CAPITOLO 2
2
«Mi dispiace averla fatta attendere» esordì l'uomo mostrando un atteggiamento alquanto diverso da quello di poco prima.
«Spero che abbia chiarito tutti i suoi dubbi al riguardo» replicò Lapo. «Come le ho detto ho un appuntamento importante e fin ora non ho ricevuto alcuna spiegazione sul fatto di essere trattenuto» il suo tono era quello di una persona che stava per perdere la pazienza.
Il poliziotto si mise a sedere di fronte a lui, accanto a un lungo tavolo di legno. Vi appoggiò una serie fogli sopra e prese una penna. Poi si tolse la giacca. «Ho bisogno di qualche minuto del suo tempo, signor Colonna, abbia pazienza. Dobbiamo riempire questi documenti, poi le spiegherò.»
«Spiegarmi cosa?»
Il poliziotto si voltò verso di lui alzando lo sguardo.
«Il suo amico è stato trovato stamani nella biblioteca del Museo. Morto. Per questo la stiamo trattenendo. Procedure standard.» Tornò a rivolgere la sua attenzione al fogli e dopo qualche secondo iniziò con una serie di domande legate alla sue generalità.
«Bene signor Colonna, qui abbiamo finito. Ora mi segua, deve rilasciare la sua deposizione.»
Lapo si alzò e in quell'istante i suoi occhi catturarono un immagine. Fu un attimo, ma nel momento in cui il poliziotto si rimise la giacca non poté non notare il tatuaggio che aveva impresso alla base del polso.
Un'aquila a due teste.
Non ebbe però modo di rifletterci troppo. L'unica cosa che gli venne in mente fu solo la continua presenza di strane coincidenze con la vecchia storia in cui era stato coinvolto da suo zio poco tempo prima.
L'interrogatorio durò un paio due ore alla fine del quale, firmati i documenti, poté lasciare il Museo.
Il vento continuava a soffiare forte tagliando l'aria come una lama affilata. Si mise il cappuccio sulla testa, chiudendoselo all'altezza della gola. Giunto in macchina accese il motore e si avviò lentamente fuori del Museo.
Aveva bisogno di riflettere.
La morte di Michele non poteva essere un caso, non dopo quello che gli aveva scritto nella mail, della quale non aveva fatto parola a nessuno dei poliziotti.
Voleva vederci chiaro e le uniche persone in grado di fare un po' di luce in quella strana faccenda erano, a quanto gli aveva scritto Michele, il conte Ravizza e Achille Gonella.
Avrebbe dovuto fare un salto da loro, certo, ma prima decise che forse era meglio andare a controllare l'appartamento del suo amico. Se non ricordava male si trovava abbastanza vicino al Museo, quindi non avrebbe dovuto faticare molto.
Era un azzardo, ma più ci rifletteva, più si convinceva che fosse la decisione migliore.
***
L'appartamento si trovava in piazza Mazzini, all'ultimo piano di uno stabile che vantava origini molto antiche. Era una casa grande, che apparteneva alla famiglia Donati da diverse generazioni e Michele vi aveva traslocato quando era ancora un giovane studente universitario.
Sperò che non avesse cambiato abitazione.
Poco dopo svoltò in viale Italia muovendosi in direzione della rotonda di piazza Luigi Orlando. Proseguì imboccando via d'Alesio e infine sbucò in piazza. Continuò a bassa velocità fino a che non arrivò quasi in fondo alla strada. Parcheggiò all'ombra di un grosso albero.
Scese e si avviò verso i portone ragionando fra sé che non era cambiato quasi nulla dall'ultima volta che era stato lì. Il vento continuava a soffiare molto forte e l'aria, data la vicinanza del porto, era carica di umidità e molto più fredda rispetto al parco di villa Henderson.
Giunto all'ingresso notò che il portone era socchiuso. Lo spinse ed entrò, chiudendoselo alle spalle.
Si trovava al centro di un grande atrio, dai soffitti molto alti. Un tempo dovevano essere stati affascinanti, pieni di pitture e di affreschi, ma adesso si potevano notare solo dei piccoli frammenti delle antiche decorazioni che spuntavano fuori dall'intonaco scrostato come se fossero opere incompiute dai colori sbiaditi.
Diverse crepe lungo i muri completavano un quadro alquanto decadente, dimostrando quanto fosse implacabile lo scorrere del tempo.
Si guardò intorno, ma non vide anima viva.
Strano, pensò, mi sembrava di ricordare che all'epoca in cui frequentavo lo stabile nell'atrio ci fosse il portiere.
Controllò meglio. Il gabbiotto di vetro in effetti esisteva ancora solo che al suo interno pareva che non vi fosse più entrato nessuno da diverso tempo.
Imboccò le scale diretto verso l'ultimo piano. Quando giunse sul pianerottolo notò subito che la porta dell'appartamento era leggermente socchiusa.
Un campanello d'allarme risuonò nella sua testa, ma ormai era troppo tardi per ascoltarlo. Era giunto fino a lì per scoprire in cosa era finito coinvolto Michele e non sarebbe tornato indietro senza risposte.
Con la punta del piede spinse la porta, ma si fermò quasi subito. L'appartamento era stato messo a soqquadro senza nessuna preoccupazione di nascondere l'intrusione. I mobili dell'ingresso erano a terra insieme al loro contenuto. Libri, porcellane, quadri, tutto era stato gettato sul pavimento.
Con cautela entrò un po' di più dirigendosi verso il salotto. Anche qui stessa scena. Cassetti svuotati e gettati per terra. Bicchieri, piatti e posate sparpagliati in ogni dove.
Proseguì verso la cucina, le spalle rasenti al muro, cercando di fare il meno rumore possibile, poi dette uno sguardo alle camere.
Tutto era stato buttato all'aria, come se fosse passato un uragano. In quel caos non avrebbe certo trovato alcunché.
Si spostò di nuovo in salotto deciso a tornare suoi passi quando gli tornò alla mente la frase che Michele gli aveva scritto nella mail.
Oggi ti ho spedito per posta un pacco. Dovrebbe arrivare nei prossimi giorni alla tenuta di tuo padre.
Abbine cura, poi capirai.
Ecco cosa stavano cercando.
Michele aveva ragione. Doveva aver scoperto molto di più di quel che credeva.
Doveva aprire quel pacco.
Si mosse attraverso il corridoio deciso a uscire da lì quando un fortissimo colpo alla testa gli fece perdere l'equilibrio. Cadde a terra sbattendo la fronte sul pavimento. Gli occhi si chiusero e tutto divenne nero.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top