Capitolo Ventuno

Arasio

Poco più tardi si sentirono dei brusii sempre più acuti. Nella bianca stanza, entrarono Tab e il Dottor Sirmori.
Il mio amico mi raggiunse immediatamente e mi abbracciò, per poi allontanarsi leggermente dal mio corpo, ricordandosi solo in questo momento che non eravamo proprio in buoni rapporti.

«Come stai Arasio?» chiese preoccupato.
Tab durante il linciaggio era stato un codardo schifoso, non aveva mosso un dito, ma ero meno inviperito nei suoi confronti sapendo che aveva soccorso Yag che era messo peggio di tutti.

«Qualche ammaccatura ma sono ancora vivo» risposi.
Tab emise un respiro di sollievo.
«Tu e Yag ne avrete per qualche settimana. Sono stanco di vedervi sempre qui» affermò il dottore.
Dovetti spostare il collo per vedere Sirmori, la stazza del mio amico copriva completamente la figura del dottore.

«È stato aggredito, non è colpa sua, Arasio aveva bisogno di cure e tu eri il più vicino» battibeccò Tab.
Il dottore lo fissò incessantemente e decisamente contrariato per poi sbuffare.
Intanto vidi volare un oggetto davanti a me. Il contenitore che non avevo neanche identificato (per quanta velocità mi fosse sfrecciato davanti agli occhi), colpì in pieno petto Tab.

«Sei troppo vicino. Spostati immediatamente da Arasio!» disse Yag minacciandolo.
Non mi ero neanche accorto che il mio compagno si fosse svegliato.
«Non ci penso minimamente» dibatté Tab.

Ecco che incominciavano a litigare anche in una situazione così delicata.
Il dottore allontanò con la forza Tab dalla stanza «È ora di andare angelo, devi farti una doccia e cambiarti. Sei stato tutto il giorno qui accanto ad Arasio e a gironzolare nel mio studio tampinandomi di domande. Sarebbe ora di tornare nella tua dimora.»
«Non mi muovo da qui finché Arasio non sarà dimesso» si puntò il mio amico, rimanendo immobile accanto allo stipite della stanza.

Il dottore sbuffò per la seconda volta, vidi trasparire un lieve sorriso sulle sue labbra «Che devo fare con te angelo? Vai nell'altra stanza e vatti a fare un bagno decente, ragazzo mio puzzi. Tanto conosci la casa non c'è bisogno che te la mostri.»
Finalmente dopo qualche minuto, Tab venne convinto dal dottore e sparì dalla camera.

Dopo quel dì, Robinia e Veria vennero dimesse. Invece nel caso mio e di Yag ce ne andammo qualche settimana dopo. Adesso le ferite erano più lievi anche se non del tutto rimarginate.
Durante quei giorni, vennero a trovarmi i miei colleghi di lavoro della bottega e stranamente si fecero vedere anche quelli di Yag, il suo titolare fece due ore di rimproveri al povero demone sulla sua mancanza al lavoro e che dovesse pagare un altro operaio per sostituirlo.

Tab rimase con noi fino a che non venni dimesso, il mio amico durante quel periodo non faceva altro che litigare con Yag.
Quando ci fummo ristabiliti, il Dottore fu ben contento di buttarci tutti e tre fuori dalla sua clinica. Finalmente tornammo a casa felici di ritornare alla nostra normale vita, ma non fu così, la comunità ci tagliò fuori completamente.

Tranne Luna e Digris, i miei altri vicini di casa mi tolsero il saluto. Lo scandalo che era successo in piazza, si divulgò a macchia d'olio e nessuno osava avvicinarsi a noi. Eravamo i reietti.

Anche a Veria e a Robinia riservarono lo stesso trattamento, tutti i colpevoli che vennero puniti dai nostri creatori non erano ancora ritornati, si vociferava che fossero rinchiusi nei sotterranei nel tempio e che venissero torturati ogni giorno.

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In questa mattina molto grigia, mi ero svegliato presto ed ero vicino alla finestra del salotto a scrutare il cielo. In lontananza erano presenti delle nuvole minacciose, di lì a poco sarebbe piovuto. Le temperature erano alte nel mese di giugno, un po' di frescura non avrebbe guastato.

