L'ultima cena /3
Il venerdì seguente per staccare dalla faticosa routine che ci dovevamo rimporre uscimmo a cena io Asia e un paio d'amici. Prima di partire da casa sua, ci vestimmo, io in un attimo, di Asia diciamo che non posso dire lo stesso tant'è che a un certo punto pensai se rimandare la cena. Quando fu finalmente pronta uscimmo di casa annunciando ad alta voce, io con una certa gioia, < Noi usciamo!>.
Arrivati, come immaginavo per ultimi, ci accomodammo insieme agli altri due amici: Francesco detto Francio e Giulia entrambi miei amici di infanzia. Francio, così lo chiamavamo, per via dei suoi genitori, entrambi chimici; infatti il francio è un elemento della tavola periodica che oltre a ricordare il suo nome ha due caratteristiche: si fonde poco sopra la temperatura ambiente ed é un metallo pesante, ciò indicava come fosse suscettibile e di come fosse appunto pesante. Il soprannome gli fu attribuito dalla mitica Professoressa Basiló, insegnante di chimica alle medie, dopo che si era quasi addormentata durante una sua interrogazione. Nella vita fuori dalla scuola era invece simpaticissimo, era infatti il mio amico a cui ero più legato, io non ho mai avuto migliori amici, la trovavo una cosa da ragazzine o da bambini, ma a lui tenevo profondamente; rimasi quella sera colpito dal tono delle sue parole, dalla sua gestualità, dal suo modo di fare, a quella cena era diverso, a quella cena era un Francesco diverso dal solito, non so cosa ci fosse in lui, o cosa forse c'era in me, ma c'era; la cosa che mi colpì sopratutto era l'anello, quell'anellaccio in plastica che si erano regalati con Cri, quell'anello a cui teneva tanto ma che a quella cena non c'era,
< [...] come va con Cristina?>
< Bene, tu con Asia?>
< Io, bene bene, ma il tuo anello?>
< l'ho perso a nuoto, spero che Cristina non se ne accorga...> disse sbarazzino.
La serata la passammo allegramente, assieme come cari amici che si rincontravano dopo la fine dell'estate. Al ritorno ne riparlai con Asia che non ci aveva fatto caso e mi tranquillizzò dicendomi che magari l'aveva perso veramente. Ciò nonostante quel pensiero morboso mi perseguitava, si erano lasciati? Ma se anche fosse, sinceramente, scelte loro insomma, c'era altro, ne ero convinto. Riaccompagnai a casa la mia ragazza, un bacio e rieccomi bloccato sul raccordo anulare, la mia seconda casa da quando avevo il motorino e mi misi a pensare a quella serata con Francesco. Suonó il telefono ed era Asia
- I miei non sono a casa -.
Non servì altro, feci inversione col motorino, mi mandarono a quel paese un bel po' di volte ma ne valeva la pena. Citofonai e salii le scale correndo, lei era li sull'uscio ancora con la giacca che mi aspettava. Ci spogliammo: prima la giacca, per terra, poi la camicia, le scarpe, i jeans e il resto, e poi sul letto, mi stringeva forte, era come aggrappata alla mia schiena, come se avesse paura di cadere e cercasse di tenermi stretto come se fossi l'unico aggrappo per non sprofondare. Ogni tanto gemeva o il suo respiro si interrompeva, il cigolio del letto scandiva il ritmo, fino al culmine, prima io e poi lei. Finimmo col fiatone, entrambi stanchi e ci buttammo a pancia in su sudati, rimanemmo qualche minuto tra i baci poi mi rivestii e ritornai a casa e, colto dalla stanchezza, sprofondai nel letto sfinito quando si erano già fatte le due e mezzo. Non riuscivo a prendere sonno e così mi risvegliai con due grosse occhiaie sul viso e mi toccava pure andare a scuola come ogni sabato: anche se lo facevo da tre anni ancora non mi ero abituato per me il sabato si doveva stare a casa! Mio padre mi aveva preparato il caffè e durante la colazione chiacchierammo e gli raccontai come era andata la sera prima a cena. Poi presi la giacca, buttai nello zaino il necessario e me lo misi in spalla e a piedi, un po' a tentoni, mi avviai sconsolato come una mummia per strada, passo dopo passo, con il vento, la pioggia, il freddo e tutto il resto fino al cancello della scuola, come ogni giorno e come ogni benedetto sabato mattina.
</fine terza parte>
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