CAPITOLO 26

26

Lapo e Isabel avevano appena finito di fare colazione. Fuori il sole, sorto da poco, stava riscaldando la natura circostante in quella che si preannunciava essere una discreta giornata, mentre una leggera brezza smuoveva le fronde degli alberi.

Si sentivano riposati e in forze.

La nottata era trascorsa senza problemi e loro erano riusciti a dormire così profondamente che avevano addirittura rischiato di non sentire la sveglia.

Ed era stato un bene, perché in tal modo avevano evitato di affrontare argomenti scottanti.

Adesso, mentre risalivano in camera, regnava fra loro un silenzio carico di tensione, come se entrambi temessero di esternare i propri sentimenti, qualunque essi fossero.

Isabel era molto agitata. Non riusciva a interpretare bene cosa realmente provasse per Lapo.

L'unica cosa che sapeva era che non voleva rischiare di rovinare il loro rapporto.

Indubbiamente però un sentimento esisteva, e questo non lo poteva negare.

Un barlume nascosto che la stava scombussolando.

Ma come fare per esternalo?

Lui sembrava ancora legato in qualche modo a Sofia, riusciva a percepirlo nonostante le apparenze.

D'altra parte lei era rimasta scottata molti anni addietro in una brutta storia e non aveva nessuna intenzione di ripetere l'esperimento almeno fino a quando non fosse stata sicura.

Per cui alla resa dei conti si trovava in un circolo vizioso.

Era ancora immersa in quei pensieri quando giunsero di fronte alla porta della camera.

Entrarono.

Per fortuna avevano delle cose più urgenti da risolvere e questo avrebbe per un po' allontanato il problema.

In silenzio si mise a sedere sul bordo del letto, mentre Lapo accendeva il telefono.

Guardò l'orologio.

Mancavano cinque minuti alle nove e mezzo.

«Pensi che il tuo amico abbia già trovato la soluzione?» gli chiese cercando disperatamente un aggancio per una conversazione.

«Ne sono più che sicuro» rispose lui. «Se c'è qualcuno che può penetrare i segreti degli enigmi e dei codici, fidati, quello è proprio David Pierce.»

Poi la guardò in volto. «Dovresti conoscerlo, sai. Di persona intendo. E' un tipo molto particolare, credo che ti piacerà.»

«Non penso di dover attendere ancora molto. Tra poco la mia curiosità sarà soddisfatta.»

Silenzio.

«Isabel» le disse a un tratto Lapo con voce seria. «Posso farti una domanda?»

Lei annuì. Il cuore prese a battere più forte.

«Sei pronta ad affrontare le conseguenze di quello che stiamo per ascoltare? Voglio dire, sei disposta a proseguire in questa storia ovunque ci porti?»

Si rilassò.

Maledizione, ma che credevi?

«Sono qui Lapo» gli rispose con un sussurro «e non ho intenzione di tirarmi indietro se è quello che intendi.»

«Era quello che intendevo, sì.»

Lei gli sorrise poi gli mise una mano sulla spalla. «Siamo nella stessa barca. Non ti libererai così facilmente di me.»

In quel momento il telefono prese a squillare.

«Ci siamo.»

Rispose alla chiamata.

***

Ravizza non aveva perso tempo. Dopo la telefonata di Wallaby, si era sentito ringiovanito di vent'anni.

Finalmente!

Ciò che gli era stato comunicato rappresentava la soluzione a tutti i suoi problemi.

E adesso niente lo avrebbe più fermato, nemmeno quel fastidioso agente italiano.

Certo non doveva sottovalutarlo, ma stavolta sarebbe andato preparato.

Fuori era notte, ma lui era perfettamente sveglio.

Messo in valigia il minimo indispensabile per il viaggio, si era concentrato su Achille per convincerlo a partire.

E non era stato facile. Gonella era diverso. Molto più incline a una vita pacifica e tranquilla, non amava gli intrighi più di quanto non amasse tradire e ingannare.

E ultimamente era anche combattuto dai sensi di colpa.

Solo la minaccia del baratro finanziario, che rischiava peraltro di portargli via la sua amata Villa Francesca, lo aveva spinto ad agire in quel modo e a mettersi in combutta con la Loggia.

Ma sparatorie, rapimenti e furti non erano nella sua natura.

A ben pensarci era un miracolo se non era già crollato e lui era più che conscio che se avesse tirato ancora un po' di più la corda, questa si sarebbe spezzata.

Ma d'altro canto aveva bisogno del suo aiuto. Non poteva agire da solo, per cui, dopo una discreta fatica nel convincerlo erano usciti in tutta fretta di casa.

Montati in macchina si erano diretti al porto di Livorno, pronti per imbarcarsi sulla prima nave della Grimaldi Lines in partenza per Olbia.

Dieci ore.

Questo era il tempo per arrivare a destinazione e lui non stava più nella pelle.

Mentre la nave solcava silenziosa le acque del mare avvolta dalla semi-oscurità, da solo, appoggiato al corrimano, ripensò alla telefonata di Wallaby.

Doveva ammettere che era stato di parola.

E, a dire la verità, non avrebbe mai pensato di risentirlo così presto.

Anche se era stata una chiamata molto breve.

Poche parole, ma più che sufficienti.

Caprera.

Quella era la soluzione dell'enigma.