Sentii dei passi avvicinarsi, finché la figura di Yag non si piazzò davanti alla stanza in cui ero situato.
«Buongiorno zuccherino» commentò in maniera solare.
Il demone si avvicinò e mi diede un bacio sulla tempia.
«Buongiorno Yag, c'è un po' di frutta se vuoi fare colazione» affermai.

Lui fece un lieve cenno con il capo «Faccio un pasto veloce e dopo partiamo per andare a prendere l'argilla» disse il demone stiracchiandosi come un gatto.
Aggrottai le chiare sopracciglia, per poi guardare fuori «Sei sicuro di essere in grado di viaggiare? tra poco pioverà.»

«Non sarò al massimo della mia forma fisica, ma non saranno tre gocce d'acqua a fermarmi» disse spavaldo il demone.
«Okay, allora partiamo così nel pomeriggio riusciremo a essere a casa prima che faccia buio» spiegai con noncuranza.

Il demone mi scrutò con le sue pupille ridotte a una fessura, le sue iridi avevano assunto una colorazione di un rosso più intenso. «Va tutto bene? Ti vedo distante in questi giorni.»

Lo fissai altrettanto negli occhi, non riuscivo proprio a togliermi dalla mia testa le parole di Veria. La gelosia mi colpiva con ferocia durante la giornata, una volta sognai loro due a letto, uno spettacolo disdicevole che si era formato nella mia stupida testa.

«Non ho proprio niente. Tu invece c'è qualcosa che devi dirmi?» risposi alla sua domanda, subito dopo ne formulai io stesso un'altra.
Nel mentre avvicinai il bicchiere di legno alle mie labbra.
Yag scosse la testa «Nulla.»
«Allora siamo a posto così, vai a mangiare che dopo partiamo» affermai alzandomi per andarmi a dare una rinfrescata e per vestirmi con una delle mie solite tuniche bianche.

Dopo mezz'ora uscimmo di casa e ci orientammo a nord, in direzione di un enorme villaggio di esseri umani, lì era presente un mercato ben fornito.
Il viaggio non fu molto semplice, il vento tentava in tutti i modi di trascinarci indietro, la sabbia ci entrava negli occhi rischiando di farci barcollare e con la possibilità di schiantarci a terra.

Usciti da quella piccola turbolenza. Il cielo era sempre più limpido e il sole con i suoi raggi scaldava la terra, rendendo l'aria secca e calda.

Finalmente dopo qualche difficoltà e dopo un paio di ore atterrammo.
Ci inoltrammo nel villaggio situato vicino a un monte, le casine bianche con il tetto di legno e paglia erano costruite in maniera confusionaria, ammassate tutte vicino. Percorremmo le districate e tortuose stradine, piene di salite e discese.

Non proprio un tocca sana per la nostra condizione fisica, avevo già un male lancinante ai polpacci ma mi limitai a soffrire in silenzio, prima che Yag potesse prendermi in giro.

I percorsi erano in terra battuta e delimitati da staccionate datate, utilizzando enormi e grossi tronchi di legno. La lavorazione era quasi inesistente, il materiale era ruvido e pieno schegge.

Da alcune venature del legno fuoriusciva della resina, che alla luce del sole assumevano il colore del caramello. I cilindri di ferro che servivano a tenere in piedi il perimetro, si erano arrugginiti, causato dalle troppe erosioni atmosferiche che aveva dovuto subire la rudimentale staccionata. L'impianto aveva il compito di delimitare tutto il paesino.

Non c'era neanche una volta in cui Yag non imprecasse nei confronti di chi, a parer suo, avesse costruito questo abominio.
Dopo esserci sempre più addentrati nel cuore del villaggio, ci trovammo davanti la grande piazza.

Fummo invasi da moltissime bancarelle di ogni genere.
Mi avvicinai a un banchetto pieno di spezie di ogni tipo e dalla differente colorazione, inondando le mie narici di profumi provenienti da paesi stranieri. Molte di esse non le conoscevo, sapevo solamente che erano derivanti dall'Asia, un continente di cui avevo solo sentito parlare da alcuni umani che lavoravano sotto le dipendenze di Tab. Non sapevo se onestamente credere a quelle storie, non avevo mai lontanamente perlustrato quella terra straniera.

