempo di parlare quando sarai di nuovo in forze. Qui sei al sicuro.»

«Grazie.»

Marco Colonna mosse la testa come a dire sei mio figlio, non mi devi ringraziare, ma dalla sua bocca non uscirono altre parole. Si voltò e uscì dalla stanza.

Lapo fece un profondo respiro.

Suo padre aveva ragione. Gli doveva una spiegazione, ma non era ancora convinto che fosse la cosa giusta da fare. Chiuse per un attimo gli occhi cercando di rimettere a fuoco i frammenti confusi della sua memoria.

Ricordava di essersi svegliato disteso per terra nell'appartamento di Michele, con un dolore lancinante alla base del collo e la vista annebbiata. Qualcuno doveva averlo colpito, con ogni probabilità lo stesso uomo responsabile della morte del suo amico. Cercò di visualizzarne i contorni, ma niente. Non riusciva a mettere a fuoco nessun particolare che potesse in qualche modo indirizzarlo verso una persona specifica.

Michele deve aver scoperto molto più di quello che credeva pensò stringendo i pugni per la frustrazione.

Doveva ricostruire l'accaduto, a qualunque costo. Cercò di sforzarsi, tornando con la mente in quell'appartamento.

Nulla.

Più si concentrava, più si sentiva frustrato. Ogni volta ritornava sempre allo stesso punto, quello in cui aveva ripreso i sensi e chiamato suo padre.

Il resto era solo nebbia, un ammasso confuso di immagini con al centro una chiara e semplice domanda: perché non hanno ucciso anche me?

C'era una sola risposta. Chiunque lo avesse colpito era convinto che lui avesse a che fare con le ricerche di Michele e che in qualche modo fosse a conoscenza di qualcosa.

Doveva aprire il pacco.

La dentro si celava la chiave.

***

Il poliziotto si acquattò dietro un muretto di pietra, cercando riparo dal vento gelido. La folta siepe e le fronde degli alberi alle sue spalle lo nascondevano alla vista di eventuali passanti. Ripose il cannocchiale nella custodia con un sospiro.

Non era ancora il momento di agire.

Il suo sguardo era fisso sul cancello di ferro battuto poco più avanti, l'ingresso del casale in pietra dove era stato condotto Colonna. L'attesa, immaginava, sarebbe stata lunga.

Per scaldarsi dal freddo, batté i piedi per terra, domandandosi per l'ennesima volta chi fosse l'uomo anziano che aveva scortato l'agente del C.I.I. fino a lì. E soprattutto, se in quella colonica avrebbe trovato le risposte che stava cercando.

La sera stava calando e la temperatura si era abbassata considerevolmente. Si strofinò le mani sulla giacca per riattivare la circolazione, osservando ancora il casolare. Le luci erano accese solo nell'ala destra, il resto era immerso nella penombra.

Decise che avrebbe atteso il resto della serata in macchina. Si mosse con cautela sulla strada sterrata, percorrendo una decina di metri per raggiungere la sua vettura. Aprì la portiera e si infilò dentro, assaporando il tepore dell'abitacolo.

Sarà una lunga notte, pensò tra sé mentre diversi pensieri si accavallavano nella mente.

Che ruolo aveva Lapo Colonna in quella storia?

Non era chiaro ancora, ma di sciuro la situazione si andava complicando.

Prima la morte di Donati, e adesso questo.

Colto da una strana sensazione provò unbrivido lungo la schiena. Si avvolse nel cappotto e fissò la campagna silenziosaintorno a sé.

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