Logico, pensò sporgendosi oltre per osservare le acque scure del mare, la mente avvolta da mille pensieri.

Intanto il vento scompigliava i suoi capelli.

Caprera, mormorò di nuovo tra sé.

L'isola che il Generale aveva amato così tanto, quella in cui aveva vissuto molti anni della sua vita con la famiglia, la stessa che aveva portato nel cuore fino alla morte.

E dove aveva trovato sepoltura.

In effetti tutto alla fine aveva un senso.

Come in un cerchio perfetto, ogni cosa aveva adesso trovato la giusta collocazione.

Fece un profondo respiro.

Era così vicino a ottenere quello che voleva che quasi non ci credeva.

Dopo tutto questo tempo.

Scosse la testa.

La Loggia Garibaldi 542, stava rincorrendo quella chimera da un'eternità, senza mai avvicinarsi più di tanto.

E adesso, ironia della sorte, colui che avrebbe messo le mani sopra il diario del Generale, era proprio la persona che lo avrebbe svenduto.

In cambio di denaro.

Strinse i pugni.

Non ne andava fiero, ma non aveva scelta. Se non avesse avuto tutti quei dannati problemi economici, quella missione avrebbe rappresentato il coronamento del famoso giuramento fatto centocinquant'anni prima alla Irving Hall.

E lui sarebbe diventato un eroe.

Ma non poteva.

Aveva rinunciato a tutto nel momento in cui aveva imboccato il tunnel del gioco d'azzardo che aveva rischiato di seppellirlo sotto una montagna di debiti.

Al diavolo, pensò spostandosi dal corrimano e ritornando verso la cabina. Presto sarà tutto finito e questi saranno solo dei brutti ricordi.

Giunto all'interno si accorse che anche Gonella non riusciva a dormire.

Era in piedi in mezzo alla cabina, tormentato dall'agitazione.

«Ho bisogno di un po' d'aria» gli disse «vieni con me? Magari parlare mi farà bene.»

Ravizza sospirò.

«D'accordo, tanto non abbiamo riposato fino ad adesso, dubito che riusciremo a chiudere occhio nell'ultima ora.»

Gonella annuì.

Uscirono di nuovo all'aperto.

L'aria fresca e umida smossa dalle correnti marine li investì con la forza di un maglio.

Si appoggiarono al corrimano, fissando lo sguardo verso l'orizzonte che si stava piano piano rischiarando.

Era quasi l'alba e in lontananza si intravedevano le luci del porto di Olbia.

«Cosa di preoccupa?» domandò Antonio.

«Un sacco di cose a dire la verità. Per esempio. E se trovassimo quel Colonna ad attenderci a Caprera? O magari i membri stessi della Loggia? Non mi sono mai fidato di quel Wallaby, perché tu si?»

«Sono dubbi più che leciti, amico mio, ma dobbiamo essere ottimisti.»

«Fai presto a dirlo tu.»

«Ascolta, nessuno ci dà la certezza che Wallaby manterrà la parola, su questo posso essere d'accordo con te. Ma fino ad ora lo ha sempre fatto, no? A lui interessa il diario, Achille, a noi i soldi. Credo che sia un accordo che non lede nessuno dei due.»

«Si certo, forse hai ragione» scosse la testa ancora perplesso «ma dell'agente che mi dici? Hai visto cosa è successo a Villa Francesca, no?»

«Sì e quello che ti posso dire è che il rischio vale la candela. Pensaci.

Noi siamo partiti non appena Wallaby ci ha avvertito, magari Colonna deve ancora decifrare la pergamena. Magari non ha nemmeno nessuno che lo possa aiutare o magari non ne è nemmeno in grado. Ci sono troppo fattori che non possiamo controllare, ma quello che so è che noi siamo in viaggio.

Adesso.

E credo anche che abbiamo un discreto vantaggio che ci permetterà di ritrovare il diario prima che lo faccia qualcun'altro. Almeno voglio crederci.»

«Mi piacerebbe pesarla come te, davvero. Comunque ormai è tardi per tirarsi indietro o per le recriminazioni. Spero solo che tutto questo finisca il prima possibile.»

«Andrà bene vedrai» gli disse Ravizza mettendogli una mano sulla spalla.

Quindi si misero in silenzio a osservare le acque sotto di loro.

Il traghetto stava iniziando lentamente a diminuire la velocità dei motori, segno che l'entrata nel porto di Olbia era molto vicina.

Infatti già si potevano notare le prime navi ancorate e le luci delle banchine.

Gonella alzò lo sguardo verso Ravizza.

«Spero che tu abbia ragione Antonio» mormorò in risposta a ciò che l'amico gli aveva detto pochi minuti prima «o per noi sarà la fine.»

«Non succederà.»

Ravizza lo guardò negli occhi. «Non succederà, capito? E poi considera anche un'altra cosa.»

«Cosa?»

«Che noi conosciamo molto bene il proprietario del Compendio garibaldino.. Ci hai pensato? Questo ci permetterà di accelerare ancora di più i tempi, evitando di dare troppe spiegazioni.»

«E' vero.»

«Vedrai, non ci saranno intoppi.»

Fece una pausa.

«Se tutto va come penso» concluse poi con un sorriso «ti garantisco che torneremo a Livorno con il diario di Garibaldi. E lo faremo molto prima di quanto tu possa immaginare.»

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