Era molto difficile che un immortale si allontanasse dai suoi creatori, era come abbandonare la casa dei propri genitori, un'idea impensabile per la nostra società.

Io e il mio compagno osservammo i molti banchetti presenti: tra gioielli, leccornie, tessuti preziosi di ogni tipo. Mi fermai davanti a un uomo che vendeva dei vasi, molti di essi raffigurarono i lavori più comuni tra gli umani, in altre erano rappresentati gli angeli e i demoni con lunghe ali piumate e dipinti più in fondo, inginocchiati in segno di sottomissione c'erano uomini e donne.

Uno di esso mi balzò maggiormente all'occhio, era il vaso più grande di tutti e il più maestoso mai visto.
Su di esso erano raffigurati la Dea Angelica e Lucifero, era l'uno di fianco all'altro in segno di preghiera.

Angelica era dipinta nei minimi dettagli, ma non rendeva lo stesso giustizia alla sua vera bellezza. Rappresentata come una donnina non molto alta e con le curve. I suoi capelli erano di un biondo pallido, tendente al bianco. Il piccolo ciuffetto che la contraddistingueva e i lunghi capelli erano coperti parzialmente da un velo dalle tinte bianche, che lei metteva saltuariamente.

I suoi occhi azzurri erano solo abbozzati e non erano abbastanza chiari nella riproduzione, non esisteva un colore adatto nel nostro mondo e neanche nel loro per duplicare un celeste così singolare.

Sul vaso era raffigurata nel suo solito abito bianco e candido in stile impero che metteva durante il periodo estivo, le sue lunghe e maestose ali dorate erano solo delineate in maniera generica dietro la schiena.

Di fianco a lei era presente il suo compagno, aveva lo sguardo serio e fisso su di me. Era molto più alto rispetto ad Angelica, i suoi capelli corvino arrivarono fino a metà braccio, veramente corti rispetto a quelli della sua compagna che quasi toccavano terra.

I capelli di Lucifero erano rasati da una parte che a parer mio erano di cattivo gusto, i suoi occhi gialli non erano riprodotti così cupi e spavaldi di quanto non fossero nella realtà.

Cercavo sempre di non incrociate il suo sguardo, mi metteva una certa agitazione, come se i suoi occhi volessero mangiarmi l'anima. Raffigurato con la sua classica tunica nera e con le sue ali enormi che si intravedevano da dietro la schiena.

Vidi che le due figure mutarono, gli occhi di Angelica si chiusero e lacrimarono sangue. Il liquido rossastro percorse tutto il suo delicato viso, macchiando l'abito bianco.

Al contrario della sua controparte femminile, il volto di Lucifero si tramutò in un ghigno malefico. Il contenitore di terracotta cominciò a sciogliersi come il burro sotto il sole cocente.

L'ometto anziano e smilzo, seduto sulla sedia imprecò. Si alzò e tentò di toccare il vaso per toglierlo dal banchetto, ma si scottò  utilizzando nuovamente dei vocaboli ancora più coloriti.

Sulle mani callose si formarono immediatamente delle vesciche che scoppiarono subito dopo, come fosse lava dentro un vulcano.
«Signori... Signori!» sentii una voce roca e lontana perforarmi il cervello.

Sbattei le palpebre per ben sei volte e vidi ritornare tutto normale, il vaso era ancora lì intatto senza un graffio. Davanti a me l'ometto sbandierava la sua mano raggrinzita di fronte alla mia faccia e quella di Yag.

«Signori, va tutto bene?» chiese il vecchietto.
Annuii con il capo «Sì, mi scusi.»
«Eravate a fissare quella riproduzione da dieci minuti, mi stavo preoccupando» affermò l'anziano, tirando fuori un fazzoletto di stoffa tutto liso e si asciugò la fronte bagnata dal sudore.
Intorno a noi si formò una piccola folla di donne che parlottava a bassa voce.

«No tutto a posto, le chiedo scusa se l'abbiamo fatta preoccupare» mi giustificai con il vecchio venditore.
Afferrai il polso di Yag e mi allontanai il prima possibile.

Dopo pochi passi guardai Yag «Allora non era solamente una mia allucinazione?» affermai ancora scosso.
Yag alzò le spalle «Non ti preoccupare, sarà solo stanchezza accumulata in questo periodo. Non darci peso.»

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